MATRI  DARSHAN

Visiome della Madre

 

(La Madre come mi si è rivelata)

 

di Bhaiji

 

 

 

 

 

Prefazione

 

 

 

L’autore di questo libro, Sri Jyotish Chandra Ray, noto comunemen­te come ‘Bhaiji’ (fratello maggiore), era molto amato e riverito dai devoti di Sri Anandamayi Ma; invero potrebbe essere chiamato il principe dei bhakta. Chiunque ebbe la fortuna d’incontrarlo restò colpito dalla trasparente nobiltà del suo carattere, dalla sua estrema semplicità e dal suo raro spirito di servizio. Grazie ad una eccezionale purezza ed umiltà poteva vedere le cose con rara intuizione. ‘Matri Darshan’ è prezioso perché è stato scritto da un devoto di grande levatura spirituale, al quale Mataji aveva – in misura grande o piccola – rivelato Se Stessa. Il sentimento di Bhaiji può essere espresso meglio con le sue parole: “Anche se piccole porzioni del cielo infinito si rispecchiano in stagni e laghi, questi riflessi non possono darci un’idea dell’immensità del firmamento. Allo stesso modo è impossibile avere consapevolezza dell’infinita grandezza del vero essere di Sri Ma da ciò che questo strumento tanto imperfetto ha potuto riflettere della sua Grazia”.

Grazie alla narrazione di Bhaiji possiamo però percepire qualcosa dell’amore che Sri Ma nutriva per tutti gli esseri viventi, della sua saggezza non contaminata dalla conoscenza intellettuale e dal settarismo, della sua gioia sempre radiosa che non era di questo mondo.

Sri Jyotish Chandra Ray nacque il 16 luglio del 1880 a Chittagong, dove ricevette la sua istruzione. Il libro stesso darà al lettore un’idea dei fatti essenziali della sua vita, per quanto riguarda il suo rapporto con Sri Sri Ma. Nel 1937, poco dopo aver completato il manoscrit­to di ‘Matri Darshan’, egli accompagnò Sri Sri Ma e Bholanathji in un pellegrinaggio al monte Kailash, insieme a Gurupriya Devi e a suo padre, Swami Akhandananda. Quando furono vicini alla meta avvenne un episodio che ci rivela qualcosa della statura di Bhaiji. Lui e Bhotanath camminavano avanti, mentre il resto del gruppo stava dietro. Raggiun­to il lago Manasarovar, Bhaiji fu preso dallo spirito della suprema rinuncia e, gettando nel lago i vestiti e il cordone sacro, entrò nelle acque gelide. Con le mani giunte, chiese a Bholanath il permesso di vagare da solo per le montagne. Bholanath non ne volle sapere e gli ordinò di rivestirsi e aspettare Mataji. Quando Ella arrivò, circa due ore dopo, dalle sue labbra uscirono spontaneamente sannyasa mantra. Fu in questa maniera inusuale che Bhaiji ricevette sannyasa, e da allora fu chiamato Swami Mounananda Parvat.

Su richiesta di Mataji, Bhaiji riaccompagnò il gruppo ad Almora. Sulla via del ritorno fu colto dalla febbre alta e, alcuni giorni dopo aver raggiunto Almora, spirò. Era il 18 agosto 1937, Jhulan Dvadasi. Per tutta la durata della sua malattia, Mataji si prese teneramente cura di lui. Per molte notti consecutive non riuscì a dormire, eppure la calma serenità del suo volto non fu turbata. Aveva sempre il suo solito sorriso e la sua presenza riempiva la stanza di pace e tranquillità. Quando chiesero a Bhaiji come avrebbero potuto mandare avanti l’ashram di Dehradun senza il suo aiuto e la sua guida, rispose: “Il lavoro non è mio, ma di Sri Ma. Con la sua grazia tutto andrà bene; siamo solo strumenti nelle sue mani”.

Riferendosi alla morte di Bhaiji, Bholanathji scrisse: “Jyotish fu pienamente cosciente sino alla fine. Poco prima di morire mi disse: ‘Baba, in questo mondo nessuno ci appartiene. Soltanto Sri Sri Ma è reale’. Dopo aver cantato ‘Ma, Ma’ e ‘Om’, chiamò Hari Ram Joshi e gli disse: ‘Ascolta, siamo tutti uno. Ma ed io siamo uno, Pitaji ed io siamo uno’. Fissò il suo sguardo su Mataji e pronunciando ‘Ma, Ma’ esalò lentamente il suo ultimo respiro”.

Prima di partire per il monte Kailash, Bhaiji aveva lasciato il manoscritto in bengali di ‘Matri Darshan’ al traduttore. Era suo espresso desiderio che il libro fosse pubblicato simultaneamente in bengali, hindi e inglese, ma la sua morte improvvisa sconvolse ogni piano. L’originale in bengali fu pubblicato la prima volta nel 1937, poco dopo la sua morte. La traduzione in hindi apparve solo nel 1951 e quella in inglese nel 1952.

Bhaiji fu il primo a far conoscere al mondo qualcosa dello straordinario lila di Sri Anandamayi Ma. I ricercatori spirituali di tutto il mondo gli hanno espresso stima e profonda gratitudine per questo lavoro d’amore.

 

 

 

 

 

 

 

 

Introduzione

 

 

Scrivere una biografia di Sri Sri Anandamayi Ma o attirare l’attenzione del mondo sui suoi infiniti poteri non è lo scopo di questo mio umile tentativo. In un breve ritratto ho descritto solo pochi fatti della mia esperienza diretta, per mostrare come Ella abbia aperto la sorgente della vita nella mia anima quasi inaridita. Tutte le imperfezioni presenti in questo lavoro sono imputabili ai miei limiti personali, per i quali imploro sinceramente il suo perdono.

Persi mia madre quand’ero ancora un bambino. Ho sentito dire ai miei parenti che quando udivo altri bambini balbettare ‘Ma, Ma’ i miei occhi s’inondavano di lacrime, e che per placare il mio cuore mi stendevo a terra e piangevo in silenzio.

Mio padre era un uomo pio. Durante la mia infanzia il profondo spirito religioso della sua vita piantò in me i semi dell’aspirazione divina. Nel 1908 ebbi l’iniziazione allo shakti mantra dal nostro guru di famiglia. Adorai dunque la Madre Divina. Durante la preghiera, quando potevo esprimere tutto il mio fervore spirituale ripetendo ‘Ma, Ma’, trovavo grande conforto e felicità. Anche allora sentivo che la Madre è fonte di gioia suprema e di felicità per tutti gli esseri. Vi era in me il desiderio irresistibile di trovare una Madre vivente che, con il suo sguardo amorevole, trasformasse la mia anima agitata dalla tempesta. Avvicinai molte sante persone ed ero così disperato che consultai anche gli astrologi per avere risposta alla mia domanda: ‘Avrò la fortuna d’incontrare una tale Madre?’. Tutti mi davano grandi speranze.

Con questa speranza visitai molti luoghi sacri ed ebbi l’opportu­nità d’incontrare numerose personalità spirituali, ma nessuno poté soddisfare il mio desiderio.

Lavoravo in un ufficio statale a Calcutta che nel 1918 fu trasferito a Dacca; anch’io fui mandato là. Verso la fine del 1924 venni a sapere che Mataji viveva da alcuni mesi a Shahbag, nei pressi della città, osservando il silenzio per lungo tempo, seduta sempre in qualche posizione yoga. In rare occasioni tracciava una linea sul pavimento intorno a lei e, dopo avere recitato dei mantra o testi sacri, aveva brevissime conversazioni con le persone.

Una mattina mi recai là con spirito devoto e fui abbastanza fortunato da vedere Mataji grazie alla cortesia di suo marito, al quale la gente si rivolgeva chiamandolo Pitaji o Padre. Il mio cuore ebbe un fremito nel vedere la sua tranquilla posizione yoga, unita alla modestia e alla grazia di una ragazza appena sposata. Ad un tratto mi balenò in mente che la persona che il mio cuore aveva cercato ardentemente in tutti quegli anni e per la quale avevo visitato tanti luoghi sacri, s’era manifestata davanti a me.

Il mio essere fu inondato di gioia ed ogni cellula del mio corpo danzò in estasi. Ebbi l’impulso di prostrarmi ai suoi piedi e di gridare piangendo: ‘Ma, perché mi hai tenuto lontano da te per questi lunghissimi anni?’.

Dopo alcuni minuti le chiesi: “Ho qualche possibilità di progresso spirituale?”. Rispose: “Il tuo desiderio per lo spirito non è ancora abbastanza forte”. Ero arrivato con tanti pensieri che lottavano per esprimersi, ma furono ridotti al silenzio dalla magica influenza della sua grazia rasserenante. Sedevo muto, senza parole. Anche Sri Ma non diceva una parola. Dopo un po’ m’inchinai ed andai via. Non potei toccarle i piedi, sebbene avessi un forte desiderio di farlo. Non fu per timore o delicatezza; qualche potere misterioso m’allontanò dalla sua presenza.

Non tornai a Shahbag per molto tempo. Pensavo: ‘Finché non m’attirerà a Sé come mia Madre, rimuovendo il suo velo, come potrò abbandonarmi ai Suoi piedi?’. In me c’era un grande conflitto: un ardente desiderio di vederla e un acuto dolore per il suo distacco. I due sentimenti erano ugualmente forti e opposti. Nessun tipo d’approccio sembrava possibile. Nel frattempo ero solito andare nell’adiacente tempio Sikh, e dal muro di cinta del giardino guardavo la Madre da lontano così che nessuno potesse accorgersene. In quei giorni d’indecisione analizzavo i movimen­ti della mia mente e mi chiedevo spesso: ‘Che sta succedendo?’.

Non avevo la forza di prendere una decisione. Mi facevo dare spesso notizie di Mataji e ascoltavo con attenzione ogni storia riguardante il Suo lila. In questo modo trascorsi sette mesi, tra il chiasso e la confusione della vita quotidiana. Un giorno invitai Mataji a casa mia. Nell’incontrarla dopo tanto tempo, un’intensa gioia faceva vibrare tutto il mio essere, ma la felicità fu breve. Quando stava per andarsene m’inchinai per toccarle i piedi, ma Ella li ritrasse. Mi sentii trafitto da un’acuta sofferenza.

Provai ad alleviare le pene del mio cuore confuso leggendo vari libri religiosi. Decisi di pubblicare un libretto sulla religione e le pratiche religiose. Il libro fu pubblicato con il titolo ‘Sadhana’ e ne inviai una copia a Sri Ma attraverso Sj. Bhupendra Narayan Das Gupta. Ella gli disse soltanto: “Chiedi all’autore di venire a trovarmi”.

Ricevuta questa chiamata dalla Madre, una mattina andai a Shahbag e vidi che il periodo di silenzio che aveva osservato negli ultimi tre anni era terminato. Venne e si sedette vicino a me. Le lessi tutto il libro e, dopo aver ascoltato il contenuto, mi disse:

“Dopo tre anni di silenzio le mie corde vocali non funzionano bene, ma oggi le parole mi escono da sole dalla bocca. Il tuo libro è buono. Cerca di sviluppare di più la purezza di pensiero e azione”.

Anche Pitaji era presente a questo colloquio. Cominciai a sentire che un nuovo mondo si spalancava davanti a me e che ero seduto come un bambino di fronte ai genitori. Da allora iniziai ad andare a Shahbag frequentemente. Chiesi a mia moglie di andare a trovare Mataji con delle offerte. In quel periodo Sri Ma era solita mettere un anello d’oro al naso. Mia moglie portò in dono a Sri Ma un grande piatto d’argento, yogurt, fiori, pasta di sandalo e un piccolo anello per il naso con un diamante, e con grande amore e reverenza li offrì ai suoi piedi.

In seguito venimmo a sapere che in quel periodo Mataji faceva mettere il suo cibo sulla nuda terra e che non usava alcun piatto. Per questo una volta Pitaji le aveva detto con disappunto: “Non vuoi il cibo su piatti d’ottone o di metallo. Vuoi mangiare da un piatto d’argen­to?”. Sri Ma rise e disse: “Sì, ma non parlarne con alcuno per i prossimi tre mesi e ti prego di non cercare piatti d’argento”. Non erano ancora trascorsi tre mesi quando le fu portato il piatto d’argento, come menzionato sopra.

Un giorno Mataji mi disse: “Ricorda, tu sei veramente un bramino, e c’è un intimo e sottile legame spirituale tra questo corpo* e te”. Da quel giorno cercai di mantenere puro il mio corpo sotto ogni aspetto.

Appresi da varie fonti che molti devoti di Mataji erano stati così fortunati da vedere manifestate nel suo corpo le forme di vari dei e dee; ma siccome nella sua vita quotidiana vedevo con i miei occhi manifestazioni di grandi poteri sovrannaturali, non mi preoccupavo di cercare espressioni particolari. La mia umile aspirazione era modellare la mia vita secondo gli ideali di pazienza e compostezza sempre manifesti in lei. Se vi fossi riuscito sarebbe stato più che sufficiente per me.

Un giorno la trovai sola e l’impulso naturale dell’uomo di voler vedere delle manifestazioni fisiche dei poteri divini, mi spinse a chiederle: “Madre, ti prego, dimmi, cosa sei in realtà?”. Ella rise forte e rispose con affetto: “Come possono sorgere nel tuo cuore delle domande così puerili? Le visioni di dei e dee appaiono in conformità alle proprie disposizioni ereditarie (samskara). Io sono quel che fui e quel che sarò. Sono qualunque cosa immagini, pensi o dici. È certo, però, che questo corpo non è venuto al mondo per raccogliere i frutti del karma passato. Perché non capisci che questo corpo è la manifestazione fisica di tutte le tue aspirazioni e idee? Voi tutti lo avete voluto e adesso l’avete; perciò per qualche tempo gioca con questa bambola . Altre domande sono inutili”. Dissi: “Que­ste tue parole, Ma, non soddisfano il mio ardente desiderio”. A queste parole, Ella disse con leggera veemenza: “Di’, di’, che altro desideri?”, e immediatamente un flusso abbagliante di luce divina risplendette sul suo volto. Rimasi muto e stupefatto. Tutti i miei dubbi furono acquietati.

Una quindicina di giorni dopo, una mattina andai a Shahbag e trovai la porta della camera da letto di Mataji chiusa. Sedetti a circa dieci metri di fronte a lei e all’improvviso la porta si aprì. Vidi con stupore la figura di una dea bellissima e luminosa come il sole del mattino che illuminava l’intera stanza. In un istante Ella ritirò tutto lo splendore nel suo corpo e vidi Mataji, in piedi, che sorrideva nel suo modo abituale.

In un attimo l’intera visione scomparve, come per effetto di una magia soprannaturale. Mi sembrò di ritornare dalla terra dei sogni. Capii subito che Sri Ma aveva rivelato se stessa in risposta a ciò che avevo detto alcuni giorni prima. Cominciai a recitare un inno e pregai: “Possa diventare un figlio degno di te, degno d’essere benedetto dalla tua grazia e bontà materna”.

Dopo un po’ Mataji avanzò verso di me. Prese un fiore e alcuni fili d’erba durba e li pose sul mio capo, mentre cadevo ai suoi piedi.

Ero fuori di me dalla gioia. Il passato non torna più, ma come vorrei un gioioso ritorno di quel momento benedetto!

Da allora cominciò a radicarsi nella mia mente la profonda convinzione che Lei non era solo mia madre, ma la Madre dell’universo. Tornai a casa. Appena mi raccolsi, balenò nella mia mente la stessa immagine luminosa di Mataji, mentre le lacrime mi scendevano sulle guance. Da quel giorno la sua grazia produsse in me un tale cambiamento, e in maniera così naturale, che la sua figura prese il posto della dea che avevo adorato per diciotto anni, fin dalla mia iniziazione in gioventù. A volte questo cambiamento mi faceva dubitare di star seguendo la giusta direzione. In pochi giorni Sri Ma occupò il suo posto legittimo nella mia anima, possedendola interamente.

Sri Anandamayi Ma (il suo nome era Nirmala Sundari Devi) nacque nel villaggio di Kheora, nella regione di Tipperah, nel 1318 dell’era saka (30 aprile 1896) nelle prime ore di venerdì, un’ora e dodici minuti prima dell’alba. Il luogo in cui è nata è stato acquistato di recente. Quando Mataji tornò a Kheora, il 17 maggio 1937, sollecitata dai suoi devoti indicò il luogo esatto in cui il suo corpo aveva toccato la terra per la prima volta. Suo padre, Bepin Behari Bhattacharji, era un discendente della famosa famiglia bramina dei Kashyapa del villaggio Vidyakut del medesimo distretto, e trascorse la sua infanzia a casa dello zio materno. La madre di Sri Ma, Mokshada Sundari Devi, aveva un’indole estremamente gentile e devota. Per la loro semplicità, condotta sociale e devozione a Dio, i genitori di Sri Ma erano pressoché ideali. La casa materna di Mataji a Sultanpur, Tipperah, aveva avuto da generazioni un alto livello sociale. Nella sua famiglia vi erano stati molti colti pandit e molti devoti. Si dice che una pia donna della stessa famiglia sia salita sulla pira funeraria del marito cantando inni di gioia. Quando aveva solo dodici anni e dieci mesi Sri Sri Ma fu sposata a Srijut Ramani Mohan Chakravarti, del villaggio Atpara di Vikrampur, che apparteneva alla famosa famiglia bramina dei Bharadwaj di quel villaggio. Il suo sposo dedicò la sua vita al bene altrui e in seguito fu chiamato Bholanath, Rama Pagla o Pitaji.

I primi anni di vita di Sri Ma trascorsero inosservati nei villaggi di Kheora e Sultanpur. Dopo il matrimonio passò qualche tempo a Sripur e a Narundi, dove lavorava il fratello maggiore di Bholanath; visse anche alcuni mesi nella casa del marito ad Atpara. Prima di giungere a Dacca, visse per circa tre anni a Vidyakut e per circa sei anni (dal 1918 al 1924) a Bajitpur con Bholanath.

