Il Lila di

Sri Anandamayi Ma

LIBRE:

Matri Darshan, di Bhaiji

Parole di Anandamayi, di Atmananda

 

 

Quando nel 1936 Paramhansa Yogananda incontrò Sri Anandamayi Ma e le chiese di dire qualcosa della sua vita, Mataji rispose: “Padre, c’è poco da dire. La mia coscienza non s’è mai associata a questo corpo transitorio. Prima di venire su questa terra... ‘ero la stessa’. Da bambina ‘ero la stessa’. Divenni donna, ma ‘ero la stessa’. Quando la famiglia predispose di far sposare questo corpo, ‘ero la stessa’. Ed ora di fronte a voi, Padre, ‘io sono la stessa’; e per sempre in futuro, nonostante la danza della creazione cambi intorno a me nello spazio dell’eternità, ‘io sarò la stessa’”.

Scrivere qualcosa della vita di persone come Sri Anandamayi Ma è decisamente impossibile. Quelli che si cimentano in questo tentativo corrono il rischio di narrare solo una serie di fatti esteriori, senza riuscire a cogliere l’essenza che sta oltre l’apparenza. La vita di questi grandi sfugge ad ogni tentativo di storicizzazione. Nel loro caso non è possibile applicare i comuni concetti evolutivi di nascita, crescita, sviluppo e morte, che cadono sotto il dominio dello spazio e del tempo. Secondo gli Indù, tutta la creazione spazio-temporale è il lila (gioco) di Dio. Con il termine lila si definiscono anche le vicende terrene delle incarnazioni di Dio. Mataji diceva spesso di essere una spettatrice distaccata che giocava volontariamente nell’illusorio teatro del mondo di nomi e forme; per questo ci sembra corretto parlare di ‘Lila di Sri Anandamayi Ma’.

Premesso questo, vediamo in breve quali sono stati i fatti salienti del suo lila. I suoi genitori erano dei devoti vaishnava. La madre, che si chiamava Mokshada, era il modello sublime di tutte le donne indù. Dopo la nascita della prima figlia, il padre se n’era andato per condurre vita ascetica, ma la morte improvvisa della bambina gli aveva fatto riprendere la vita di capofamiglia. Pochi anni dopo, a Kheora, un piccolo villaggio del Bengala Orientale (oggi Bangladesh), il 30 aprile 1896, dodici minuti prima che il sole si levasse, nacque loro un’altra bambina, che fu chiamata Nirmala Sundari Devi. Dopo di lei nacquero altri quattro fratelli e due sorelle.

Nirmala Sundari (che vuol dire Bellezza Immacolata) crebbe in un’atmosfera d’estrema semplicità; sempre gioiosa e sorridente, era servizievole e amica di tutti, Indù e Musulmani. Obbediva senza esitare alle parole dei grandi. La sua istruzione scolastica durò poco meno di due anni, poiché la famiglia non poteva fare a meno dei suoi servizi. La sua educazione religiosa fu scarsa, ma ben presto accompagnò il padre nelle cerimonie religiose, cantando con lui gli inni sacri. Ogni tanto aveva dei momenti di ‘assenza’: nel bel mezzo di un lavoro o di un gioco la bambina diventava inerte, con lo sguardo fisso e, quando riprendeva i sensi, sembrava tornare da molto lontano. Altre volte la vedevano parlare con le piante e con esseri apparentemente invisibili. Queste cose erano comunque piuttosto rare, e i suoi genitori non se ne preoccuparono. Nel 1909 disposero il matrimonio della figlia con il bramino R. M. Chakravarti, che in seguito sarà chiamato Bholanath (un nome di Shiva). Secondo la consuetudine, dopo la cerimonia la sposa ritornò a vivere coi propri genitori. Bholanath, che era molto più grande d’età, cambiava spesso lavoro e si spostava di continuo per tutto il Bengala Orientale; così la coppia si riunì solo dopo cinque anni. Un anno dopo la cerimonia (secondo la consuetudine del luogo), Nirmala andò a vivere con la famiglia del marito, per prepararsi ai suoi futuri doveri di moglie. Anche qui stupì tutti per la sua obbedienza, per la precisione e la rapidità con cui lavorava e soprattutto per la sua gaiezza.

La vita coniugale con Bholanath cominciò nel 1914, anno in cui lei lo raggiunse nel suo nuovo posto di lavoro. Egli pensava d’aver sposato una ragazza come tante, ma dovette presto accorgersi che il destino gli aveva riservato una compagna particolare. Quando all’inizio cercò d’avvicinarla fisicamente, ricevette una scossa elettrica talmente forte da fargli passare ogni idea di relazione fisica. Pensò fosse solo una situazione temporanea, che la moglie fosse ancora troppo giovane, e sperò che in seguito tutto diventasse ‘normale’. Il matrimonio non fu mai consumato. A questo riguardo, la stessa Mataji disse a Didi nel 1938, dopo la morte di Bholanath: “Nella sua mente non vi fu mai l’ombra di un pensiero mondano . Quando la notte giacevamo vicino a lui, egli non faceva differenza tra me e la piccola Maroni (la nipote di sua sorella). Ricorderai che spesso, quando la notte andavi via, mi stendevi vicino a lui quando questo corpo era in uno stato di bhava (estasi). Egli non fu mai turbato dalla coscienza del corpo... guardava e si prendeva cura di questo corpo in maniera altruistica, senza pensare a sé. Una volta o due in lui vi fu un barlume di pensiero mondano ancora così informe da non essere sul suo piano cosciente, e questo corpo manifestò tutti i sintomi della morte. Egli si spaventò e fece japa, sapendo di poter ristabilire il contatto con me solo in quel modo”. È chiaro che le benedizioni della moglie aiutarono il marito a liberarsi di ogni desiderio terreno; il suo autocontrollo divenne eccezionale.

Dal punto di vista sociale il loro matrimonio appariva anomalo. La tradizione indiana vuole la moglie sottomessa al marito, che dev’essere considerato come un dio; e sebbene Mataji recitasse dapprima il ruolo della moglie obbediente, man mano che si diffondeva la fama del suo stato spirituale sorgevano nuovi problemi che turbavano la relazione tradizionale tra moglie e marito. Alla luce degli avvenimenti è chiaro che Mataji modellò impercettibilmente il marito-discepolo, finché questi non fu in grado di risolvere ogni problema. Egli deve aver sentito che la ricca messe spirituale lo ricompensava abbondantemente della mancanza di una normale vita familiare.

Durante quel periodo le estasi di Sri Ma cominciarono a manifestarsi anche al di fuori dell’intimità della loro casa; così la sua fama cominciò a diffondersi. Nel 1916 Mataji s’ammalò gravemente e fu condotta in casa dei suoi genitori, dove rimase fino al 1918; quindi raggiunse Bholanath a Bajitpur, dove questi aveva trovato lavoro.

I sei anni che seguirono (fino al 1924) sono considerati quelli del ‘gioco della sadhana’. Nelle sue parole: “Un giorno, a Bajitpur, andai a fare il bagno nello stagno vicino casa. Mentre mi spruzzavo l’acqua sul corpo, mi venne improvvisamente il kheyala: ‘Come sarebbe se giocassi il ruolo di una sadhika (una donna che pratica sadhana)?’. Così cominciò il lila...”.  Più in là disse: “Posso dirvi che ciò che sono, lo sono stata fin dall’infanzia; ma quando in questo corpo si sono manifestate le diverse fasi della sadhana c’è stata una sovrapposizione d’ajnana (ignoranza). Che tipo d’ajnana? In realtà era jnana (conoscenza) mascherata d’ajnana”. Disse anche: “In genere un velo separa l’uomo dal suo Sé, ed è quel velo che dev’essere gradualmente assottigliato con la sadhana; ma in questo caso non si è interposto alcun velo. È stato prodotto per gioco, per poi essere ritirato”.