Ad Astagram si manifestò per la prima volta in maniera palese l’inclinazione di Mataji per la musica sacra. A Bajitpur questa disposizione era percettibile solo a volte; in quel periodo le note dominan­ti della sua mente erano l’espressione naturale del simbolismo mantrico e delle pratiche yoga. Nel 1924, quando si trasferirono a Shahbag, a Dacca, il suo stato di calma e di silenzio continuava. Un’intensa pace e tranquillità divennero le caratteristiche che permeavano la sua vita! È impossibile con le parole dare un’idea della profondità di quello stato. In quel periodo si manifesta­rono in tutti gli aspetti della sua vita straordinari giochi di stati e di espressioni divine!

Fu allora che i devoti cominciarono a radunarsi intorno a lei. Molti prendevano parte all’adorazione, ai canti devozionali e ai riti sacrificali. È difficile descrivere come, davanti a lei, le loro anime sprofondassero in una calma beatitudine. Tutti allora la chiamavano ‘la Madre del giardino di Shahbag’ ed esprimevano la propria gioia dicendo che in tutta la loro vita non avevano mai goduto di una ricchezza simile alla grazia di Sri Ma.

A Bajitpur le apparve davanti alla mente l’intera storia del tempio di Kali Siddhesvari di Dacca. Durante la sua residenza a Shahbag, il defunto Rai Bahadur Pran Gopal Mukherji era direttore generale delle poste di Dacca. Questi e Sri Baul Chandra Basak trovarono gli aiuti necessari per mantenere il tempio di Siddhesvari.

Quando incontrai Sri Sri Ma la prima volta, Ella mi disse: “Il tuo desiderio per lo spirito non è abbastanza forte”. Chi, come me, era turbato dalle agitazioni dei desideri del mondo, non poteva aspirare ad una vita più elevata, a meno che non avesse imparato a riporre ai Suoi piedi tutte le onde incontrollate delle proprie emozioni ed impulsi. Nel segreto del mio cuore pregavo sempre in silenzio: “Madre, Tu che Ti manifesti in ogni essere come sete, desta in me una vera sete per le cose immutabili ed eterne”.

Nella sua infinita misericordia, Mataji diresse la mia indole instabile verso la sua presenza che tutto pervade, come viene narrato di seguito.

1. Una notte passeggiavo sul balcone di casa mia; il chiaro di luna illuminava gli oggetti intorno a me. Percepii un movimento al mio fianco e mi girai. Con stupore vidi un’imma­gine di Sri Ma che passava rapidamente accanto a me. Indossava una camicia rossa e un sari orlato da una serie di sottili linee rosse. Quando avevo lasciato l’ashram, solo un paio d’ore prima, avevo notato che indossava una camicia bianca e un sari con un unico e ampio orlo rosso. Questo mi fece dubitare dell’esattezza della visione. Quando andai da lei la mattina presto del giorno seguente, la trovai vestita esattamente come l’avevo vista la notte precedente. Mi dissero che quando ero andato via era giunto all’ashram un devoto che le aveva fatto indossare quegli abiti. Allorché Mataji seppe della mia visione, disse nel modo più naturale: “Sono venuta a vedere cosa stavi facendo”.

2. Un giorno Mataji venne a casa mia e si mise a conversare con noi al primo piano. In quel momento arrivò una macchina per condurla da un’altra parte. Non sapevo che tutto questo era stato organizzato prima. Mataji si preparò a partire, ed io provai una grande angoscia nel vederla lasciare casa mia dopo una visita così breve. Con il cuore afflitto scesi per vederla partire. Ella entrò in macchina, ma questa non si muoveva, malgrado i tentativi del conducente. Lei mi guardava con il viso illuminato da un gioioso sorriso. Falliti tutti i tentativi del conducente di far partire la macchina, fecero venire per lei una carrozza presa a nolo. Era penoso pensare che Sri Ma dovesse partire su una carrozza noleggiata quando c’era una macchina a disposizione. Proprio in quel momento la macchina cominciò a muoversi, con mia grande gioia e sorpresa, e Sri Ma partì.

3. La pressione della folla a Shahbag cresceva di giorno in giorno, man mano che la gente veniva a sapere di Mataji. Una volta non riuscii ad incontrarla per quattro giorni. La mattina del quinto giorno avevo deciso di andare da lei, ma la mia mente cambiò. Sedetti disperato nella mia stanza. Con mia sorpresa vidi apparire sul muro di fronte l’immagine completa di Sri Ma, come in un film. Sembrava molto triste. Girandomi trovai Sj. Amulyaratan Chowdhury in piedi, di fianco alla mia sedia. Mi disse: “Mataji ha mandato una carrozza per condurti da lei”. Quando raggiunsi il giardino di Shahbag, Sri Ma disse: “Ho notato la tua agitazione degli ultimi giorni. Pace e tranquillità non possono venire se all’inizio non vi è qualche forma d’inquietudine nella mente. Il fuoco va acceso con qualunque mezzo, con il burro chiarificato, con il sandalo o anche con la paglia. Una volta acceso, il fuoco brucia; tutte le preoccupazioni, depressioni e tristezze gradualmente scompaiono. Esso brucerà fino a incene­rire tutti gli ostacoli. Lo sai, una scintilla è sufficiente a provocare un incendio, che può ridurre in cenere centinaia di case e palazzi.

4. A mezzogiorno in ufficio o a mezzanotte nella mia camera da letto, quando il fortissimo desiderio di vedere Sri Ma mi rendeva totalmente inquieto, molte volte l’ho vista apparire davanti a me e subito mi diceva: “Mi hai chiamata e sono venuta”.

5. Un pomeriggio, tornato dall’ufficio, mi dissero che uno sconosciuto aveva lasciato un grosso pesce a casa mia, dicendo che sarebbe tornato presto; ma nessuno tornò. Il pesce era sul pavimento. Quando a sera nessuno si fece vivo, fu tagliato a pezzi e mandato alla Madre a Shahbag. Quando andai lì la mattina dopo, Pitaji mi disse: “La notte scorsa tua Madre mi ha detto: ‘Guarda, Jyotish è il mio dio’”. Chiedendo venni a sapere che la mattina precedente alcune persone avevano ricevuto il prasad di Sri Ma; poi la sera era arrivata molta gente per prendere parte al kirtan e tutti desideravano avere il suo prasad, ma non c’era nulla. Proprio nel momento in cui Mataji stava preparando le spezie e i condimenti per cucinare, era arrivato il mio servitore Khagen con il pesce e altre cose necessarie. Questo le aveva fatto proferire le parole riferite da Pitaji. “Sono rimasto stupito”, aveva aggiunto Bholanath, “nel sentire che una persona sconosciuta aveva portato un pesce a casa tua e che questo fosse stato mandato, insieme ad altre cose necessarie, per i devoti che desideravano il prasad di Ma”.

Tali episodi erano numerosi. A Shahbag un uomo pregava per avere un po’ di prasad da Sri Ma, ma in quel momento non c’era nulla. Proprio allora qualcosa mi spinse a mandare alcuni frutti e dei dolci. Quando il mio servitore giunse là, sembrò che Mataji lo stesse aspettando.

6. Una notte, verso le tre, ero seduto sul mio letto completamente sveglio. Mi venne in mente che Sri Ma stava dormendo con la testa rivolta nella direzione opposta a quella che le era abituale. Quando andai da lei all’alba, la trovai in quella posizione. Chiedendo venni a sapere che la Madre era uscita verso le tre di notte e che al ritorno aveva cambiato la sua abituale posizione.

Accadeva spesso che dalla mia stanza o dalla mia scrivania in ufficio potessi vedere distintamente ciò che Sri Ma stava facendo. Questo accadeva senza alcun intervento della mia volontà; a volte queste immagini attraversavano la mia mente senza che nemmeno vi pensassi. Bhupen andava ogni giorno a Shahbag e tramite lui potevo accertare la veridicità delle mie visioni: raramente vi era qualche discrepanza. Mataji mi diceva spesso: “La tua vera casa è Shahbag; vai a casa tua solo per fare una passeggiata”.

7. Una volta, a mezzogiorno, ero impegnato alla mia scrivania. Venne Bhupen e mi disse: “Mataji ti chiede d’andare a Shahbag. Le ho detto che oggi il direttore avrebbe portato in ufficio un sovraccarico di lavoro dovuto alla scadenza del suo incarico,  ma la Madre ha risposto: ‘Tu porta il messaggio a Jyotish; lui faccia ciò che ritiene opportuno’”.

Senza un attimo d’esitazione lasciai tutte le carte sparse sulla scrivania, e senza informare nessuno in ufficio partii per Shahbag. Quando arrivai, Sri Ma disse: “Andiamo al Siddhesvari Ashram”. Accompagnai Mataji e Pitaji. C’era una piccola cavità, proprio dove ora c’è una piccola colonna e uno Shiva-Lingam. La Madre sedette dentro la cavità; il suo volto pieno di gioia radiosa era illuminato da un sorriso. Rivolto a Pitaji esclamai: “Da oggi ci rivolgeremo a Sri Ma chiamandola Anandamayi (Permeata di Gioia)”. Mi rispose subito: “Sì, così sia!”. Lei mi guardò, fissandomi senza dire una parola.

Quando ritornammo, verso le 17,30, Ella mi chiese: “Sei stato tutto il tempo pieno di gioia, come mai ora hai l’aria tanto spenta?”. Risposi che il pensiero d’andare a casa mi aveva fatto pensare alla mole di lavoro lasciata in ufficio. Mi disse: “Non devi preoccuparti per questo”. Il giorno dopo, quando tornai in ufficio, il direttore non disse nulla della mia assenza del giorno precedente.

Chiesi a Mataji perché il giorno prima m’avesse chiamato così inaspettatamente. Mi disse: “Per vedere quanto eri andato avanti in questi ultimi mesi”. Con una risata gioviale aggiunse: “Se non fossi venuto, chi avrebbe dato un nome a questo corpo?”.

8. Una volta venne a Dacca sua eccellenza il governatore del Bengala. Il direttore mi chiese di essere in ufficio alle 9,30, perché voleva andare a far visita al governatore. Promisi di andare. La mattina seguente tornai tardi da Shahbag, e quando giunsi in ufficio erano le 9,50. Ero un po’ nervoso al pensiero d’affrontare il mio superiore. Mentre ci pensavo, egli mi telefonò da casa sua per dirmi che la macchina s’era guastata, che gli dispiaceva di avermi disturbato e che sarebbe andato al palazzo del governo alle 11.

Quando Sri Ma udì la storia, disse ridendo: “È una cosa nuova per te? L’altro giorno hai fatto fermare la macchina sulla quale dovevo partire”.

9. Una volta Mataji venne a casa nostra. Durante la conversazione dissi casualmente: “Sembra che per te, Ma, caldo e freddo siano la stessa cosa. Se un pezzo di carbone ardente ti cadesse sul piede, non sentiresti dolore?”. Ella rispose: “Basta provare”. Non spinsi oltre la questione.

Qualche giorno dopo, riprendendo il filo della conversazione precedente, Sri Ma mise un pezzo di carbone ardente sul suo piede. Si formò una piaga profonda che per un mese non si cicatrizzò. Fui veramente sconvolto dalla mia stupida istigazione. Un giorno la trovai seduta nella veranda con le gambe allungate e lo sguardo fisso al cielo. Sulla piaga  si era raccolto un po’ di pus. Mi prostrai ai suoi piedi e leccai il pus con la lingua e le labbra. Dal giorno appresso la ferita cominciò a rimarginarsi.

Chiesi a Mataji come s’era sentita quando il carbone acceso aveva bruciato la sua carne. Mi rispose: “Non sentivo alcun dolore. Sembrava un gioco; ho osservato con grande gioia ciò che il povero carbone faceva sul mio piede e ho notato che all’inizio bruciava qualche pelo e poi la pelle. C’era odore di bruciato, e infine il carbone è scivolato dopo aver fatto il suo lavoro. Più tardi si è formata una piaga, che ha fatto il suo corso, ma non appena hai avuto il forte desiderio che la ferita si rimarginasse c’è stato un rapido miglioramento”.

10. Era il mese di magh, il cuore dell’inverno, e il freddo era pungente. La mattina presto passeggiavo a piedi nudi con Sri Ma sui prati erbosi di Ramna, bagnati di rugiada. Vidi a una certa distanza un gruppo di donne che si dirigeva verso di noi. Pensai che appena fossero arrivate avrebbero portato Ma all’ashram di Ramna. Mentre questi pensieri m’attraversavano la mente, il prato si coprì di una fitta nebbia e le donne non si videro più. Dopo circa tre ore, quando tornammo all’ashram, ci dissero che le signore s’erano stancate di cercarci ed erano state costrette a rientrare deluse. I campi erano molto vasti. Quando Sri Ma fu informata dei miei pensieri, disse: “Il tuo desiderio è stato esaudito”.

11. Una volta Mataji aveva un forte raffreddore. Trovandola tanto malata, la pregai con voce supplicante: “Ma, torna subito in salute!”. Mi guardò e disse sorridendo: “Da domani starò bene”, e così fu.

12. Una mattina trovai Mataji con la febbre. Tornai a casa e la notte pregai ardentemente che la sua febbre passasse nel mio corpo. All’alba avevo febbre e mal di testa. Quando quella mattina andai da Ma come al solito, mi disse subito: “Io sono guarita, ma tu hai la febbre. Torna a casa tua, fai un bagno e mangia il solito cibo”. Feci così e nel pomeriggio ero guarito.

Sri Ma dice sempre: “Con la forza del pensiero puro e concentrato tutto diventa possibile”.

13. Mi capitò tra le mani un libro intitolato Sadhu Jivani (Vite di Santi) e vi lessi questa frase: “Egli (un sadhu) consigliava sempre ai suoi devoti di dare da mangiare ai poveri”. Scrissi la seguente nota a margine: “Dare solo cibo non soddisfa l’animo umano”. Il libro fu portato a Sri Ma a Shahbag e un devoto lesse la mia nota. Sri Ma non disse nulla. Qualche giorno dopo andai a Shahbag la mattina presto. Proprio allora venne un uomo, come pazzo, e disse: “Datemi del cibo o morirò di fame”. Mataji andò a cercare qualcosa in cucina e gli diede ciò che poté trovare in quel momento. Voleva dell’acqua da bere e Mataji mi disse di dargliene un po’. Venni a sapere che l’uomo era un musulmano che aveva digiunato per tre giorni ed era entrato nell’ashram saltando il recinto. Mataji mi disse che era giunto per insegnarmi l’importanza di dare cibo e acqua a chi ne aveva bisogno. Ogni cosa ha il tempo e il luogo stabilito; nella divina economia del mondo nulla va perduto.

14. Un giorno dissi a Sri Ma: “In questi giorni i mantra sorgono in me con un flusso continuo. Durante il giorno e nel cuore della notte il fluire del suono sgorga naturalmente dal mio cuore come gli zampilli di una fontana”. Mentre dicevo questo, nei recessi più profondi del mio cuore si celava una sottile sfumatura di soddisfazione personale. Sri Ma mi fissò in silenzio. Quando giunsi a casa il suono cessò e, malgrado tutti i miei sforzi, non riuscii a richiamarlo. Trascorse il giorno e la notte, ma il fluire gioioso della melodia del mantra non tornava. Il giorno dopo pregai Bhupen d’informare la Madre della mia triste condizione. Bhupen la incontrò per strada, mentre si recava a casa di un devoto in carrozza. Ella cominciò a ridere. Erano le dieci. Proprio in quel momento notai che il corso ostruito tornava a fluire con la facilità di prima. Venni poi a sapere da Bhupen che aveva incontrato Ma a quell’ora. A questo proposito diceva che anche la più piccola traccia di senso dell’io ritarda il progresso spirituale.

15. Racconterò un altro esempio della premura con la quale la benevola influenza di Sri Ma favorisce lo sviluppo della nostra vita interiore. È un peccato che non se ne riconosca il valore e non la si utilizzi per il nostro progresso spirituale. Passato l’entusiasmo iniziale ricadiamo sempre nella condizione prece­dente.

Una volta Sri Ma disse sorridendo: “Mentre cantate i nomi divini o i mantra, la vostra mente viene gradualmente purificata, si destano l’amore e la reverenza per l’Essere Supremo e i vostri pensieri diventano sempre più sottili. Cominciate allora ad avere barlumi dei piani più alti dell’esistenza che lavorano per la vostra elevazione”.

Il giorno che udii queste parole, sedetti in un angolo solitario di casa mia per le preghiere serali: sperimentai con stupore una nuova gioia al fluire dei nomi divini, che continuarono senza alcuna interruzione. Venne il sonno, ma appena mi risvegliai quelle gioiose vibrazioni fecero fremere di nuovo il mio essere. Durante il giorno lo stesso gioioso incanto continuò in tono sommesso mentre svolgevo il mio lavoro in ufficio. Verso il crepuscolo, quando disposi la mia mente alle preghiere, la beatitudine della sera precedente colmò di nuovo il mio cuore al punto che non avevo alcun desiderio di dormire. Nel cuore della notte il flusso era così intenso che pensai mi sarei sentito sollevato se vi fosse stata una pausa, che arrivò al momento giusto.

Non avevo mai praticato sedendo nella posizione gomukhi. Nelle prime ore del mattino, prima dell’alba, mi ritrovai in quella posizione. Durante quelle ore il mio corpo e la mia mente furono immersi in un mare d’inesprimibile gioia. Le lacrime sgorgavano dai miei occhi senza interruzione. Nell’incanto della meditazione trascorsi tutto il tempo immobile, rimanendo completamente assorto.