Di notte la Madre sedeva in un angolo della stanza, assumeva spontaneamente asana (posizioni) complicatissimi e pronunciava vari mantra. Cantava spesso per ore, ripetendo il nome di Hari. Ciò dispiacque a Bholanath; essendo uno shakta chiese all’estatica Madre di cantare i nomi di Shiva o di Kali. Lei l’accontentò subito, consapevole dell’equivalenza di tutti i nomi di Dio. All’inizio Sri Ma faceva sadhana solo di notte; ben presto, però, mantra e strofe sanscrite cominciarono ad uscire dalle sue labbra anche in presenza di estranei. Durante quel periodo si manifestarono diverse vibhuti (poteri soprannaturali) e fenomeni strani.

Mataji non ebbe mai un guru nel senso comune del termine. La notte della sua iniziazione (3 agosto 1922), dopo aver preparato il pasto al marito, sedette come al solito, e ad un tratto fu ispirata a svolgere nello stesso tempo il ruolo del guru e del discepolo. In un attimo le sue dita disegnarono sul terreno uno yantra; dal più profondo Sé le venne spontaneamente il bija mantra, che scrisse all’interno del segno mistico, e cominciò a ripeterlo con la realizzazione che guru, discepolo e mantra erano un’unica cosa.

Nei mesi che seguirono la sua sadhana crebbe d’intensità. Le funzioni normali del suo corpo si fermavano e solo raramente toccava cibo o sentiva il bisogno di dormire. Nel dicembre del ‘22, contrav­venendo ad ogni convenzione, nel giorno e nell’ora stabilita, Mataji iniziò Bholanath secondo le regole delle scritture, pur senza cono­scerle. Dopo questa iniziazione ella rimase in silenzio per circa tre anni, interrompendo il mauna solo di rado per pronunciare un mantra o confortare qualcuno in grande bisogno. Nel 1924, mentre la Madre era ancora in silenzio, Bholanath perse il lavoro e si trasferì con la moglie a Dacca, dove trovò occupazione come responsabile dei giardini del nababbo. Qui, in una casetta, continuò il lila di Mataji. Le estasi divennero sempre più frequenti, al punto che il marito riteneva pericoloso lasciarla sola in casa. La sua fama si diffondeva sempre più e un numero sempre crescente di persone andava a trovarla.

Nel 1924 Bholanath e Mataji andarono a Siddheshwari, un luogo sacro nei pressi di Dacca, in cui si trovavano le rovine di un antico tempio dedicato a Kali. Da settembre in poi, accompagnata dal marito o dal padre, Sri Ma passò spesso le notti in questo tempio quasi inaccessi­bile. Nell’aprile del 1925 suggerì a Bholanath di costruirvi una tettoia. Una settimana dopo vi ritornò con numerosi discepoli e chiese che vi si celebrasse la festa di primavera in onore di Durga. Qualche anno dopo Mataji acconsentì a far sorgere un ashram a Siddheshwari. Quando il silenzio di Sri Ma ebbe termine, nell’ottobre del ‘25, Bholanath permise che i devoti le parlassero liberamente. Alla fine del silenzio, Mataji cominciò un lungo digiuno: “Per quattro o cinque mesi questo corpo ha vissuto con pochi chicchi di riso al giorno... Il fatto è che non abbiamo bisogno di tutto ciò che mangiamo. Il corpo non assimila che la quintessenza del cibo, e rigetta il resto. Come risultato dell’ascesi, al posto del cibo, questo corpo ha preso dall’ambiente tutto ciò che gli era necessario. Può anche nutrirsi d’aria, e allora otteniamo l’essenza delle cose... e il corpo si trova in samadhi. Vedete che con l’ascesi tutto è possibile”. Mataji perse gradualmente l’abitudine di portare il cibo alla bocca e da allora venne imboccata da altri, dapprima da Bholanath, poi principalmente da Didi. In seguito altre discepole più giovani ebbero quest’incarico. La Madre disse: “Considero mie tutte le mani; in realtà mangio sempre con la mia mano”. Nutrire Sri Ma fu difficile. All’inizio accettava quantità insignificanti di cibo o rifiutava completamente di mangiare. Una volta si astenne da cibo e bevande per 23 giorni. Un’altra volta non mangiava da giorni e, quando Bholanath si lamentò per la sua salute, il giorno dopo ella mangiò tutto il pane disponibile, esaurendo completamente la scorta di burro e farina della casa. Disse: “Ce ne fosse stato ancora, l’avrei mangiato. Non preparate le cose per me. Se cominciassi veramente a mangiare nessuno di voi, per quanto ricco, sarebbe in grado di provvedere a me”. Mataji era contraria all’accumulo delle scorte alimentari. Una volta, in casa di un devoto di Calcutta, saputo di un certo quantitativo di cibo riposto, andò nel magazzino e fece distribuire quanto vi era alle famiglie del vicinato.