16. Una mattina, in quei primi giorni d’abbandono, sedevo in silenzio. Il mio cuore era pieno di profonda emozione per la grazia divina di Sri Ma, e prese forma questo canto in bengali:

 

Il Tuo culto e i Tuoi inni di lode

siano l’eterno conforto della mia vita.

Possa la mia vita essere piena di canti d’adorazione rivolti a Te,

di pensieri della Tua grazia divina.

Ti vedrò, Madre, nel cielo immenso,

con gli occhi ardenti.

Non chiederò alcun dono, non dirò una parola,

mi stenderò solo ai Tuoi piedi con lacrime di beatitudine.

Mi muoverò nella Tua infinita distesa di spazio

spargendo canti come fiori

che inneggino alla Tua gloria.

Mi immergerò nella Tua beatitudine,

cantando i Tuoi santi nomi e lanciandone l’eco

da un capo all’altro dell’universo.

Tutte le mie azioni, tutti i miei pensieri

religiosi sono la Tua adorazione.

Madre, dammi devozione e fede salda,

perché possa fare dei Tuoi piedi

l’ancora della mia vita.

 

Diedi a questo canto il titolo ‘Paglar Gan’ (Canto di un Folle) e ne mandai una copia a Sri Ma. Mi dissero che, quando lo ricevette, stava tagliando e pulendo una zucca; mentre le recitavano il canto, la zucca le cadde  dalle mani e sedette immobile per qualche momento.

Quando la incontrai mi disse: “Il mondo è una manifestazione del Bhava (Amore Divino). Tutte le cose create sono le sue espressioni materiali. Se potrai innalzarti anche solo una volta a quel­l’Amore Divino, ovunque nell’universo vedrai soltanto il gioco dell’Uno. Separandosi dall’Amore Divino, gli uomini si smarriscono e non riescono a capire la vera importanza della vita”.

Qualche giorno dopo eravamo seduti al Siddhesvari Ashram, quando Sri Ma disse: “Canta la tua canzone intitolata ‘Paglar Gan’’”. Avevo abbandonato da tempo la pratica del canto; erano inoltre presenti molte persone ed esitai. Mataji rise, dicendo: “Hai composto il canto di un folle, ma non sei ancora abbastanza folle da ignorare le critiche del mondo”. Queste parole penetrarono profondamente nella mia anima e, con il cuore tremante e la voce soffocata, cantai.

Composi molti canti simili e li offrii ai suoi piedi; per alcuni espresse la sua gioia e per altri diede la sua approvazione silenziosa. I canti sgorgavano dal mio cuore durante le preghiere serali o nelle lunghe meditazioni notturne, quando Sri Ma era lontana da Dacca. Potevo vedere la figura di Mataji che mi stava di fronte, immobile, e che ascoltava i miei rapimenti. Quando tornava a Dacca, dopo aver visitato diversi luoghi, mi chiedeva di ripetere canti particolari che avevo cantato in diverse occasioni nella mia stanza. Era veramente straordinario che nominasse anche quei canti che non le erano mai stati presentati prima in alcuna forma.

L’intenso desiderio di stare al suo fianco a volte mi trasportava lontano, verso l’infinito. I pochi canti che composi in quel periodo furono pubblicati in un volume intitolato ‘Ai Tuoi sacri piedi’.

Oltre a questi, non c’era fine ai canti, alle poesie e agli appunti che scrivevo su Sri Ma, e che dopo distruggevo. Quando lo seppe, disse: “Non solo in questa vita, ma anche in molte delle tue nascite precedenti, non si sa quanti inni hai composto e distrutto per me. Sappi con certezza che, grazie a tutti questi pezzi di carta, questa è la tua ultima vita sulla terra”.

Ispirato dall’amore di Mataji, che tutto comprende, si destò in me l’aspirazione per la vita divina, ma i miei sensi cercavano i piaceri grossolani e non il più elevato, più sottile e rinvigorente cibo spirituale. In un trattato Vaishnava si legge: “L’uomo che brama gli oggetti materiali dei sensi per l’appagamento della lingua, dello stomaco e del sesso, non può trovare il Signore Krishna”.

Era anche il mio caso. La grazia illimitata e l’affetto di Sri Ma non potevano tenermi stretto ai suoi piedi per tutto il tempo della mia vita e in tutti i miei pensieri. È davvero difficile che un uomo irretito nella trappola dell’illusione (avidya) trovi un immuta­bile rifugio di pace nel Divino.

Un giorno dissi a Mataji: “Anche una pietra si trasformerebbe in oro ad un tocco santo come il tuo, ma la mia vita si è dimostrata un triste fallimento”. Mi rispose: “Ciò che richiede molto tempo per manifestarsi matura in una bellezza durevole dopo un uguale periodo di sviluppo. Perché ti preoccupi? Tieniti stretto come un bambino fiducioso alla mano che ti guida”. Ascoltai riconoscente le sue purificanti parole d’incoraggia­mento, ma sentivo una cocente aridità che deformava ogni fibra del mio essere. Cito di seguito un esempio per mostrare come la sua visione penetrante tenesse d’occhio le mie lotte interiori.

Quando sotto l’impulso della profonda devozione cominciai a cercare ogni giorno la sua presenza, non mancarono uomini che fecero indegne insinuazioni sulla mia condotta. Le loro riflessioni mi resero dubbioso e cominciai a pensare che era solo una comune debolezza umana avvicinare questa o quella persona per il proprio sviluppo spirituale.

Smisi di andare da Sri Ma, perché la mia mente era agitata dal pensiero delle critiche. Decisi di leggere lo Yoga Vasishtha e migliorare la mia vita interiore con la cultura intellettuale. Per sette o otto giorni mi dedicai allo studio approfondito del libro.

Un pomeriggio, mentre riposavo a casa, il mio servitore m’informò che un vecchio bramino desiderava vedermi per cinque minuti. Lo incontrai. Mi disse che era andato a casa del mio amico Niranjan Roy e del dr. Sasanka Mohan Mukherji, ma non aveva potuto incontrarli. Ecco perché era venuto a disturbar­mi. Aggiunse: “Ho sentito dire che sei un grande devoto di Sri Anandamayi Ma. Vuoi dirmi per favore chi è, e quali sono le sue qualità particolari?”. A queste parole rimasi seduto in silenzio, con le lacrime che mi scorrevano dagli occhi. Disse ancora: “Ho avuto la risposta alle mie domande; ma ti prego, dimmi, perché  i tuoi occhi sono pieni di lacrime?”.

“Da giorni sono occupato in altre cose”, risposi, “ho abbandonato ogni pensiero su Sri Ma e tu hai deciso di venire da me per chiedermi di lei. Devo abbassare la testa con vergogna e dispiacere. Come sono meravigliose le vie di Sri Ma!  Attraverso la sua influenza sei stato mandato da me giusto in tempo per ricondurmi al mio vero sé. Sono davvero in debito con te!”.

Mi chiese di condurlo da Sri Ma e, dopo averla incontrata, disse: “Anch’io ho perso mia madre molto tempo fa, ma non appena ho visto Mataji la tristezza per la morte di mia madre è svanita completamente”.

Raccontai a Ma tutto ciò che mi era passato per la mente e piansi ai suoi piedi. Lei cominciò a ridere e disse: “In questi tempi se non si è costretti a percorrere un certo sentiero non si può procedere”.

 

 

 

 

 

 

Il Potere del Mantra

 

 

Per quanto ne sappiamo, Anandamayi Ma non ha ricevuto l’iniziazione da un guru secondo la consuetudine preva­lente. Il campo della sua conoscenza non è stato illuminato dallo studio di qualche testo sacro o di qualche discorso religioso. Molte persone sostengono che sia discesa in questo mondo per diffondere la Luce e l’Energia Divina, per la rigenerazione dell’umanità di quest’epoca.

Quand’era ancora una bambina cominciarono a manifestarsi nel suo corpo diversi fenomeni straordinari; ma non furono notati dalla gente che la circondava. Già nei giochi della sua prima infanzia sembrava così distaccata e indifferente che molti giunsero a considerarla una ritardata mentale; anche i suoi genitori avevano dubbi sul suo futuro. Succedeva a volte che non riconoscesse il luogo in cui si trovava o che non ricordasse ciò che aveva fatto o detto pochi minuti prima.

Si dice che nell’infanzia, quando passeggiava, fosse solita parlare agli alberi, alle piante e ad esseri invisibili dell’aria. Comunicava con loro anche con segni e gesti. Qualche volta, all’improvviso, cadeva in uno stato d’astrazione, interrompendo ogni discorso.

Tra i 17 e i 25 anni si manifestarono in lei dei fenomeni sovrannaturali. A volte, dopo aver cantato i nomi di dei e dee, rimaneva immobile, in silenzio. Durante i kirtan il suo corpo diventava rigido e insensibile. Dopo avere ascoltato un discorso sacro o aver visitato un tempio, il suo comportamento non sembrava normale.

A ventidue anni andò con Bholanath a Bajitpur (una cittadina del Bengala Orientale) e vi rimase cinque o sei anni. Verso la fine di quel periodo molti mantra uscivano spontaneamente dalle sue labbra e nel suo corpo si vedevano chiaramente molte immagini di dei e dee. I suoi arti assumevano spontanea­mente varie posizioni yoga. Mentre queste manifestazioni divine trovavano espressione nel suo corpo, per circa un anno e tre mesi a Bajitpur le venne meno la parola, e quando arrivò a Dacca continuò a rimanere in silenzio per un altro anno e nove mesi – per un totale di tre anni. In quel periodo si mostravano il lei lo splendore della beatitudine celeste e la serenità dell’in­finita distesa del cielo. Fu allora evidente che le correnti del mondo esteriore e di quello interiore avevano cessato completamente di influenzarla. Sembrava dimorare nell’assoluta calma del Sé.

Nel corso di tutti questi straordinari avvenimenti della sua vita, Pitaji mostrava spesso grande ansia per le conseguenze che potevano avere; ma, a dispetto di ogni critica e speculazione, non s’oppose mai ad alcuna sua azione. Temendo che il suo corpo potesse essere posseduto da qualche spirito maligno, si cercò l’aiuto di alcuni sadhu ed esorcisti; ma non fu di alcuna utilità. Al contrario, quando questi uomini tentarono di curarla furono costretti a ritirarsi con timore e meraviglia. Solo pregando per la sua misericor­dia poterono riacquistare il loro equilibrio.

Per un periodo di cinque mesi e mezzo nel suo corpo si manifestarono le forme di molti dei e dee. Ella aveva visioni di queste divinità e, dopo averle adorate, esse svanivano completamente. Quando terminava l’adorazione di una divinità ne appariva un’altra. Durante la cerimonia sentiva spesso di essere lei stessa l’adoratore, l’adorato e l’atto dell’adorazione; sentiva di essere i mantra, le oblazioni e ciascun elemento del rito.

In quegli atti d’adorazione non vi erano oggetti materiali né vi era alcun desiderio da parte sua di compiere le cerimonie. Appena sedeva in un posto solitario, tutte le attività fisiche e mentali coinvolte nell’adorazione rituale si manifestavano attra­verso un misterioso processo di attività spontanee. Fu accertato in seguito, da persone esperte nei riti e rituali degli shastra, che tutti i vari processi d’adorazione compiuti dalla Madre erano perfettamente in linea con le ingiunzioni delle scritture. Ogni volta che qualcuno chiedeva come le fosse possibile svolgere perfettamente quei riti, la sua risposta era: “Non chiedetemi nulla ora. Lo saprete al momento opportuno”.

Il 10 aprile 1924 Mataji arrivò a Dacca e una settimana dopo andò a vivere a Shahbag (nome del giardino del nababbo di Dacca). Molti devoti cominciarono a radunarsi là per avere il suo darshan. Nel 1925 alcuni devoti la pregarono di celebrare il Kali puja, poiché avevano saputo che il suo modo di celebrare era meravi­glioso. Lei rispose: “Conosco poco i riti e i rituali degli shastra; sarà meglio che cerchiate l’aiuto di un bravo prete”. Dopo però, su richiesta di Bholanath, acconsentì a celebrare il puja.

Quando i devoti adoravano la Madre, la loro gioia era grande. Se però lei stessa decideva di adorare una divinità perché essi ne traessero ispirazione, la santità del rito aumentava mille volte. Era una cosa troppo profonda per essere descritta a parole. La bellezza e la solennità della cerimonia erano così elevate che tutti i devoti provavano una gioia inesprimibile.

Portarono un’immagine di Kali. Sri Ma sedette per terra in posizione di meditazione e in assoluto silenzio. Traboccante di devozione, iniziò il puja, cantando mantra e ponendo fiori intinti nella pasta di sandalo sul suo capo anziché sull’immagine. Tutte le sue azioni sembravano i movimenti di una bambola, sembrava che una mano invisibile stesse usando il suo corpo come uno strumento in cui s’esprimeva il Divino. Ogni tanto alcuni fiori venivano messi sulla statua di Kali. Il puja fu fatto in questo modo.

Si doveva sacrificare una capra, che fu lavata con l’acqua. Quando la portarono alla Madre, se la mise in grembo e pianse mentre l’accarezzava delicatamente con le mani. Recitò alcuni mantra, toccando ogni parte del corpo dell’animale, e sussurrò qualcosa nelle sue orecchie. Adorò poi la scimitarra con la quale si doveva sacrificare la capra. Si prostrò a terra, si mise la lama sul collo e dalle sue labbra uscirono tre suoni, come i belati di una capra. Quando poco dopo l’animale fu sacrificato, non si mosse, non emise un gemito e sul corpo e la testa recisa non vi erano tracce di sangue. Solo con grande difficoltà si riuscì a tirar fuori dal corpo dell’animale un’unica goccia di sangue. Per tutto il tempo il volto di Sri Ma splendette di un’intensa e straordinaria bellezza e, durante la cerimonia, un’atmosfera di grande santità e di profondo assorbimento pervase tutti i presenti.

Nel 1926 i devoti pregarono Ma di celebrare nuovamente il puja. Lei non disse nulla. Più tardi, mentre la portavano a casa di un devoto, alzò la mano sinistra, sorrise e rimase in silenzio. Quando Pitaji le chiese il significato di quel gesto, non rispose. Lo stesso gesto della mano sinistra alzata fu ripetuto di nuovo mentre sedeva in quella casa per mangiare. Alcuni giorni dopo Sri Ma spiegò che, mentre andavano a casa di quel devoto, aveva visto – circa cento metri più avanti – la dea vivente Kali sospesa nell’aria a circa otto metri da terra che allungava le mani verso di lei come se volesse abbracciarla. Quel giorno, mentre mangiava, la stessa immagine s’era presentata davanti a lei come una fanciulla. Per questo aveva alzato la mano sinistra.

Il giorno precedente il Kali puja, i devoti rinnovarono la loro preghiera a Sri Ma. Ella disse a Pitaji: “Desiderano tanto celebrare il puja; potresti officiare tu al posto del prete”. Egli disse loro: “Vostra Madre mi ha chiesto di celebrare il puja e lo farò. Vi prego, fate le dovute preparazioni”. I devoti chiesero quali dovevano essere le dimensioni della statua e Pitaji suggerì che doveva essere alta come quella che s’era mostrata a Sri Ma nelle due occasioni in cui aveva alzato la mano.

In quel momento Mataji giaceva a terra in uno stato di totale immobilità. Erano le undici di sera. Presero delle misure approssimative. Seguì una lunga discussione su come trovare una statua della misura indicata in un solo giorno. Partendo da Shahbag, Sri Surendra Lal Banerji andò in città con molti dubbi; ma in un negozio trovò una statua della misura giusta. C’erano dodici statue in tutto e undici erano state ordinate da vari clienti. Quella in più era stata modellata dall’artista di propria iniziativa.

L’immagine fu portata in tempo. Sri Sri Ma sedette per celebrare il puja. Intorno alla sua persona c’era una divina atmosfera. Dopo un po’, si alzò all’improvviso e disse a Pitaji: “Vado al mio posto; ti prego, celebra tu il puja. Dicendo questo si mise di fianco alla statua e con un’incantevole risata sedette sul pavimento. L’atmosfera della stanza era sovrac­carica di un meraviglioso rapimento divino troppo profondo per essere espresso. Sri Ma disse: “Chiudete tutti gli occhi e cantate il nome di Dio”.

La casa era strapiena; un uomo che stava fuori guardava nella stanza senza essere visto. Sri Ma lo chiamò con il suo nome e gli ingiunse di chiudere gli occhi. Tutti i presenti avevano gli occhi chiusi, nessuno sapeva cosa stesse succedendo in quel momento. Quando tutti riaprirono gli occhi, videro che un avvocato, chiamato Brindaban Chandra Basak, giaceva sul pavimento privo di sensi. Più tardi ci disse: “Quando ho guardato nella stanza ho visto un intenso splendore di luce che emanava dal volto della Madre. Era così potente che sono caduto privo di sensi. Non so cosa sia successo dopo”.

La notte passava e il puja s’avviava alla conclusione. Non era stato preparato nulla per il sacrificio. Quando arrivò il momento dell’ultima offerta (ahuti), Sri Ma disse: “Non dev’esserci offerta; che il fuoco sacrificale sia conservato”. Quel fuoco è tenuto acceso ancora oggi. Il giorno dopo doveva esserci l’immersione della statua. La moglie di Niranjan aveva portato tutto il neces­sario per la cerimonia e, guardando la statua, disse alla Madre con emozione: “Ma, mi dispiace veramente immergere la statua”. Mataji rispose: “Queste parole proferite dalle tue labbra indicano che probabilmente la dea non desidera essere immersa. Benissimo, saranno fatti preparativi per la sua conser­vazione e adorazione”.

Pur attraverso grandi cambiamenti di circostanze, quella statua d’argilla è stata mantenuta nella stessa posizione per dodici anni.

Si possono citare due episodi connessi a questa immagine. Nel settembre del 1927 Mataji stava lasciando Chunar per andare a Jaipur. Ero a Chunar e mi recai alla stazione per vederla partire. Sri Ma m’indicò un luogo preciso vicino alla collinetta su cui era stato costruito il forte e mi disse di passare di là al ritorno. Vi avrei trovato una ghirlanda di fiori di ibisco, che avrei dovuto prendere e conservare con cura. Feci come mi aveva detto. Quando tornò a Chunar, vide la ghirlanda. In seguito, quando  tornò a Ramna, si scoprì che nel giorno esatto in cui avevo trovato la ghirlanda a Chunar, nessuna ghirlanda era stata messa al collo della dea Kali a Ramna, sebbene fosse una pratica consueta del prete mettere ogni giorno una ghirlanda alla statua.

Una volta Sri Ma si trovava in riva al mare a Cox’s Bazar. Stava passeggiando lungo la spiaggia, quando all’improvviso disse con un sorriso: “Guardate il mio polso. È rotto, vero? Esaminatelo attentamente. Dovrebbe esserci una frattura”. Quella stessa notte un ladro era entrato nel tempio di Kali a Ramna e aveva rubato gli ornamenti della dea, rompendo il polso della statua.

La statua è ancora custodita in un locale sotterraneo dell’ashram di Ramna. Ogni anno, durante le celebrazioni del compleanno di Sri Ma, la porta viene tenuta aperta perché tutti possano avere il darshan. Mataji lo aveva disposto ancor prima che i templi indù fossero aperti a tutti, senza distinzioni di casta e di credo.

Una volta si stava celebrando il Vasanti puja al Siddhesvari Ashram. Sri Ma era presente durante la cerimonia che dà vita alla statua. Quando Ella la fissò, gli occhi della statua cominciarono a brillare come quelli di un essere vivente. Sri Ma disse: “Le personalità e le forme di dei e dee sono reali come lo sono il vostro corpo e il mio. Essi possono essere percepiti con la visione interiore dischiusa dalla purezza, dall’amore e dalla devozione”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Potere del Pensiero

 

 

I modi e gli stati d’animo di Mataji sono il risultato della beatitudine suprema (ananda); analizzando le cose più da vicino si scoprirà che ogni fibra del suo essere vibra di beatitudine divina. Per giocare l’ananda lila con i suoi figli, Ella ha assunto una forma fisica, animata dalla  gioia del Divino. È naturale che per il bene di tutti gli esseri umani, le idee migliori sulla vita e la cultura spirituale trovino espressione, si sviluppino e, per così dire, prendano forma tramite lei e alla fine svaniscano nel non conoscibile.

Se la studiassimo attentamente scopriremmo che rivela se stessa in due modi: con l’armonia del suo atteggiamento esteriore verso tutti gli esseri e con le grazie della sua vita interiore. Il modo perfettamente calmo, dolce e naturale che mostra con ogni persona, dall’uomo più pio al più grande peccatore, dai bambini e dai giovani irrequieti fino ai vecchi piegati dall’età e dalle infermità, rivela una grazia meravigliosa, una sublime bellezza e dignità che conquista subito i cuori di tutti. L’altro aspetto della sua vita ha a che fare con le forze e i poteri del mondo invisibile – gli agenti celesti, gli esseri eterei, che portano all’umanità felicità e dolore, benedizioni e maledizioni. Il rapporto tra questi due aspetti della sua vita è meravigliosamente coerente e intimo.

Durante gli anni giovanili, e anche dopo essere venuta a Dacca, Sri Ma trascorse molto tempo restando completa­mente immobile. Venimmo a sapere che rimaneva assorta di continuo, per ore, in un’estasi divina che le parole non possono descrivere. A volte trascorreva molti giorni di fila in questo stato di profondo assorbimento e, durante il kirtan, il suo corpo assumeva varie posizioni che indicavano uno stato di suprema beatitudine.

Il 14 gennaio del 1926 vi fu un kirtan nel giardino di Shahbag, in occasione dell’Uttarayan Sankranti. Fu la prima celebrazione pubblica con kirtan fatta alla presenza della Madre. In quella occasione Sri Shashibhushan Das Gupta venne da Chittagong e non appena vide Sri Ma il suo cuore si riempì di profonda devozione. In quel momento c’erano molte persone e molta confusione. Egli fissava il volto di Sri Ma, mentre le lacrime gli scendevano sulle guance. Mi disse: “Vedo di fronte a me ciò che non ho mai visto in tutta la mia vita. Lei sembra la manifestazione tangibile della Madre dell’Universo”. 

Il kirtan iniziò alle dieci, mentre Sri Ma metteva la polvere color vermiglio sulla fronte delle donne presenti. All’improvviso la scatola del vermiglio le cadde dalle mani, il suo corpo s’accasciò al suolo e cominciò a rotolare su se stesso. Si alzò poi lentamente, appog­giandosi sugli alluci. Entrambe le mani erano tese in alto, la testa era leggermente inclinata di lato e un po’ all’indietro, e i suoi occhi radiosi guardavano fissi verso il cielo lontano.

Poco più tardi iniziò a muoversi in quella posizione. Il suo corpo sembrava occupato da una presenza celeste. Non prestava alcuna attenzione ai vestiti che le pendevano addosso disordinatamente; nessuno aveva il potere o l’intenzione di fermarla. Tutto il suo corpo danzava con ritmi misurati, in maniera molto delicata, e raggiunse il luogo in cui era in corso il kirtan. Allora, in silenzio, il suo corpo si fuse, per così dire, con il terreno. Guidato da un potere misterioso, esso dondolava come le foglie secche di un albero mosse dolcemente da una brezza gentile.

Dopo un po’, mentre giaceva ancora sul pavimento, una tenera e dolce melodia uscì dalle sue labbra:

‘Hare murare madhukeitabhare’.

Le lacrime scendevano sulle sue guance con un flusso ininter­rotto. Dopo alcune ore ritornò nel suo stato normale.

Il suo volto splendente, il suo dolce e ineffabile sguardo, la sua voce tenera e soave, vibrante d’emozione divina, ricordavano alle persone là riunite le immagini di Sri Caitanya Deva descritte nelle sue biografie. In quell’occasione, tutti i cambiamenti fisici osservati tantissimo tempo fa nel Signore Gouranga si manifesta­vano di nuovo nella sua persona.

Al crepuscolo, quando Sri Ma entrò nella sala del kirtan, si ripresentarono tutti i sintomi dell’estasi di mezzogiorno. Poco dopo Ella pronunciò dolci parole così chiare, tenere e dolcemente vibranti d’emozione divina che tutti i presenti ammutolirono, travolti dalla beatitudine celeste.

Alla fine del kirtan ci fu la distribuzione dei dolci e la stessa Sri Ma distribuì il prasad con tale grazia e bellezza, con un’espressione così divinamente materna, che la gente sentiva che Madre Lakshmi doveva essersi incarnata nel suo corpo. Quel giorno Shashibhushan e altri lì presenti realizzarono che il corpo di Sri Ma era solo un veicolo dell’infinita grazia di Dio.

In quel periodo Niranjan fu trasferito a Dacca come assistente commissario dell’ufficio delle tasse. Una sera andai a Shahbag con lui mentre era in corso il kirtan della luna nuova. Man mano che continuava il kirtan, in Sri Ma furono visibili molti cambiamen­ti. Dapprima sedeva perfettamente dritta; poi la sua testa si piegò gradualmente all’indietro fino a toccare le spalle; mani e piedi si contorsero finché tutto il corpo non cadde steso sul pavimento.

In armonia con il respiro, il suo corpo era mosso da movimenti ritmici simili ad onde, e con gli arti allungati ondeggiava sul terreno seguendo la musica. I suoi movimenti erano dolci e delicati come le foglie cadute di un albero che rotolano lievemen­te sospinte dal vento. Nessun essere umano avrebbe potuto imitarli, nonostante ogni sforzo. Ognuno dei presenti sentiva che Sri Ma stava danzando sotto l’impulso di forze celesti, che scuotevano tutto il suo essere. Molti tentarono di fermarla senza riuscirvi. Alla fine i suoi movimenti cessarono e lei rimase immobile come un pezzo d’argilla. Sembrava immersa nella beatitudine infinita. Il suo volto splendeva di luce celeste, tutto il suo corpo traboccava di divina ananda.

Niranjan rimase muto mentre osservava quello spettacolo per la prima volta in vita sua. Recitò un inno di lode alla Madre dell’universo. “Oggi”, esclamò, “ho visto una vera dea!”. 

In un’altra occasione, c’era una grande folla durante un kirtan a Shahbag. Sri Ma cadde in uno stato simile a quello appena descritto. Solo che quella volta scivolò sul pavimento stando seduta; il suo respiro era quasi sospeso. Allungò mani e piedi e giacque sul pavimento con il viso rivolto in basso; poi rotolò leggermente con un movimento ondeggiante. Dopo un po’, come presa da un grande bisogno di ascendere, s’alzò lentamen­te da terra senza alcun sostegno e rimase dritta sugli alluci, sfiorando a malapena il terreno. Il suo respiro sembrava essersi fermato completamente, le mani erano alzate verso il cielo. Il corpo aveva solo un lieve contatto con la terra, il capo era volto all’indietro e toccava le spalle; gli occhi spalancati e raggianti erano rivolti al cielo. Si muoveva come una bambola di legno mossa da un filo nascosto manovrato dal buratti­naio dietro il paravento. I suoi occhi erano raggianti di splendore divino, il suo volto era illuminato da un dolce sorriso celestiale e le sue labbra erano piene di gioia. Dopo un po’, sostenendo tutto il peso del corpo sugli alluci e andando a tempo con il kirtan, si mosse come un essere dell’aria, come se il peso del suo corpo fosse tirato dall’alto da un potere invisibile.

Rimase in quella posizione per molto tempo; alla fine i suoi occhi si chiusero lentamente e giacque a terra come un ammasso di carne, con il capo reclinato all’indietro. La mattina dopo, verso le dieci, tornò al suo stato normale.

Un giorno ci fu un kirtan a casa di Niranjan. Tutti erano impazienti di vedere Sri Ma in uno stato sovrannaturale, special­mente la vecchia madre. L’anziana signora pregò in silenzio di essere benedetta da quella vista. Sri Ma stava sul pavimento della stanza accanto; all’improvviso si precipitò nella stanza in cui si svolgeva il kirtan e con la sua voce divinamente calma si unì al canto e cominciò a danzare con i presenti. Dopo un po’ s’accasciò al suolo. Riacquistato il suo stato consueto, rimase a lungo in silenzio.

Oltre alle manifestazioni citate, i suoi stati sublimi s’esprime­vano in così tanti modi che è impossibile descriverli a parole. Quando il suo corpo rotolava sul pavimento, a volte s’allungava in maniera insolita; altre volte si faceva piccolissimo, qualche volta s’arrotolava su se stesso come una palla. Altre volte ancora sembrava senza ossa, e mentre danzava rimbalzava come una palla di gomma.

La velocità dei suoi movimenti aveva la rapidità del fulmine, e anche l’occhio più acuto non poteva seguirli. In quel periodo eravamo convinti che il suo corpo fosse posseduto da forze divine che lo facevano danzare e che gli facevano assumere una grande varietà di pose. Sembrava così pieno di gioia estatica che si ingrossavano anche le radici dei peli del suo corpo, e i peli apparivano ritti. Il suo colorito diventava roseo. Sembrava che tutte le espressioni proprie dello stato divino si accalcassero nella minuscola forma del suo corpo, e manifestassero in innumerevoli modi pieni di grazia e di ritmo le sublimi bellezze dell’Infinito.

Ella, però, sembrava essere molto al di sopra, completamente distaccata da tutte quelle manifestazioni e non toccata dagli eventi che producevano. Quelle manifestazioni sembravano apparire naturalmen­te nel suo corpo, provenienti da una sfera d’esistenza molto elevata.

Un giorno chiesi a Mataji: “Quando il tuo corpo è fisicamente addormentato nel samadhi, qualche Presenza Divina appare alla tua vista interiore?”.  La sua risposta fu: “Non c’è un fine stabilito, dunque non ce n’è bisogno. Questo corpo non agisce con uno scopo. Il vostro grande desiderio di vedere questo corpo in stati di samadhi, fa sì che a volte se ne manifestino i sintomi. Ogni volta che un pensiero raggiunge la sua massima intensità, dev’esserci necessariamente la sua espressio­ne fisica. Se un individuo si perde nella contemplazione del Nome Divino, può fondersi nell’oceano della Bellezza Celeste. Dio e i nomi che Lo simboleggiano sono una sola cosa. Non appena scompare la coscienza del mondo esterno, il potere del Nome si manifesta e trova immancabilmente una espressione oggettiva”. 

Durante il kirtan nel suo corpo si manifestava uno stato divino sovrannaturale. Abbiamo udito dalle sue labbra che vi fu un tempo in cui vedeva il fuoco, l’acqua, il cielo o altre cose straordinarie, e allora il suo corpo tendeva a trasformarsi in ognuna di esse. In presenza di un colpo di vento sentiva l’impulso di far volare il suo corpo come un brandello di stoffa. Quando sentiva il suono prolungato e profondo di una conchiglia, tutto il suo corpo tendeva per così dire a gelarsi, e diventava immobile come una lastra di marmo. Ogni volta che l’onda di un pensiero le attraversava la mente, nel suo corpo si manifesta­va una corrispondente espressione fisica.

Una volta si unì a dei bambini che giocavano, e iniziò a ridere così di cuore che la sua risata non poté essere frenata neanche dopo un’ora di tentativi. Si fermava per un minuto o due, e ricominciava di nuovo a ridere. Pur rimanendo seduta nella stessa posizio­ne, nel suo sguardo vi era un’espressione sovrannaturale. Molti presenti ne rimasero impressionati. Dopo un po’ riacquistò gradualmente la sua compostezza abituale.

Un’altra volta doveva andare da Calcutta a Dacca. Molti ragazzi e ragazze, uomini e donne, andarono alla stazione per vederla partire. Tutti piangevano all’idea della separazione. Anche Sri Ma si unì a loro e cominciò a piangere così disperata­mente che fu impossibile fermarla. Si raccolse una folla. Qualcuno disse: “Molto probabilmente la donna che piange è una giovane sposa che dalla casa del padre viene portata  a quella del marito”. L’impulso di piangere continuò da mezzogiorno al crepuscolo.

Un giorno mi chiese: “Dov’è il centro del tuo riso e del tuo pianto?”.  Risposi: “Ogni stimolo viene dal cervello, ma il vero centro sta in qualche posto vitale vicino al cuore”. 

Sri Ma disse: “Quando dietro al tuo riso o al tuo pianto c’è un vero sentimento, cerca d’esprimersi con ogni parte del tuo corpo”. Non riuscii a intendere il significato delle sue parole e rimasi in silenzio. Alcuni giorni dopo mi recai all’ashram la mattina presto. Incontrai Sri Ma e feci una passeggiata con lei. Le chiesi: «Ma, come stai oggi?”.  Mi rispose con grande enfasi: “Sto molto, molto bene”. A questo, tutto il mio corpo, dalla testa ai piedi, cominciò a fremere e a danzare alla vibrazione delle sue parole, e dovetti fermarmi di colpo per strada.

Mataji notò la mia confusione e disse: “Hai capito ora dove si trova il centro del riso e del pianto? Se un pensiero o un sentimento viene espresso soltanto da una parte del corpo, non si manifesta tutta la sua forza”.

Ho sentito Sri Ma dire che, quando tutti i pensieri e i sentimenti del devoto scorrono unicamente verso Dio, le vibrazioni discordanti del mondo esterno contrarie alle sue aspirazioni recano una forte sofferenza all’aspirante. Se in quella fase qualcuno ferisce un animale o una pianta, e la vibrazione raggiunge il sadhaka, questa gli provoca un’acuta sofferenza mentale. Le vibrazioni disarmoniche e i piaceri dei sensi turbano il flusso costante della sua devozione a Dio. Quando il sadhaka è ancora fortemente legato al mondo esterno, pensa che ciò che percepisce con i sensi sia tutto dentro il suo ‘io’. In quella fase anche la caduta di una foglia da un albero crea increspature nello spazio della sua coscienza. Nel primo periodo della vita della Madre qualunque cosa accadeva nel mondo esterno trovava, spontaneamente, risposta in lei.

Appena Sri Ma riacquistava la sua normale serenità, dopo un’estasi profonda, si manifestavano naturalmente molti processi yogici. In quei momenti si poteva udire un mormorio di suoni indistinti provenire da lei. Seguivano poi note rombanti come il sollevarsi delle onde del mare flagellate dalla tempesta; alla fine dalle sue labbra usciva un flusso ininterrotto e melodioso di verità divine, nella forma di numerosi inni sanscriti. Sembrava che attraverso le parole di Sri Ma le verità divine provenienti dall’eternità del cielo prendessero forma in simboli sonori. Quella pronuncia impeccabile, quel libero fluire di melodia che toccava nell’intimo il cuore degli ascoltatori, riceveva maggiore incanto dal divino splendore del suo volto. Perfino dotti studiosi vedici, nonostante tutto il loro addestra­mento, difficilmente avrebbero potuto acquisire il suo tipo d’espressione libero e naturale.

La ricchezza di significato di tutte le espressioni spontanee di Sri Ma è stata una sorpresa per molti sapienti. Il linguaggio in cui venivano espressi i versi non poteva essere compreso facilmente, e quindi non è stato possibile scriverli per intero e con precisione. Sono stati registrati solo quattro di quegli inni sacri, di cui è stato possibile prendere in parte nota. In seguito avvicinammo Mataji per fare una verifica e correggerli. La sua risposta fu: “Se dovrà essere, sarà. Al momento non mi viene”.  