La prima apparizione pubblica di Sri Ma avvenne in occasione del Kalipuja del 1925, che ella accettò di condurre con riluttanza. Durante la cerimonia pose sulla propria testa i fiori e la pasta di sandalo che dovevano essere posti sulla statua di Kali. In lei si produsse un cambiamento, la sua carnagione si scurì, i suoi occhi s’ingrandirono a dismisura, e tutti i presenti la videro con i tratti di Kali. Permise il sacrificio di una capra, secondo la tradizione, ma fece intendere che nei Kalipuja ai quali avrebbe partecipato non voleva che si sacrificassero animali. Spiegò che il vero significato del sacrificio animale è quello di sacrificare la propria natura inferiore o animale, vivendo in maniera tale da innalzarsi alla vera natura divina dell’uomo.

Nell’ottobre del ‘26 le chiesero di nuovo di celebrare il Kalipuja. Ancora una volta ella deviò dal rituale tradizionale; nel momento dell’offerta del sacrificio (che non permise), suggerì di conservare il fuoco sacrificale per un mahayajna (sacrificio in favore di tutti gli esseri). Quel fuoco si conserva ancora negli ashram di Benares, Dehradun e Naimisharanya. Secondo la consuetudine, alla fine di un puja la statua della dea viene immersa nell’acqua. Su richiesta di una devota, la Madre diede istruzioni affinché la statua di Kali fosse conservata; in seguito fu installata nell’ashram di Ramna. Nel corso di quelle ed altre cerimonie, Mataji si trasformava e appariva nei tratti gloriosi di Durga o in quelli terrificanti di KaIi. Il giorno dell’anniversario di Krishna apparve come lo stesso Krishna. I suoi tratti si trasformavano completamente.

Su consiglio della Madre, nel giardino del nababbo si organizzarono kirtan e cerimonie religiose, senza incontrare opposizione da parte dei Musulmani. Mataji si meritò il rispetto e la stima della famiglia del nababbo e della comunità musulmana. Manifestò spesso e apertamente la sua reverenza per l’Islam. La Madre si considerava nello stesso tempo cristiana, musulmana, indù, “tutto quello che volete”; ma la maggior parte dei suoi devoti era indù. Tra il ‘25 e il ‘26 arrivarono alcuni tra i suoi più grandi devoti: Gurupriya Devi, chiamata Didi (sorella), che s’oppose al piano dei genitori che volevano sposarla, e che Sri Ma accolse con le parole: “Dove sei stata tutto questo tempo?”, come si trattasse di una vecchia conoscenza. Didi divenne la persona più vicina a Sri Ma; dapprima l’aiutò ad assolvere i doveri di casa e poi a dirigere i vari ashram che le si crearono intorno. A lei dobbiamo la registrazione più completa del Lila di Mataji. Un altro grande devoto fu Bhaiji (fratello maggiore), che nel suo magnifico libro ‘Matri Darshan ci ha lasciato una preziosa testimonianza degli anni trascorsi con la Madre.