 

Ecco la traduzione di uno* dei quattro inni:

 

“Tu sei la Luce dell’universo e lo Spirito che lo guida e lo controlla. Manifestati in mezzo a noi! Da Te emana continuamente una ragnatela di mondi. Tu sei Colui che distrugge ogni paura. Manifestati davanti a noi! Tu sei il seme dell’universo; sei l’essere nel quale risiedo. Tu sei presente nei cuori di tutti questi devoti. Tu che mi stai davanti, rimuovi le paure di tutte le creature. Tu sei la manifestazione di tutti gli dei e molto di più. Tu sei uscito da me e Io sono l’essenza del mondo creato. Facci contemplare il vero fondamento dell’universo, attraverso cui il mondo cerca la liberazione. Tu dimori nella Tua eterna natura essenziale. Sei uscito dal Pranava, la vibrazione originaria alla base di ogni esistenza e la verità di tutto. I Veda sono solo scintille della Tua Luce eterna. Tu simboleggi la coppia divina, Kama e Kamesvari, che si dissolve nella Beatitudine Suprema che tutto pervade, e che viene espressa da nada e bindu, quando si differenzia per sostenere il Tuo lila. Disper­di le paure del mondo!

“Prendo rifugio in Te. Tu sei il mio asilo e la mia dimora finale. Attira tutto il mio essere in Te. Come Salvatore Tu appari in due forme: il liberatore e il devoto che cerca la liberazione. Da Me solo tutte le cose sono create a Mia immagine, da Me sono mandate nel mondo; e in Me tutto

trova il rifugio finale.

“Io sono la causa prima che i Veda chiamano Pranava. Sono nello stesso tempo Mahamaya e Mahabhava. La devozione a Me produce il moksha (liberazione). Tutto è Mio. A Me Rudra deve i suoi poteri. Io canto la gloria di Rudra che si manifesta in tutte le azioni e nelle loro cause”.

 

Da questa traduzione è evidente che il corpo-pensiero di Sri Ma è stato espresso in parole per il bene, la pace e il progresso del mondo. Il suo amore e la sua sconfinata compassione per tutte le creature si irradiano in tutte le direzioni ed Ella siede suprema al centro, abbracciando l’universo.

Una volta Sri Ma disse di questi inni: “La Parola Eterna è la causa prima dell’universo. Con l’evoluzione di questa Parola sempre presente, continua parallelamente il progresso della creazione materiale”.  

In quella fase della vita di Mataji, quando furono rivelati molti di questi inni, a volte la sua voce diventava acuta e tagliente come una spada; altre volte era carezzevole come lo zefiro. Altre volte ancora rivelava un potere pieno di tranquil­lità e di profonda beatitudine, come l’influenza del cielo di luna piena a mezzanotte. Con i cambiamenti di tonalità, anche le espressioni degli occhi e del volto subivano corrispondenti trasformazioni.

In alcune occasioni gli inni le venivano alle labbra accompa­gnati da un incessante flusso di lacrime e da un sorriso straordinariamente luminoso e dolce, in un gioco alterno di riso e pianto simile a quello tra sole e pioggia, che conferiva al suo volto beato una serenità e un fascino celestiale. Terminato il canto degli inni, rimaneva a lungo in silenzio oppure giaceva sul pavimento, profondamente assorta.

 

 

Nota: *) – Il giorno 20 del mese di vaisakh dell’anno bengali 1336 (1929), Sri Ma lasciò l’ashram di Ramna dopo esservi rimasta per 24 ore dopo l’installazione della divinità. Indossava solo un sari. In quell’occasio­ne dalle sue labbra scaturì quest’inno, e chiese ad alcuni devoti di scriverlo. La Madre si trovava in una condizione estatica e si poté trascrivere solo una parte dell’inno. Non se ne può quindi garantire la correttezza. Ella, però, diede il permesso di cantarlo prima di cominciare il kirtan, accompagnandosi con strumenti musicali.

Nota: – gli inni usciti spontaneamente dalle labbra di Sri Ma non sono in sanscrito né in altro linguaggio a noi conosciuto. In essi vi sono alcune parole ed espressioni in sanscrito e sembrano delle preghiere. Devono essere considerati dei mantra, in cui ogni sillaba ha il proprio significato e non può essere sostituita da alcun sinonimo. La versione riportata nel testo non va pertanto considerata una traduzione letterale degli inni; sembra inoltre che i suoni usciti dalle labbra della Madre non siano sempre stati riprodotti correttamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Poteri Yoga

 

 

Sri Ma disse che, per qualche tempo, il suo corpo aveva attraversato uno stadio durante il quale si manifestavano naturalmente varie posture yoga (asana, mudra, ecc.). Si manifestavano spesso quand’era in solitudine, lontano dalla vista degli uomini. A questo riguardo, una volta Mataji osservò: “Proprio come un seme dev’essere tenuto nell’oscurità sotto terra prima che spuntino i germogli così, in seguito alle pratiche, in un sadhaka avvengono molti cambiamenti sottili non percettibili”.

A volte le sue mani, i piedi e il collo si piegavano in maniera tale che sembrava non potessero riprendere le loro normali posizioni.

In un’occasione Sri Ma disse: “Da questo corpo è balenata una luce così splendente che tutto lo spazio intorno è stato illuminato. Quella luce s’è diffusa gradualmente, avvolgendo l’universo”. In quei casi si copriva il corpo con un grande mantello e si ritirava a lungo da sola in un angolo solitario della casa.

In quel periodo il suo corpo emanava un tale potere divino che al suo sguardo la gente dimenticava tutto e veniva immersa nella gioia divina. Toccando i suoi piedi, qualcuno sveniva. I luoghi sui quali si stendeva o sedeva diven­tavano intensamente caldi.

A Dacca ho visto io stesso Sri Ma in diverse posizioni yoga. A volte il suo respiro s’arrestava completamente per molto tempo oppure diventava così lieve e impercettibile che temevamo potesse morire soffocata.

Un giorno, mentre le mostravo le illustrazioni di alcune posizioni yoga in un libro, mi fece notare in esse degli errori riguardo specifiche posizioni della testa, dei piedi, delle cosce e di altre parti del corpo.

Coloro che sono stati così fortunati da starle vicino per qualche tempo, devono aver notato come poteva sedere in una particolare posizione per parecchie ore di seguito senza fare il minimo movimento, o come cadeva in un silenzio assoluto nel mezzo di una conversazione. In quelle situazioni il suo corpo diventava inerte come quello di una statua, gli occhi fissi e immobili volti al più remoto angolo del cielo e il volto gioiosamente dolce e sereno. In tutti quegli stati era evidente che la sua anima era immersa nella Beatitudine Suprema, mentre il corpo eseguiva meccanicamente le azioni di routine quotidiana dei doveri della vita sociale. In quegli stati d’assorbimento nel Divino non sentiva fame né sete né gli estremi di caldo e freddo, a meno che non rivolgesse loro un’attenzione particolare. Anche quando ritornava alla coscienza fisica, ci voleva molto tempo prima che riguadagnasse il suo stato normale.

Abbiamo notato in molte occasioni che se durante queste fasi d’assorbimento veniva lasciata a se stessa per alcuni giorni di seguito, spesso dimenticava come parlare o ridere o anche come distinguere i diversi tipi di cibo e bevande.

Molti desiderano assistere alle manifestazioni dei suoi poteri occulti. Ad essi suggerirei di trascorrere alcuni giorni vicino a lei e sperimentare la meravigliosa influenza spirituale che emana in ogni momento dalla sua persona, grazie alla quale anche i cuori più aridi sbocciano a nuova vita. Le persone sono impercettibilmente attratte nell’orbita della sua profonda vita spirituale dalla sua volontà naturale d’assicurare il bene di tutti gli esseri.

Un pomeriggio andai a Shahbag con Niranjan. Sri Ma e Bholanath erano seduti e sul pavimento erano disegnate alcune immagini. Bholanath disse: “Vostra Madre ha disegnato queste immagini dei centri vitali all’interno del corpo”.

Udendo ciò, Ella disse: “Mentre camminavo, verso mezzogiorno mi sono seduta qui in una posizione yoga e ho visto alcuni centri vitali simili a loti, dal centro più alto nel cervello giù lungo la spina dorsale fino al punto più basso, a pochi pollici di distanza l’uno dall’altro. Ho visto chiaramente che a partire dall’estremità inferiore della spina dorsale vi sono tanti centri sottilissimi, dei quali solo sei principali sono stati disegnati qui. Non li ho disegnati deliberatamente, la mano si è mossa da sola sul pavimento e così sono venute fuori queste figure.

“Dovete sapere che attraverso questi centri vitali di nervi che s’intrecciano operano gli impulsi ereditari, le tendenze acquisite, le emozioni, i vari stimoli, i cicli di pensiero, le nozioni di vita e di morte, ecc., che dal centro cerebrale più alto scendono verso il basso in risposta agli stimoli degli organi dei sensi. Correnti di vita e di fluido vitale scorrono velocemente o lentamente attraverso questi canali e guidano i processi vitali e le correnti di pensiero dell’uomo. Come vedete che si compene­trano la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria e lo spazio oltre l’atmosfera, così anche questi sei centri principali sembrano stare l’uno sull’altro nel corpo, ma operano in mutua interdipendenza come una catena vitale. Un po’ di riflessione vi convincerà che l’energia vitale ascende nei centri superiori del corpo quando i vostri pensieri sono puri e pieni di gioia. Come sapete che in fondo ad un pozzo c’è una sorgente d’acqua, che un serbatoio mantiene costante la sua riserva, che l’energia vitale di una pianta si trova sottoterra nel fondo delle radici, così nel punto più basso (muladhara) della colonna vertebrale giace addormentata la fonte delle potenti forze vitali che derivano fondamentalmente dal sole, da dove sgorgano i ruscelli della vostra vita. Quando con grande pazienza e purezza vi sforzate di purificare i vostri veicoli interni ed esterni, le vibrazioni risultanti dai vostri pensieri colpiscono centri sempre più alti, liberando la loro tensione e rilasciando la forza vitale trattenuta nel centro più basso per cercare un’uscita verso l’alto. Allora l’apatia, i bisogni primari e i samskara del devoto svaniscono gradualmente, come la nebbia davanti ai raggi del sole. Insieme allo scioglimento di questo blocco, comincia ad allentarsi l’attaccamento agli oggetti dei sensi e la vita interiore inizia a prendere forma.

“Quando la spinta ascendente della forza vitale raggiunge il centro tra le sopracciglia, la corrente interiore dell’energia vitale scorre uniformemente con facilità e purezza in tutto il corpo, con il risultato che il devoto comincia a realizzare qualcosa della natura dell’ego, del mondo e della creazione. Se un uomo rimane in questo stadio per molto tempo, tutte le inclinazioni e gli stimoli prenatali ereditati diventano a poco a poco sempre più deboli; la sua mente raggiunge livelli di contemplazione sempre più alti, centri di forza vitale sempre più profondi.

“Se il devoto va oltre il centro vitale più alto, situato tra le sopracciglia (dvidala cakra), i suoi poteri mentali s’immer­gono nel sovramentale, il suo ego si dissolve nel mahabhava e trova eterno rifugio in svarupa; allora va in samadhi, uno stato di perenne beatitudine.

 “Appena i vari centri vitali iniziano ad aprirsi, all’interno vengono percepiti diversi suoni. Il devoto ode suoni di conchiglie, campane, flauti, ecc., che si fondono nel ritmo cosmico dell’unica voce del silenzio infinito. In questo stadio nessun pensiero od oggetto del mondo esterno può distrarre la sua attenzione. Mentre avanza, il suo essere si dissolve nelle profondità senza fine della musica beata che pervade l’intero universo, e trova eterno riposo”.

Due o tre anni dopo questa spiegazione di Mataji, le mostrai le immagini dei sei centri vitali pubblicati nel libro ‘Il Potere del Serpente’ di Sir John Woodroffe. Sri Ma non li guardò neppure e disse, ridendo di cuore: “Ascolta ciò che ti dice questo corpo”. Descrisse poi ciascun centro, la natura dei loti, il loro colore e il numero dei petali, con gli yantra e i mantra corrispondenti. Constatai che i disegni del libro rappresentavano perfettamente ciò che Sri Ma descriveva.

Ella aggiunse: “Non ho mai letto di questi centri in alcun libro né ho mai udito parlare di essi. La descrizione che ho dato proviene dalla mia esperienza”. A ulteriori domande rispose: “I colori dei centri vitali che vedi sui disegni sono solo tinte esterne. Questi plessi sono composti della stessa sostanza del nostro cervello, ma le loro forme, strutture e funzioni variano. Ciascuno ha proprie caratteristiche particolari e qualità distintive come l’occhio, l’orecchio o l’ombe­lico o anche le linee del palmo della mano. In essi v’è il gioco sempre mutevole di vari suoni e colori, e vi sono i simboli chiamati mantra-seme, che sono il risultato naturale del movimento della forza vitale e dello scorrere del fluido vitale. Nei primi stadi, quando vari mantra uscivano da queste labbra accompagnati da cambiamenti del respiro, a volte mi balenavano in mente domande come: ‘Cosa sono questi?’. La risposta venne da dentro e la struttura interiore di tutti questi plessi divenne chiaramente visibile come i disegni che mi hai mostrato. Quando una persona prega regolarmente, fa i puja e le pratiche yoga, medita e riflette sulle più alte verità dell’esistenza con sufficiente concentrazione e fermezza, la sostanza mentale si purifica, i pensieri si affinano e i centri si dischiudono. In caso contrario nessun essere umano può sfuggire alla tempesta e alle costrizioni degli istinti fisici come la lussuria, l’avidità e l’ira”.

Un giorno Sri Ma andò al Siddheswari Ashram con i devoti presenti. Quel posto si trovava allora in un vero stato d’abbandono. Vi era un altare largo circa mezzo metro quadrato e alto una ventina di centimetri. La Madre vi sedette sopra. Tutti i devoti sedettero intorno in silenzio, assorti nei propri pensieri. Pian piano il suo corpo si rimpicciolì a tal punto che ognuno ebbe l’impressione che sull’altare fosse rimasto soltanto il suo sari. Nessuno poteva vederla. Tutti si chiedevano cosa sarebbe accaduto. Vi fu un movimento sotto il vestito e molto lentamente e gentilmente prese forma un corpo ed Ella riapparve, seduta dritta. Per quasi mezz’ora guardò il cielo con lo sguardo fisso, poi disse: “Avete attirato questo corpo per il vostro progresso”.

Sri Ma ha detto: “Come un aquilone vola alto nel cielo, legato ad un filo sottile, così uno yogi, affidandosi al suo respiro vitale e al fragile filo del samskara, può fluttuare nell’aria, ridurre il suo corpo fisico ad un granello di polvere, assumere una dimensione gigantesca o perfino scomparire alla vista”.

Sappiamo che molte persone hanno ricevuto l’iniziazione da Sri Ma in sogno, che altre hanno avuto fiori insieme ai mantra, e che al risveglio hanno trovato realmente i fiori; ma nessuno di noi ha mai visto Mataji iniziare fisicamen­te un devoto.

Sappiamo inoltre che molte persone, stando nelle loro case, lontano da Sri Ma, sono rimaste stupite nel vedere la sua immagine realmente presente davanti ai loro occhi per pochissimo tempo.

Una volta ero gravemente malato a Dacca, colpito da un attacco di tubercolosi e Sri Ma si trovava nell’India Nord-Occidenta­le. Quando tornò a Dacca, mi disse: “A mezzanotte di due date particolari questo corpo è entrato nella tua stanza da una certa porta di casa tua e ne è uscito da un’altra. In quei due giorni la tua condizione è stata molto critica”. Controllando sul libro dei conti dove erano registrate le spese giornaliere, inclusi gli onorari dei medici e i costi delle medicine, scoprii che in quei due giorni i medici erano stati chiamati veramente di notte.

Vi sono stati anche casi in cui Sri Ma è passata in mezzo a un gruppo di uomini, ma solo alcuni hanno potuto vederla. Ha detto: “Sono sempre presente in mezzo a voi, ma voi avete poco desiderio di vedermi. Che cosa posso farci? Sappiate per certo che i miei occhi sono fissi su quello che fate o mancate di fare”.

Una volta Sri Ma doveva prendere il treno a Goalundo. Il gradino d’accesso al treno era molto alto rispetto al marciapiede. La Madre aveva allora un dolore reumatico al braccio destro. Quando al suo invito Gurupriya Devi le afferrò la mano sinistra e la tirò su nello scompartimento, il suo corpo sembrava leggero come quello di un bimbo. In qualche occasione, al contrario, sembrava molto pesante.

Sri Ma ci ha detto che, nel movimento o nel riposo, nulla produceva in lei un cambiamento. Era sempre completamente sveglia. A volte, quando s’alzava dal letto, diceva d’aver visto determinati incidenti avvenuti in luoghi particolari. Indagini fatte successivamente confermavano l’esattezza delle sue affer­mazioni.

Vedevo spesso Sri Ma al mio fianco in un lampo di luce o come una figura ferma e indistinta; qualche volta assumeva una forma precisa e concreta che si muoveva apportando nel mio ambiente cambiamenti che continuavano anche dopo la sua scomparsa.

Verso la fine del 1930, Sri Ma si trovava a Cox’s Bazar, a circa 300 miglia da Dacca. Nelle prime ore del mattino ero seduto sul mio letto, a Dacca, e pensavo a lei. La sentii sussurrare: “Erigi un tempio entro l’area dell’ashram”.

 Balzai in piedi. Sapevo che Sri Ma non aveva mai ordinato ad alcuno di fare qualcosa. Pensai e ripensai alla cosa. Presumevo che quei sussurri dovessero provenire da Sri Ma, ma un dubbio m’attraversava la mente: “Perché le sue parole dovevano essere così indistinte?”. La sua voce abituale era chiara, distinta, risuonante, viva. Scrissi una lettera a Cox’s Bazar e venni a sapere che aveva osservato il silenzio per alcuni giorni e che aveva ripreso a parlare alle otto di mattina di quel dato giorno. Quando Sri Ma tornò a Dacca, mi dissero che aveva mormorato delle parole la mattina molto presto, ma pochi avevano potuto distinguerle. Dopo avere udito quel comando da Sri Ma, la costruzione del tempio fu presa sul serio.

Diceva sempre di poter vedere i corpi eterei dei santi morti molto tempo fa. Un giorno disse: “Proprio come voi siete seduti intorno a me, là vi sono molti spiriti disincarnati, che sono reali quanto voi”.

Diceva anche di poter vedere le varie forme delle diverse malattie. Quando cercavano d’entrare nel suo corpo, gli veniva dato libero accesso. “Poiché c’è solo una vita nell’universo, le malattie non sono né chiamate né allontanate da me. Come tutti voi siete per me fonte di ananda, anch’esse mi danno uguale gioia”.

Nel maggio del 1929 Sri Ma lasciò Dacca, ma per qualche ragione diversi ostacoli impedirono i suoi liberi movimenti. Quando tornò a Dacca, nel mese di agosto, aveva la febbre. Molti sintomi soprannaturali cominciarono ad apparire sul suo corpo. Ordinò che al suo corpo fosse permesso assumere vari asana, seduto o disteso per terra, secondo i suoi bisogni spontanei. Questo continuò per un’ora intera. Più tardi Sri Ma disse che erano state tutte posizioni yoga. Vedendo queste manifestazioni, la gente temette che potesse abbandonare il corpo. Si scoprì che i suoi arti mancavano di coesione; in piedi o seduta, tutte le sue membra penzolavano mollemente e non potevano muoversi a meno che non fossero adeguatamente sostenute. Oltre a questo aveva la febbre alta, la dissenteria, sangue nelle feci e nell’urina e tutti i sintomi dell’idropisia. Trascorsero in questo modo quattro o cinque giorni, infine Brahmacharini Gurupriya Devi la supplicò: “Ma, non riusciamo ad assistere il tuo corpo; abbi pietà di noi!”. Dopo questa preghiera la fiacchezza del corpo di Sri Ma scomparve, ma la febbre e gli altri sintomi continuarono come prima. Per altri cinque o sei giorni, le furono versati sulla testa da sessanta a settanta secchi d’acqua tra le 11 e le 17, ma la febbre non diminuiva, e lei non voleva prendere medicine. Fu interpellato un dottore ayurvedico, che la esaminò e disse: “Possiamo curare i comuni esseri umani, ma le vie della Madre sono completamente diverse”. Vedendola giacere a letto malata, tutti i devoti erano profondamente preoccupati e la pregavano di guarire il suo corpo.

Il mattino seguente Sri Ma disse: “Preparate un piatto di riso per questo corpo”. Lei, che era stata costretta a letto dalla febbre alta e dall’idropisia, debilitata completamente senza quasi possibilità di muoversi per diciassette o diciotto giorni, chiese il suo consueto pasto di riso, dal e vegetali. Rimasero tutti meravigliati.

Furono preparati riso, dal e vegetali, secondo le sue direttive. Tre o quattro persone furono impegnate a sostenerle il corpo per imboccarla. Mangiò un po’ di ciascuna pietanza. Molti temettero qualche seria complicazione a causa di quel cibo dopo una febbre tanto prolungata, invece si riprese gradualmente.

Riferendosi ai disordini fisici descritti sopra, una volta Sri Ma disse: “Questo corpo si muove in sintonia con la Natura; il suo corso naturale dev’essere stato in qualche modo ostacolato nelle sue normali funzioni. I disordini delle sue funzioni vitali si sono manifestati per farvi capire le infelici conseguenze che derivano dall’ostacolare i suoi bisogni naturali. Se vi fosse stata una vera malattia, questo corpo sarebbe deperito completamente o sarebbe rimasto invalido.

“Mentre giacevo a letto non ero cosciente d’alcun disagio o apprensione. Mi sentivo come fossi in salute. Tra i vostri movimenti ansiosi avanti e indietro e i cambiamenti che si verificavano in questo corpo, ero consapevole di una sinfonia di musica e di gioia”.

Da tutte le sue azioni sembrava che la Natura, obbediente, per così dire, al suo volere, aiutasse il suo corpo a funzionare. Ero convinto che se avessimo prestato la dovuta attenzione alle espressioni naturali della sua volontà, trattenendoci dal disturbare l’atmosfera intorno a lei con le vibrazioni delle nostre simpatie e antipatie personali, e se avessimo fatto senza riserve ciò che lei diceva, avremmo potuto godere di una felicità senza limiti dovuta al magnifico funzionamento della sua Volontà. Nello stesso tempo avremmo avuto la grande fortuna d’avere molte possibilità di crescita.

Durante l’infanzia giocavamo con le bambole inse­guendo le nostre fantasie; costruivamo casette di sabbia e argilla per soddisfare un nostro desiderio momentaneo e poi ci volgeva­mo a nuovi giochi. Anche allora stavamo facendo lo stesso gioco con il nostro comportamento nei confronti di Sri Ma, con la stessa leggerezza e lo stesso impulso. A volte questi timori affollavano la mia mente.

Nel corso di una conversazione all’ashram di Vindhyachal, Mataji disse a Brahmachari Kamalakanta: “Anche dopo tanti anni, pochissime persone capiscono ciò che voglio. Se lo capissero, domande come: ‘Cosa vuoi? Qual è il tuo desiderio?’, non verrebbero mai poste. Una persona deve cercare since­ramente di capirmi secondo le proprie capacità, ma per compren­dere ciò che voglio deve liberare la mente dall’orgo­glio, dal desiderio di fama e gloria, dall’ira e dal dolore, dalla presunzione e infine dalla testardaggine che fa credere all’uomo di essere un libero agente in tutte le sue azioni”.

Se sotto la sua benevola influenza potessimo purificarci costantemente, seguendo silenziosamente quel che ci suggerisce di fare, realizzeremmo la nostra missione trovando nelle nostre vite l’opportunità di contemplare la gloria della sua Maternità universale.

Un giorno passeggiavo con la Madre nel giardino di Ramna. Lei non parlava. Capii che era stata presa dallo spirito d’assoluto silenzio. Ritornò dopo aver passeggiato senza meta per qualche tempo. Per otto o dieci giorni rimase completamente muta. Nessun segno, gesto o cenno usciva da lei, neanche un sorriso. Sedeva quietamente assorta nel proprio Sé interiore. Se qualcuno le parlava, i suoi occhi e la sua attenzione non ne erano attratti. Sedeva raccolta in sé come la statua del Signore Buddha. Quando mangiava le sue labbra s’aprivano solo un po’, per richiudersi subito dopo aver preso un piccolo boccone. Durante questo stato di silenzio sembrava che il suo rapporto con il mondo esterno fosse interrotto completamente. Dopo otto o dieci giorni cominciò a mormorare alcune parole incerte. Aveva­mo l’impressione che stesse imparando a usare di nuovo gli organi vocali e a recuperare il potere della parola. Passarono tre giorni, e poi riprese gradualmente il suo abituale modo di parlare. Ebbi la grande fortuna di vedere Sri Ma due o tre volte in simili stati.

Durante queste fasi di silenzio il suo aspetto tranquillo, la sua compostezza seria ma serena, il suo sguardo aggraziato e il volto splendente risvegliavano il nostro amore e la nostra reveren­za. Più la si guardava con occhi ardenti, più cresceva il desiderio di contemplare il suo volto. Quando all’inizio, poco dopo il suo matrimonio, Sri Ma rimase in silenzio per tre anni, molti espressero dispiacere ritenendo che fosse completamente muta: “Ahimè, è un peccato, una grande ingiustizia di Dio! Egli ha reso muta questa bella ragazza, pur avendole concesso tutte le migliori virtù femminili”. Sri Ma ha detto: “Se desiderate osservare un vero silenzio, il vostro cuore e la vostra mente devono fondersi intimamente in contemplazione così che tutta la vostra natura, interna ed esterna, possa per così dire solidificarsi nello stato di una pietra. Se invece volete semplice­mente astenervi dal parlare, è una questione del tutto diversa”.

Abbiamo quattro foto delle posizioni yoga di Sri Ma. La prima è stata discussa nel primo capitolo; la seconda è stata fatta dopo un lungo periodo di malattia. Quando sono state scattate la terza e la quarta foto, all’inizio sedeva in modo naturale, ma le espressioni dello stato d’assorbimento estatico le venne­ro più tardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo Stato di Samadhi

 

 

 

Quando fu pregata d’indicarci i diversi stadi della sadhana, Sri Ma parlò di quattro livelli:

1)  concentrazione dell’intelletto su un punto. È come accendere della legna secca. Quando la legna umida è stata asciugata dal calore del fuoco, la fiamma arde vivacemente. Allo stesso modo la nostra mente s’illumina quando viene liberata dalla nebbia e dall’umidità dei desideri e delle passioni (kamana, vasana) grazie alla forza della contemplazione del Divino. È uno stato di purezza mentale che, in certi casi, induce uno stato di silenzioso assorbimento in un particolare stato d’animo o un eccesso d’emozione e agitazione al di là di ogni capacità di controllo. Tutti questi stati d’animo emanano da un’esistenza suprema, ma solo in direzioni particolari.

2)     Concentrazione delle proprie facoltà emotive. Induce uno stato d’inerzia fisica, di assorbimento nel sacro sentimento che scaturisce dall’unico e indivisibile stato di estasi. A questo punto il corpo può essere paragonato ad un pezzo di carbone bruciato, con il fuoco apparentemente spento. In questo stato il devoto passa ore intere in una condizione esteriore d’inerzia; ma in fondo al suo cuore si leva una corrente continua di sublime emozione. Quando questo stato matura, il sentimento attira grandi poteri dall’Anima Suprema e, come un vaso trabocca quando vi si versa troppa acqua, così esso si propaga nel vasto mondo con un flusso potente, spinto dall’intensa pressione dell’espansione.

3)     Fusione della vita interiore ed esteriore. Questo stato è simile a quello di un carbone ardente. Il fuoco pervade ogni atomo delle coperture interne ed esterne, tutte raggianti di Luce Divina. Il devoto vive, si muove ed è immerso in un beato oceano di Luce.

4)     Piena concentrazione, nella quale il devoto perde ogni coscienza di dualità, del funzionamento dei tre guna. È simile allo stato del carbone ridotto in cenere. Non v’è alcuna distinzione tra interno ed esterno, tra qui e là; è lo stato di assorbimento nel Supremo, lo stato del Tutto-Uno. Le vibrazioni del pensiero, del sentimento o della volontà svaniscono comple­tamente. Somiglia alla perfetta tranquillità di un lago immobile sotto un cielo blu.

Il samadhi di Sri Ma offriva una visione meravigliosa: è stata mia immensa fortuna poter assistere molte volte ai suoi samadhi. Riporto di seguito alcune delle mie esperienze.

Alcuni giorni, mentre passeggiava o sedeva in una stanza dopo esservi entrata per caso, dopo aver riso o pronunciato poche parole, i suoi occhi si spalancavano con lo sguardo assente e tutte le sue membra si rilassavano in maniera così sovrannatu­rale che il suo corpo sembrava, per così dire, sciogliersi sul pavimento.

Allora potevamo osservare che, come il tenue disco dorato del sole al tramonto, tutta la luminosità dei suoi modi e delle sue espressioni abituali pian piano svaniva dal suo volto in qualche profondità misteriosa. Dopo un po’ il ritmo del suo respiro diminuiva e a volte s’arrestava del tutto. L’uso della parola cessava comple­tamente, gli occhi rimanevano chiusi. Il corpo diventava freddo. A volte le mani e i piedi diventavano rigidi come pezzi di legno; altre volte pendevano sciolti come corde, e ricadevano in basso da ovunque li si mettesse.

Il suo volto risplendeva di un colorito cremisi dovuto all’inten­sità dell’ananda interiore. Le sue guance splendevano di una luce celestiale, la fronte luminosa e serena appariva di una calma divina. Tutte le sue espressioni fisiche erano in uno stato di sospensione; tuttavia ogni poro del suo corpo irradiava uno splendore straordinario – una muta eloquenza del silente discorso interiore. Tutti i presenti sentivano che Sri Ma era immersa nelle profondità della comunione divina. Trascorrevano così dieci o dodici ore e poi si facevano vari tentativi per riportarla sul piano fisico con kirtan e cose simili, ma invano.

Io stesso non sono mai riuscito a destarla da quello stato d’assorbimento. Non vi era alcun tipo di risposta se le massaggiavo con forza mani e piedi, e neanche se li pungevo con punte acuminate. La sua coscienza ritornava quand’era il momen­to, ma ciò non dipendeva da alcuno stimolo esterno.

Quando Sri Ma ritornava alla coscienza fisica, le ritornava anche il respiro, che diventava sempre più profondo; insieme ad esso riprendeva vita il movimento delle sue membra. Certe volte, poco dopo questi risvegli, il suo corpo ricadeva ancora una volta nella condizione inerte di prima e tendeva, per così dire, a congelarsi di nuovo nello stato di samadhi. Quando le si aprivano le palpebre con la punta delle dita, nei suoi occhi vi era uno sguardo vuoto e senza vita, e le palpebre si richiudevano subito automaticamente.

Quando cominciava a manifestarsi una serie di sintomi che annunciava il suo ritorno alla vita normale, veniva aiutata ad assumere una posizione a sedere e, chiamandola a voce alta, si tentava di riportarla al mondo dei sensi e d’indurla a parlare. In quel labile stato di coscienza, rispondeva al richiamo del mondo esterno solo per un attimo, per poi immergersi di nuovo nei recessi più profondi del suo essere. In quello stato le ci voleva molto tempo per riacquistare la sua condizione normale.

Una volta, dopo un certo periodo di samadhi, la fecero camminare con grande difficoltà. Dopo aver preso un boccone di cibo, il suo corpo ricadde per qualche ora in uno stato incosciente e inerte.

Quando però riacquistava il suo stato normale, dopo il samadhi, tutto il suo corpo appariva soffuso di gioia. Quand’era sulla soglia del risveglio, qualche volta rideva oppure rideva e piangeva nello stesso tempo.

Durante il samadhi il suo volto perdeva ogni segno di vita; il corpo appariva fragile e debole e, nel suo aspetto generale, non v’era alcuna espressione di gioia o dolore. In quello stato le ci voleva molto più tempo per riacquistare la normalità. Nel 1930, quando andò all’ashram di Ramna, sembrava spesso perdere ogni traccia di vita durante il samadhi e trascorreva quattro o cinque giorni di seguito senza rispondere ad alcuno stimolo esterno. Durante l’intera fase, dall’inizio alla fine del samadhi, non vi erano segni che fosse viva o che potesse ritornare in vita. Il suo corpo diventava freddo come il ghiaccio e rimaneva freddo per molto tempo ancora, anche quando ritornava la coscienza.

Dopo aver ripreso piena consapevolezza, quando le chiedevano come si era sentita durante il samadhi, rispondeva soltanto: “È uno stato al di là di ogni piano, cosciente e supercosciente – uno stato di completa immobilità di pensieri, emozioni e attività, sia fisiche sia mentali – uno stato che trascende tutti i livelli di vita di quaggiù. Ciò che chiamate savikalpa samadhi non è altro che un mezzo per raggiungere l’obiettivo finale, è solo uno stadio di passaggio nella vostra sadhana.

“La concentrazione profonda su uno dei cinque elementi dei sensi – udito, tatto, odorato, gusto e vista, che derivano principalmente dall’aria, dalla terra, dall’acqua, ecc. – porta l’uomo a fondervi la propria identità; non appena la concentrazione si fa più profonda, il corpo, per così dire, si fonde gradualmente con esso. Quel particolare oggetto dei sensi pervade allora l’essere e gradualmente l’ego si dissolve in esso e si fonde con l’Entità Universale. Quando si ottiene questo stato, scompare anche la coscienza dell’Unico Sé Universale, e ciò che rimane è oltre la parola, l’espressione o l’esperienza”.

A volte si manifestavano nella sua persona molti sintomi anomali, senza alcuna causa evidente. Il respiro diventava profondo e prolungato; l’intero corpo si torceva a destra e a sinistra con un’espressione di languore e stanchezza. Si stendeva allora sul pavimento oppure rotolava come un fagotto. In questa fase aveva ancora la coscienza fisica, e quando le veniva fatta qualche domanda rispondeva con una o due parole, con voce molto debole e sommessa.

Più tardi, chiedendo, apprendevamo che mentre si trovava in quella condizione aveva percepito una sottile e filiforme corrente vitale ascendente che fluiva dal punto più basso della spina dorsale fino al più alto centro nel cervello e che, insieme ad essa, un brivido di gioia aveva percorso ogni fibra del suo corpo ed anche le radici dei capelli. In quel momento sentiva che ogni particella della sua forma fisica danzava, per così dire, con infinite piccole onde di beatitudine. Qualunque cosa toccasse o vedesse le sembrava una parte vitale di se stessa; poi, gradualmente, il suo corpo fisico cessava di funzionare.

Se in quel momento le si massaggiava la schiena o le si frizionavano le giunture del corpo per molto tempo, rimaneva quieta per un po’ e riacquistava il suo stato normale. Era in questo stadio che la vedevamo traboccare di gioia celeste e il suo sguardo aveva tutti i segni di chi è immerso nell’amore universale.

In mezzo alla routine della vita di tutti i giorni, mentre la Madre riposava, sorridendo e parlando alla gente che andava a trovarla, ci si accorgeva che le sue membra si facevano gelide e le estremità delle mani e dei piedi blu. La rigidità degli arti non diminuiva neanche con un vigoroso massaggio, e le mani di coloro che le frizionavano le membra s’intorpidivano dal freddo. Un giorno ci vollero quasi dodici ore perché riacquistasse il suo calore normale.