Fu in questo periodo (1926) che la gente cominciò ad andare regolarmente da Anandamayi Ma, aspettandosi la guarigione dei mali fisici. Ella fece però capire che avrebbe curato solo quando era portata a farlo, secondo il suo kheyala. I miracoli si moltiplicarono. Di questo periodo Mataji disse: “Avevo il kheyala d’essere come un sadhaka; era dunque naturale che si manifestassero spontaneamente le caratteristiche proprie di un’intensa ascesi. Il vero sadhaka non attribuisce alcuna importanza ai poteri che si sviluppano in lui, e non ne fa un uso deliberato; tuttavia le persone possono trarre grande profitto dall’abbondanza che straripa dal suo sforzo cosciente”.

La vita di Mataji ritornò gradualmente ‘normale’, e i fenomeni strani scomparvero quasi del tutto. Alla fine del 1926 il ‘gioco della sadhana era terminato. Fu allora che la Madre Permeata di Gioia abbandonò la vita stabile e cominciò a viaggiare incessantemente per tutta l’India del centro-nord. All’inizio del 1927 Sri Ma e il suo seguito visitarono Rishikesh e Hardwar. Mentre erano in quest’ultima città, ordinò a Didi e al padre di questa di rimanervi tre mesi e praticare tapas in solitudine.

Prima di tornare a Dacca, Sri Ma si fermò a Mathura, Vrindaban e Benares. In aprile, in occasione del trentunesimo compleanno della Madre, Bhaiji suggerì che in suo onore si facessero puja e kirtan. Ogni anno, da allora, si celebra il compleanno di Mataji, con festeggiamenti che durano più di una settimana e ai quali partecipano grandi folle di devoti. Ci si potrebbe chiedere perché Mataji abbia permesso queste celebrazioni. Nel 1956, in occasione del suo sessantesimo compleanno, un devoto le chiese quale fosse il significato di quella festa. Rispose dicendo che era vero che lei non era mai nata, ma era stato così anche per il Signore Krishna, eppure si celebrava la Sua nascita. Queste feste, di carattere unicamente religioso, servono a focalizzare l’attenzione della gente sul Divino, per accrescerne la devozione e la recettività spirituale. A Bhaiji si deve anche il fatto di aver incluso come parte integrante dei kirtan i canti devozionali rivolti a Sri Ma.

All’inizio del 1928 Bholanath perse il posto di lavoro. Nel settembre dello stesso anno, durante una visita a Benares, Mataji incontrò M. Gopinath Kaviraj, uno dei più grandi studiosi di sanscrito, che divenne uno dei suoi più ardenti devoti e che pubblicò molti libri su di lei. A Benares le folle si accalcavano per avere il darshan di Sri Ma. Ciò che era rimasto della sua vita ‘privata’ venne sostituito dai suoi doveri verso coloro che cercavano in lei un rifugio spirituale. Bholanath dovette adattarsi ad una vita che aveva poco o nulla della normale esistenza familiare. Nel dicembre del 1928 Mataji vide che era venuto il tempo d’intensificare la sadhana di Bholanath, e così gli disse di andare a praticare la meditazione solitaria a Tarapith, un luogo sacro caro agli asceti.

Quando i devoti vollero celebrare il compleanno di Sri Ma del 1929, s’accorsero che l’ashram di Siddheswari non bastava più a contenere tutti. Le celebrazioni si svolsero dunque nell’ashram appena completato di Ramna, a Dacca. Al termine della festa, Sri Anandamayi Ma annunciò la risoluzione di lasciare Dacca quella stessa notte. Chiese a Bholanath il permesso di partire, con la premessa che se avesse rifiutato Ella avrebbe lasciato immediatamente il corpo. Il pellegrinaggio la portò nell’Himalaya, ad Ayodhya e a Benares. Dopo il ritorno a Dacca non fu più in grado di tenere in mano gli utensili da cucina, e dovette abbandonare tutti i lavori di casa. Bholanath protestò e cadde malato. Nelle parole di Mataji: “Per alcuni giorni provai a cucinare con l’aiuto di mia madre... non avevo obiezioni e per me non faceva differenza... ma pochi giorni dopo Bholanath cadde malato e m’ammalai anch’io. Così, dopotutto, non s’arrivò a niente”. Il lila familiare era evidentemente terminato.