Una sera, verso il tramonto, Sri Ma giaceva in uno stato di samadhi. La nostra Didima* stava sul letto dalla sua parte; anche Pitaji era nella stanza. Verso le due di notte ero seduto sulla veranda a meditare sui piedi di loto di Mataji. Ebbi come una sensazione di tremore nel cuore prodotta dal rumore dei suoi passi. Aprii gli occhi, ma non vidi nulla. Udii alcuni deboli suoni nella stanza. Quando mi alzai notai due piccole impronte dei piedi bagnati di Mataji.

Entrai nella stanza e la trovai a letto. Chiesi a Didima se Sri Ma fosse uscita. Mi rispose: “No”.

Trascorse la notte. La mattina seguente ritornò, per breve tempo, sul piano della coscien­za fisica. Sebbene avesse riacquistato i sensi il giorno dopo, ci vollero tre o quattro giorni perché tornasse al suo abituale modo di vita.

Qualche giorno più tardi dissi a Mataji: “Ho sentito dire che durante il samadhi è impossibile muoversi con il corpo fisico. Perché quella notte ho visto le tue impronte sul pavimento?”.

Sri Ma rispose: “Può l’uomo spiegare ogni cosa con le parole?”, e rimase in silenzio.

Una volta le chiesi: “Quali sono i segni di un sadhaka?”. Rispose: “Quando un devoto raggiunge un certo livello di purezza mentale può comportarsi come un bambino, diventare insensibile agli stimoli fisici come un pezzo di materia inerte, trasgredire i canoni della vita sociale come un uomo fuori di mente o, a volte, essere attraversato da barlumi di pensieri ed emozioni sublimi e passare per un santo; ma, attraverso questi diversi modi di vita, la sua mira rimane fissa sull’obiettivo centrale. Se in quello stadio dimenticasse la meta finale, il suo progresso s’arresterebbe.

“Se farà uno sforzo intenso per conseguire la meta, tutte le sue attività verteranno intorno all’obiettivo supremo. Vedrete sempre che, anche se appare come un pezzo di materia inerte, del tutto indifferente agli stimoli esterni, egli è pieno di gioia e beatitudine non appena riacquista la coscienza fisica. Man mano che questa felice disposizione si stabilisce in lui, il suo rapporto con gli uomini e le cose viene permeato da uno spirito di gioia e felicità, che lo rende amabile e caro a tutti. La sua vita interiore ed esteriore diviene un’espressione dell’Unica Beatitudine Suprema.

“Nello stadio successivo il devoto raggiunge un livello in cui scompare anche il concetto di esistenza universale; allora il suo modo di vita non può essere spiegato dai normali canoni della ragione. In questo stato tutte le vibrazioni del suo complesso psico-fisico sono sospese ed è probabile che l’anima s’allontani dalla sua forma mortale. Se invece rimane un forte samskara di fare del bene all’umanità, egli può continuare a vivere per un certo tempo. In ogni caso rimane immutabile in tutte le circostanze della vita, anche se pensiamo sia soggetto al cambiamento solo perché mantiene il corpo.

“La sola differenza tra tale devoto e lo yogi che abbandona il corpo è che quest’ultimo lascia il corpo con un preciso atto di volontà. Anche al momento dell’uscita dal fisico, egli ha coscienza di avere un corpo che sta lasciando, mentre l’uomo che abbandona la spoglia mortale nel samadhi assoluto non è cosciente né di un corpo individuale né d’alcuno sforzo per lasciarlo. In lui i samskara di vita e morte hanno cessato di operare e non appena si esaurisce il karma delle sue vite passate il corpo scompare naturalmente”.

In un’altra occasione, durante una conversazione, Sri Ma disse:

“1) La purezza di cuore e di mente viene mediante la concen­trazione su un oggetto, secondo la propria disposizione partico­lare.

2) Mentre si progredisce, tutte le ambizioni e le idee disordinate vengono unificate a tal fine.

3) Quando le diverse correnti di pensiero fluiscono lungo lo stesso canale, il devoto diventa apparentemente immobile e inerte.

4) Egli trova dimora nell’Unico Essere Universale ed è assorbito nell’esistenza unitaria”.

Sri Ma di solito non diceva queste cose a tutti. Qualche volta si fermava all’improvviso durante la conversazione. Di solito era circondata da molti bhakta. Quello che diceva per il loro bene non poteva essere sempre registrato e molte delle sue parole non erano comprensibili a tutti.               

Le sue istruzioni erano di tipo universale, intese per tutti gli uomini; tuttavia il loro reale significato non sempre era compreso da gente come noi. Quando, però, qualcuna delle sue parole illuminava la mente di una determinata persona, ciò che questa realizzava con la propria conoscenza limitata trovava espressione nella sua vita, secondo la sua capacità di progredire. Non è facile immaginare quanto infinitamente vari siano i corsi d’acqua che dall’Himalaya scendono verso le pianure dell’India attraverso ghiacciai, cascate, fiumi, ruscelli e sorgenti che arricchiscono e rendono fertili molti terreni sterili. L’Himalaya non s’impoverisce donando queste correnti perpetue, che assicurano il bene del mondo. Era lo stesso nel caso di Sri Ma e dei suoi devoti.

A stento troviamo le parole per esprimere i cambiamenti che a poco a poco avvenivano in noi in ogni momento delle nostre vite grazie al suo contatto, ai suoi suggerimenti, alle sue parole e ai suoi sorrisi. C’era tra noi la falsa idea che se avessimo provato ad esprimere come le sue benedizioni avevano trasformato molti piccoli incidenti della nostra vita quotidiana, avremmo potuto sminuire la sua grazia o la sua influenza. Penso, invece, che con tali sforzi avremmo potuto innalzare soltanto inni alla sua gloria e, nello stesso tempo, il nostro progresso spirituale sarebbe avanzato non di poco. Avrebbe potuto essere un modo per legare alla sua grazia le nostre anime riconoscenti in ogni momento della vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

La Madre e il Suo Lila

 

 

 

Coloro che hanno visto il volto luminoso e sempre splendente di sorrisi di Sri Ma, la sua semplicità da bambina, i suoi scherzi gioviali che scaturiscono da un cuore traboccante di gioia, sono rimasti affascinati oltre misura. In ogni sua parola ed espressione, in ogni suo sguardo e gesto vi è una dolcezza che non si può trovare da altre parti. Dal suo corpo, dai suoi abiti e da ogni suo respiro si diffonde un profumo divino. Quando canta, scaturiscono pensieri e idee divine dalla sorgente più profonda del nostro cuore.

Completamente libera da ogni legame, Ella conduce una vita di perfetto distacco. Come il sereno cielo blu è lontano e al di sopra del mondo sottostante, e tuttavia effonde la sua calma serenità sulle cose di questa terra e produce riflessi azzurri sia su laghi e stagni sia su una piccola ciotola d’acqua, così il suo amore avvolge tutte le cose create e le attira sempre più vicino al suo cuore. Riconosce il gioco dell’unica vita assoluta negli uomini di tutte le razze e credi, in ogni animale e pianta. Vedendo tutti gli esseri come manifestazioni dell’unica beatitudine universale, li tratta con uguale amore, riguardo e reverenza. Nessuna distinzione tra alto e basso, ricco e povero distrae la sua visione.

Mataji dice sempre: “Per me non c’è nulla di nuovo da vedere, sentire o dire”. Vediamo tuttavia che anche le cose più comuni sembrano attirare la sua attenzione, a tal punto che a volte ci sembra una bambina incantata davanti ad una bella bambola.

Non c’è fine agli scherzi gioviali con i suoi devoti. Una volta questi desideravano vederla nei panni di Sri Krishna da bambino e da giovane prima dell’adolescenza, e si misero insieme a vestirla. Due foto la mostrano nei due diversi ruoli. Le espressioni di Sri Ma in quelle due pose differenti colpiscono non poco. La bellezza del suo volto rivela il fascino di Sri Krishna da bambino e da giovane. Non si capisce da quale sorgente nascosta possa risplendere all’esterno quel bagliore divino che conferisce al suo sguardo tanta tenerezza e alla sua fronte quell’espressione pacifica e piena di grazia, al suo volto quell’alone di purezza e dolcezza, e alle sue membra tale leggera mobilità. Tutto ciò è non solo eccezionale, ma sovrannaturale e senza precedenti.

In un certo senso nella sua allegra risata gioiva e danzava ogni fibra del suo essere. Chi era presente in quel momento poteva vedere il bagliore della luce sacra che illu­minava il suo volto; una risata così pura e di cuore si riscontra difficilmente in un essere umano. Il fotografo ha colto in maniera assai imperfetta solo una frazione della sua vera espressione.

Ovunque vada Sri Ma, la sua presenza porta con sé una squisita dolcezza, che pervade i pensieri e le idee della gente che le si accalca intorno. Qualunque sia la natura dei propri pensieri, si rimane piacevolmente sorpresi nel vedere che la propria mente viene purificata e affinata dalla sua influenza sottile.

La vista di Sri Krishna risvegliava affetto materno in Yashoda, sentimenti d’amicizia in Sridama e Sudama e amore disinteres­sato nei cuori delle pastorelle di Brajadham. Allo stesso modo la presenza di Sri Ma induce varie forme di adorazione e amore devozionale nelle diverse anime.

Sin dalla prima infanzia ha posto in evidenza gli scopi principali della vita umana. Gli amici non conoscevano gioia senza la sua compagnia. Chiunque venga in contatto con lei – bambino, giovane o anziano – rimane così affascinato che spesso, al momento della partenza, chiede: “Quando ci incontreremo ancora?”. Ovunque le capiti di andare, si raduna una gioiosa moltitudine. Un’ondata di gioia inebriante travolge centinaia, migliaia di uomini e donne con una nuova ispirazione e, in un certo senso, le loro anime danzano in risposta alle sue dolci parole ed espressioni. Non appena lascia un luogo, questo sembra vuoto. Si è notato che anche le persone che vedendo i suoi capelli scompigliati, i suoi abiti non sempre in ordine e i suoi modi distratti, la considerano una donna strana e cercano d’evitarla, non possono loro malgrado distogliere gli occhi da lei.

I poteri eccezionali che si manifestano costantemente attraver­so le sue gioiose attività sono innumerevoli e vari. Interrogata su di essi, ha risposto: “Questo corpo è sempre nello stesso stato, senza alcun cambiamento: è la vostra attitudine che vi porta a considerare ordinaria o straordinaria una fase particolare”. Ha aggiunto: “L’universo è un gioco divino; voi avete il desiderio di giocare, e così interpretate tutte le gaie attività di questo corpo, i suoi sorrisi e i suoi giochi secondo la vostra luce. Se (questo corpo) avesse assunto una posa seria e immobile, sareste rimasti lontani da me. Imparate ad immergervi nella Gioia Divina in tutte le sue mani­festazioni e raggiungerete la meta finale di ogni gioco. Capite?”.

Si considera straordinario ciò che va oltre l’esperienza delle persone comuni. Chi ha dissolto tutti i pensieri e le emozioni nella beatitudine suprema e assoluta dell’Atman – che talvol­ta assume il ruolo di un essere individuale, a volte di Ishvara, il Sovrano Supremo dell’universo, e a volte quello dell’Assoluto impersonale Param-Brahman – vede tutte queste fasi soltanto come manifestazioni accidentali del gioco divino. Sri Ma non ha desideri, simpatie o antipatie. A volte dei poteri sovrannaturali giocano la loro parte nel risvegliare un’attitudine devozionale o dei pensieri sacri nei suoi devoti. A volte la loro intensa preghiera induce nel suo semplice comportamento delle manifestazioni corrispondenti. Sri Ma dice: “Questo corpo è come uno strumento musicale; quello che ascoltate dipende da come suonate. Per me c’è solo una nota di fondo che risuona in tutto l’universo”.

Il giorno prima di lasciare l’ashram di Dacca, nel giugno del 1932, alle cinque del pomeriggio sedette all’aperto con molti devoti per dare il prasad. Il cielo si riempì all’improvviso di nuvole scure, e cominciò una tempesta con lampi e tuoni. Tutti i presenti aspettavano un immediato scroscio di pioggia. Proprio in quel momento giunse un altro gruppo di persone che sedette per avere il prasad. Quelli che avevano mangiato furono invitati dalla Madre ad andarsene, ma lei rimase. Quando tutti terminarono, Mataji s’alzò e disse: “Adesso farò un bagno”. Molti cercarono di dissuaderla dal fare un bagno a quell’ora tarda del pomeriggio. Ella rimase ferma, e cominciò a piovere forte. Tutto il cortile s’allagò. Sri Ma si muoveva con grande gioia sotto la pioggia, giocando come una bambina. Molte persone anziane, ragazzi, ragazze e giovani ben vestiti si unirono a lei e iniziarono un kirtan che continuò fino alle nove di sera. Tra loro c’erano alcuni deboli di salute, ma nessuno s’ammalò.

Molte volte abbiamo visto Sri Ma fermare la pioggia con un semplice sguardo, o mettere fine alle dispute e alle manifestazioni di risentimento tra i suoi devoti con un dolce sorriso o una forte risata.

Per natura Sri Ma prende pochissimo cibo – non è possibile immaginare come una persona possa vivere con una dieta così povera. Nei primi stadi della sua vita, quando nel suo corpo si manifestarono  molte fasi yoga, per giorni non bevve nemmeno una goccia d’acqua; finché non cessavano i processi yoga non sentiva alcun bisogno di mangiare. In quei giorni di digiuno completo o parziale appariva luminosa e serena, agile e piena di salute e vigore come sempre.

Già da piccola seguiva una dieta molto limitata. Per cinque mesi mangiò pochissimo, e solo a notte fonda. Per otto o nove mesi prese soltanto tre bocconi di riso di giorno e tre di notte. Per cinque o sei mesi visse di un po’ di frutta e acqua solo due volte al giorno. Vi furono periodi in cui passava cinque o sei mesi mangiando solo un po’ di riso due volte la settimana. Altre volte bastavano pochi frutti.

Dal 1926 non poté più mangiare con le proprie mani. Ogni volta che cercava di portare del cibo alla bocca, la stretta s’allentava e gran parte del cibo le scivolava dalle dita. Questo non era attribuibile ad alcuna malattia. Fu allora disposto che la persona che doveva imboccarla dovesse darle tanto cibo quanto se ne poteva prendere con le punte di due dita, una volta di giorno e una volta di notte.

In questo modo passarono quattro o cinque mesi. A giorni alterni beveva anche un po’ d’acqua. Per cinque o sei mesi prese tre chicchi di riso bollito la mattina e tre chicchi la sera, e due o tre frutti maturi che erano caduti naturalmente dagli alberi. A volte accadeva che al cibo fosse permesso di toccare appena le sue labbra e poi veniva fatto cadere. Per due o tre mesi mangiò tanto cibo quanto se ne poteva mettere nella sua bocca per il tempo di un respiro. Per otto o nove mesi prese soltanto cinquanta grammi di riso e dal mischiati insieme e bolliti in un pentolino sul fuoco sacrificale, oppure una piccola quantità di zuppa vegetale mista a riso bollito. Per molti giorni consecutivi prendeva solo un po’ di latte e uno o due pezzi di pane non lievitato. Bisogna anche dire che per molti giorni di fila rimaneva senza mangiare.

Dopo aver rinunciato completamente a mangiare riso, non poteva neppure riconoscerlo. Una volta a Shahbag vi era una servitrice kabar (di bassa casta) che stava mangiando del riso. Quando la vide, Sri Ma disse sorridendo: “Che cosa sta mangiando? Come mastica e inghiotte bene! Anch’io mangerò con lei”. Un giorno vide un cane che mangiava del riso, e improvvisamente cominciò a dire: “Voglio mangiare, voglio mangiare”.

Se questi impulsi venivano ostacolati, era solita buttarsi a terra per qualche tempo come una bambina petulante. Una volta Sri Ma disse spontaneamente: “L’uomo cerca di rinunciare alle vecchie abitudini. I miei modi, però, sono completamente differenti. Io devo trovare dei mezzi per ristabilire le mie vecchie abitudini. Dovete sfamarmi con tre chicchi di riso bollito ogni giorno, altrimenti perderò l’abitudine di mangiare riso, proprio come ho dimenticato ad usare le mie mani per mangiare”.

Le persone che le davano da mangiare dovevano stare attente a non darle una particella di cibo in più di quello che voleva. Esse dovevano condurre una vita pura di autocontrollo. Gli utensili per mangiare e cucinare dovevano essere tenuti scrupolosamente puliti e puri, altrimenti non avrebbe inghiottito il cibo, avrebbe girato il viso da un’altra parte o si sarebbe alzata automaticamente. Era solita dire: “Non c’è differenza tra questo corpo e un pezzo d’argilla. Posso mangiare del cibo messo per terra o in qualunque altro posto, in qualunque modo vi piaccia; ma l’osservanza dell’igiene, della pulizia, delle altre regole e dei doveri sociali è necessaria alla vostra istruzione, perciò questo corpo segue automaticamente quelle regole”.

Durante i lunghi periodi d’astinenza dai normali quantitativi di cibo, Sri Ma non si tirava indietro dai suoi soliti doveri domestici né il suo corpo perdeva la sua naturale bellezza. In seguito tutte le attività della sua vita familiare cominciarono gradualmente a diminuire. Quando cercava di fare qualche lavoro di casa, il suo corpo cessava di funzionare e rimaneva stesa a terra, quasi paralizzata. A volte si bruciava le mani o i piedi nel fuoco della cucina, altre volte si feriva in diversi modi, ma non era consapevole di questi incidenti.

Sri Ma dice: “Nessuno può rinunciare all’azione con la forza della sua volontà. Ogni azione cessa automaticamente quando il proprio karma è esaurito”.