Il primo incontro di Sri Ma con la comunità accademica, convenuta a Dacca per un congresso di filosofia indiana, risale a quel periodo. Gli studiosi andarono a trovarla e l’interrogarono per ore sulle questioni più profonde e difficili. Ella rispose spontaneamente, con serenità e precisione, libera da ogni pastoia metafisica.

Il numero dei devoti crebbe sempre più. Seguì un periodo di viaggi apparentemen­te a caso per tutta l’India del Nord. Nell’agosto del 1930 Sri Ma, insieme a Bholanath, intraprese il suo primo viaggio nell’India del Sud, fino a Capo Comorin.

Nel 1932, dopo le celebrazioni per il suo compleanno, la Madre manifestò l’intenzione di lasciare Dacca per sempre. A tarda notte fece chiamare Bhaiji, che con Bholanath fu l’unico ad accompagnarla e, senza portare quasi niente, i tre partirono e andarono nell’Hima­laya. Dal 1932 ad oggi il lila della Madre Permeata di Gioia è stato un interminabile susseguirsi di feste religiose, puja, kirtan e satsanga. Tutti vorrebbero che Sri Ma santificasse la loro casa con la sua presenza. A Calcutta i devoti sono innumerevoli.

La Madre continua a muoversi per l’India del Nord circondata dai discepoli più intimi e attesa sempre da migliaia di devoti che sperano di beneficiare della sua presenza. Ovunque vada, la concentrazione è sempre rivolta al Divino. Mataji invita continuamente l’uma­nità a risvegliarsi dal sonno dell’ignoranza alla realizzazione dell’Uno.

Bhaiji, uno dei suoi devoti più intimi, morì ad Almora nel 1937, poco dopo aver preso sannyasa dalla Madre. Bholanath morì di vaiolo nel 1938. L’anno successivo la madre di Sri Ma, Didima, prese sannyasa col nome di Swami Muktananda Giri e servì al fianco della figlia fino alla morte (1970). Didi Gurupriya Devi, la grande compagna della Madre, ha lasciato il corpo nel 1981.

Visto il grande numero di devoti in tutta l’India (come pure in Europa e in America) e il formarsi di più di venti ashram intorno alla Madre, nel 1950 fu stabilita a Benares la Sri Sri Anandamayi Sangha. La Madre non è in alcun modo coinvolta nell’amministrazione o nel controllo del sangha; l’unica cosa di cui è personalmente responsabile è l’annuale Samyam Vrata, iniziato nel 1952. Si tratta di una settimana di ritiro, nel corso della quale si pratica un’intensa disciplina spirituale sotto la guida diretta di Sri Ma.

Sollecitando l’uomo a rinunciare al mondo almeno per una settimana, Sri Anandamayi Ma gli chiede di praticare almeno per pochi giorni quella rinuncia che è il suo modo di vivere da più di mezzo secolo.

A quelli che si rattristano nel vederla partire continuamente, la Madre Permeata di Gioia risponde: “Io non vado da nessuna parte, sono sempre qui. Non c’è andare né venire; tutto è Atman”.

Dice ancora: “Ovunque siate, sono sempre con ciascuno di voi; ma vi lasciate prendere dalle cose materiali e non vi resta molto tempo per rivolgere i vostri pensieri e le vostre azioni verso questo corpo. Che ci posso fare? Ma sappiate che qualunque cosa diciate o facciate, che mi siate vicini o lontani, nulla mi sfugge. Come la vostra figura può uscire subito dall’ombra accendendo una luce, così m’appaiono tutte le espressioni del vostro viso allorché meditate su di me, parlate di me o m’invocate”.

 

Sri Sri Anandamayi Ma è entrata in mahasamadhi (l’uscita finale dal corpo di uno yogi o yogini) nell’estate del 1982.

 

 

 

 

 

 

Titoli originali delle opere tradotte in questo volume:

 

“Matri Darshan” – di Bhaiji,

 

“Words of Sri Anandamayi Ma”

– tradotto e compilato da Brahmacharini Atmananda.

 

 

Traduzione italiana e introduzione biografica

a cura delle Edizioni Vidyananda.

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