Dal maggio 1926 le rigorose regole riguardanti la sua dieta furono man mano allentate. Quello che mangiava era, dopotutto, veramente poco; si poteva considerare la razione di un bambino! Aveva smesso di mangiare con le proprie mani da quattro o cinque anni quando alcuni devoti espressero il desiderio di vederglielo fare di nuovo. Su loro richiesta Ella acconsentì a provare e sedette con i piatti davanti. Dopo aver messo un po’ di cibo in bocca, ne diede agli altri e gettò il resto per terra. Non poté mangiare. Nessuno le chiese più di mangiare con le proprie mani. Ella disse: “Considero mie tutte le mani; di fatto mangio sempre con le mie mani”.

Fin dall’infanzia tutti notarono la sua abilità e precisione nei lavori domestici, nell’arte di cucinare, e il suo modo grazioso d’intrattenere gli ospiti. Qualunque cosa facesse, era fatta alla perfezione. Poteva filare magnificamente e tessere al telaio. I suoi lavori di cucito, quelli fatti a maglia o quelli di canne intrecciate erano superbi e mostravano un’intelligenza e un’abilità straor­dinarie. Se vedeva altri incapaci di fare un lavoro, andava in loro aiuto, e con loro sorpresa lo portava facilmente a termine. Le pietanze preparate da lei erano deliziose, perciò ogni volta che c’era una festa le veniva sempre chiesto di dirigere la cucina.

La Madre provava grande gioia nel distribuire cibo a tutti – grandi e piccoli. Per soddisfare gli altri dimenticava di mangiare e tutti gli altri bisogni personali. Una volta venne a Shahbag un sadhu del Gujarat. Con il bordo del suo sari Ella pulì con cura il seggio del sadhu e lo intrattenne con la sua solita umiltà e dolcezza. Il cibo gli fu servito in maniera così perfetta che, in un certo senso, sembrava come santificato dal suo grande amore e dal suo spirito di servizio disinteressato. Conge­dandosi, il sadhu disse: “Oggi ho preso il cibo dalle mani della Madre dell’Universo. Mai nella mia vita sono stato servito con tanta premura e purezza”.

Finché poté cucinò per tutti i suoi figli-devoti e servì loro il cibo con affetto materno. Il prasad ricevuto dalle sue mani suscitava una gioia senza precedenti nei cuori dei suoi devoti. Durante la distribuzione del prasad accadevano molti incidenti misteriosi. Un giorno la moglie del defunto Niranjan Roy portò delle arance per Sri Ma. La Madre stessa le distribuì, perché ciascun presente aveva esclamato: “Voglio il prasad dalle mani di Mataji”. Le arance erano poche e i devoti erano molti. Era chiaro che le arance non sarebbero bastate. Le vie di Sri Ma sono però imperscrutabili: ciascuno ricevette un’arancia e non ne rimase neppure una. Un altro giorno era stato organizzato un kirtan a casa di Niranjan, a Dacca. Fu preparato da mangiare per circa cinquanta, sessanta persone, ma il numero degli ospiti arrivò ad almeno centoventi. Sri Ma lo notò e durante la distribuzione del cibo rimase nell’angolo della stanza dov’erano tenute le vivande. Quando tutti finirono di mangiare, si accorsero che ne era rimasto ancora.

All’ashram arrivavano in abbondanza cibo e vestiti, come offerte a Sri Ma. Dopo aver preso una piccolissima parte del cibo offerto o dopo aver tenuto addosso per un attimo un pezzo di stoffa, Ella distribuiva tutto tra i presenti; dopo rideva con gioia. La gente le offriva ornamenti preziosi d’oro e d’argento, braccialetti di conchiglie e di vetro, e molte altre cose. A volte questi ornamenti le venivano messi sulle braccia. Lei riceveva tutte le cose, grandi e piccole, preziose o insignifi­canti, con uguale grazia. Mai però si preoccupò di chiedere chi le avesse donate o che cosa ne sarebbe stato di quelle cose. Molti ornamenti furono distribuiti e quello che rimase, del valore di circa mille rupie, fu sciolto e usato per preparare ornamenti per le divinità dell’ashram.

La Madre non aveva mai più di due cambi di sari da indossare e spesso ne dava via uno; ma succedeva che, non appena lo donava, le veniva offerto un altro sari.

Quando da Dacca andavo a Calcutta, ero solito alloggiare in casa di Sri Jnanendra Nath Sen, che per me era più di un fratello maggiore. Sua moglie, la defunta Hiranmayi Devi, mi considera­va un fratello minore. Era un’anima gentile, molto rara, dotata di straordinaria semplicità, purezza, devozione al marito, e una sensibilità non comune che la rendeva cara tanto agli ospiti che ai membri della sua famiglia. Attratta dalla sua bontà, in certe occasioni Sri Ma soleva andare a farle visita.

Una volta andai a trovare Sri Ma mentre stava a Kalighat. Un devoto le aveva fatto indossare un sari di una rinomata fabbrica di Dacca. Sri Ma sarebbe dovuta andare a casa di Jnan Babu. Informato che Mataji si sarebbe fermata da qualche altra parte lungo la strada, andai avanti. Comprai un sari di qualità media, sperando che in casa di Jnan Babu le fosse donato quel nuovo sari e che lei lasciasse, naturalmente, quello più fine e costoso alla moglie di Jnan Babu. Non parlai ad alcuno della mia intenzione.

Sri Ma arrivò a casa di Jnan Babu, ma vidi che indossava un comunissimo sari, perché quello buono della fabbrica di Dacca che indossava prima era stato lasciato nel luogo visitato lungo la strada. Rimasi sorpreso, e Sri Ma rideva ogni volta che mi guardava. Nessuno dei presenti riusciva a compren­dere il perché del suo riso. In seguito le confessai con quale sciocco scopo avevo comprato il sari.

Prima ho fatto qualche esempio della straordinaria e austera dieta di Sri Ma; si possono però citare alcuni episodi in cui consumò quantità enormi di cibo.

Per otto o nove mesi aveva mangiato ogni giorno solo 50 grammi di riso misto a dal, bollito in un pentolino sul fuoco sacrificale; così un giorno fu stabilito che dovesse mangiare una quantità normale di cibo. Tutti insistevano perché mangiasse di più; allora Mataji chiese che le fosse portato tutto il cibo che era stato preparato, sufficiente per otto o nove persone, e lo mangiò tutto. In un’altra occasione mangiò sorridendo da sessanta a settanta puri e una quantità proporzio­nata di dal e vegetali, seguita da una grande ciotola di riso bollito nel latte. Una volta mangiò del budino di riso fatto con circa 15 litri di latte e, quando lo ebbe finito, esclamò: “Ne voglio di più; vi prego, datemi ancora del budino”. Secondo un’usanza popolare, alcune gocce del piatto con il dolce furono spruzzate sul sari che le copriva la testa, per paura che l’influenza del malocchio della gente che aveva assistito all’evento potesse causare alla Madre qualche malattia. In seguito si scoprì che i punti in cui erano cadute le gocce sembravano bruciati dal fuoco.

Pochi minuti dopo avere ingerito del cibo in quantità spropo­sitata si poteva vedere sul suo volto un’espressione straordinaria. In quelle occasioni soleva dire: “Mentre mangiavo non sapevo che stavo ingoiando tutto quel cibo. L’avete detto voi. In quel momento avrei ingoiato qualunque cosa mi aveste offerto, buona o cattiva, anche erba e foglie”. Dopo queste mangiate non furono mai notati disordini fisici. Faceva spesso molte strane gesta che le passavano per la mente ma, per quanto anomale, non causavano alcuna conseguenza.

Come le offerte a Dio santificate da mantra, fiori, pasta di sandalo e simili, e dedicate con sincerità, riempiono la mente di un senso di pace, allo stesso modo i doni fatti a Sri Ma offerti con devozione sincera danno al devoto gioia e un’immen­sa soddisfazione. Abbiamo visto che accettava come un tesoro cose comuni e insigni­ficanti come il riso soffiato, il riso grezzo e dei frutti comunissimi. Mangiava con grande piacere del comune curry vegetale senza sale o del riso bollito nel latte senza zucchero; dalla pienezza del suo cuore invitava anche i presenti a condividere il piacere del mangiare. Al contrario, in molti casi la sua bocca si serrava al primo contatto quando venivano portati alle sue labbra cibi rari e rinomati procurati con grande difficoltà.

Il defunto Sri Tarak Bandhu Chakravarty, ex ispettore scolasti­co che viveva a Gandaria, vicino a Dacca, dopo aver fatto a piedi circa cinque miglia, arrivò con alcuni puri dolci preparati a casa, con il latte della sua mucca. Quando giunse non era ancora l’alba. Sri Ma era ancora a letto. Come un bimbo impaziente l’uomo anziano gridò: “Ma, Ma, ti ho portato dei dolci preparati con grande cura; non vuoi mangiarli?”.

Mataji si mise a sedere sul letto e senza lavarsi nemmeno il viso, la bocca o le mani, cominciò subito a mangiare i dolci dalle mani dell’anziano. Ella batteva le mani con piacere, mentre lacrime di gioia e gratitudine scendevano sulle guance di Tarak Bandhu.

Un altro giorno Baby (Sailabala Basu, moglie di N. K. Basu di Malkhanagar) si stava recando da Mataji con dei dolci che aveva preparato lei stessa. Quand’era a circa mezzo miglio di distanza, improvvisamente Sri Ma rise forte e disse: “Stanno arrivando dei dolci per me”, e sedette come una bambina impaziente di mangiarli. In certe occasioni, all’arrivo di qualcuno esclamava: “Tira fuori quello che hai portato per me”. Nel ricevere i doni esprimeva la sua meraviglia con molte battute allegre e scherzose. D’altra parte non erano rare le volte in cui alcuni dovevano aspettare a lungo con le loro offerte, senza che Sri Ma si curasse neppure di guardarli.

Una volta fui costretto a letto da una grave malattia. Ad un tratto mi venne il desiderio di mandare del khir a Sri Ma. Quando fu pronto ne assaggiai un po’ per vedere se era stato preparato bene. Mia sorella maggiore Rasamoyi Devi, che era presente, disse: “Non possiamo mandare questo khir a Sri Ma. Il cibo assaggiato prima dagli uomini non può essere offerto alla divinità”. Risposi: “Per favore, mandatelo”. Venni a sapere in seguito che Sri Ma l’aveva mangiato tutto.

Un’altra volta dissi a mia moglie: “Ti prego, prepara del cibo sattvico per la Madre”. Fu preparato con riluttanza e mandato a Sri Ma. Venimmo a sapere che non l’aveva neppure toccato.

Abbiamo visto spesso che le persone che, con grande amore e devozione per Sri Ma, aspettavano a distanza e le offrivano in silenzio i loro migliori sentimenti, percepi­vano le sue benedizioni nei recessi più profondi dei loro cuori. C’erano altri che portavano un gran numero di offerte, pregavano e versavano lacrime per ottenere la sua grazia, ma non ricevevano né istruzioni né la sua attenzione. Ognuno riceve una risposta secondo la sincerità e l’intensità della sua devozione. Le sue benedizioni non dipendono dalla natura delle cose materiali che le si offrono.

Tutte le persone – uomini e donne, religiosi e atei, ricchi e poveri, giovani, vecchi e anche bambini – hanno libero accesso a lei. Spesso la si sente dire ridendo: “Perché mormorate riguardo al tempo e alle possibilità di vedermi? Non vedete che le mie porte sono sempre aperte? Anche se, distratti dalle attrazioni illusorie del mondo, vi dimenticate spesso di questa vostra piccola figlia, sappiate per certo che le vostre preoccupazioni e le vostre tribolazioni sono sempre davanti ai miei occhi”.

Nulla appare strano a Sri Ma, che guarda ogni cosa senza servirsi degli occhi fisici, che può leggere tutti i pensieri senza l’ausilio delle parole, che pur vedendo e udendo tutto si muove come chi vola molto in alto, totalmente disinteressata agli affari di questo mondo e tuttavia a vivo contatto con essi.

Dimentica della fatica o del suo benessere personale, sembra stare giorno e notte in attesa di tutti gli uomini, siano essi nello sconforto o nell’agio.

La gente si accalca intorno a lei dalla mattina presto fino a notte fonda. Alcune persone le dipingono il segno rosso sulla fronte, altre le accomodano i capelli, altre ancora si offrono di farle un bagno o di lavarle il volto e la bocca, o di pulirle i denti con un dentifricio. Alcune chiedono il permesso di cambiarle il sari, altre esprimono il desiderio di metterle in bocca dei dolci o un pezzo di frutta, alcune le sussurrano nelle orecchie le loro preghiere segrete, altre desiderano avere con lei un colloquio privato. Alcune possono essere così coraggiose da disperdere la folla che la circonda, dicendo: “Prego, allontanate­vi, non disturbate la Madre in questo modo”.

Pensate a Sri Ma! Ora dopo ora, giorno dopo giorno, Ella siede pacifica nella sua sublime maniera in mezzo a tutto questo rumore e trambusto, assalti e zuffe. Rimane ferma e immobile con il volto traboccante di gioia, rispondendo alle varie domande o preghiere con una grazia così dolce che l’intera atmosfera è carica di felicità e beatitudine divina. I cuori delle persone riunite intorno a lei non sono forse tutti ugualmen­te attratti dalla sua dignità, ma i suoi sguardi dolci e compassio­nevoli cadono con uguale tenerezza su tutti gli esseri umani come i raggi dorati del sole dell’aurora. Non c’è mai stato nessuno che si sia allontanato dalla sua presenza in preda alla disperazio­ne o alla tristezza.

Sri Ma dice: “Il mondo di Dio è fatto sia da quelli che comprendono la Sua natura sia da quelli che non la comprendo­no. Ciascuno deve avere il giocattolo che desidera”. Per questa ragione nessuno ancora ha potuto dire: “La Madre non è mia, ma vostra”. Chiunque abbia avuto la fortuna di essere intimamente a contatto con lei, deve aver sentito: “La Madre è mia e solo mia”. Molti le hanno dischiuso le profondità dei loro cuori e hanno ricevuto nuova speranza e pace.

Comprendere il lila di Sri Ma è oltre il nostro potere. L’abbiamo vista rispondere allo stesso modo, con uguale parte­cipazione, alle contrastanti emozioni di gioia per la nascita di un figlio e di dolore per la morte di un bambino. L’abbiamo vista piangere con una madre in lutto e ridere gioiosamente con una persona felice. Queste emozioni contrastanti trovano in lei una sintesi meravigliosa. L’abbiamo vista usare dolci e rassere­nanti parole di conforto con le persone afflitte che imploravano le sue benedizioni, mentre ritirava i piedi dalla loro stretta. Ella sembra non interessarsi di chi giace prostrato a lungo ai suoi piedi. Un giorno, una donna che aveva perso suo figlio cadde ai piedi di Ma piangendo disperatamente. Mataji cominciò a piangere e a versare lacrime così profusamente, mentre abbracciava la madre in lutto, che quest’ultima dimenticò tutti i suoi guai; anzi, si preoccupò così tanto del pianto di Sri Ma, che esclamò: “Consolatevi, Madre, non piangerò più per la morte di mio figlio”. Molti di noi hanno trovato immensa gioia semplicemente guardandola, toccando la polvere sotto i suoi piedi o ascoltan­do le sue dolci parole, che suscitano nei nostri cuori un flusso di pensieri e sentimenti puri.

Un giorno un mio amico, che era tornato da poco dall’Inghilterra con la mente satura di idee occidentali, andò a vedere Ma su mia richiesta. Mi disse che non appena la vide, il mantra che aveva ricevuto dal suo guru molto tempo prima di partire per l’estero, e che lui aveva quasi dimenticato, gli ritornò vivo nella memoria. Vi sono molti esempi che mostrano come, sedendo ai suoi piedi, la gente acquisiva il potere della concen­trazione e della devozione che gli permetteva di adorare Dio e di contemplare il Divino.

Molti sono avanzati sul sentiero spirituale avendola come ideale da seguire con tutto il cuore, con un sacro riguardo per la sua persona. Al tempio di Siddheshvari, quando Sri Ma era in trance, una ragazza di sedici o diciassette anni fu presa dallo stupore e dalla gioia e l’abbracciò. A quel contatto la ragazza fu sopraffatta dall’estasi e rotolò a terra ripetendo continuamente: “Hari, Hari”. Questo stato di beatitudi­ne continuò per tre o quattro giorni.

Abbiamo sentito anche che alla vista di Sri Ma o al tocco delle sue mani molti si sono pentiti degli errori passati e sono avanzati lungo il sentiero spirituale. In una grande città dell’Uttar Pradesh, una signora rispettabile, moglie di un alto funzionario statale, andò a vedere Mataji. Dopo essere rimasta seduta per qualche tempo accanto a lei, si pentì profondamente di alcuni peccati passati e quando tornò a casa confessò le sue colpe al marito, chiedendogli di ucciderla e porre fine alla sua condotta viziosa. Venuta a conoscenza di questo, la Madre fece chiamare moglie e marito e trovò il modo di ristabilire il loro normale rapporto familiare. È risaputo che le persone generalmente disprezzate da tutti come peccatori, potevano avere facile accesso a Sri Ma ed erano indotte ad abbandonare la cattiva strada. Mataji dice sempre: “Desidero specialmente quelle persone che non hanno un aiuto che le sostenga lungo la via del bene”. Non sono rari gli esempi di persone completamente ignoranti della vita spiri­tuale che hanno sentito il bisogno di progredire grazie a un’attitudine d’abbandono a lei. D’altro canto, molti eruditi pandit o adepti nelle diverse pratiche religiose sono rimasti con lei per alcuni giorni e sono ripartiti pieni di sé. Sri Ma dice: “Nulla avviene se non arriva il momento stabilito. Ognuno ottiene quel che merita”.

Durante i kirtan trovavamo animali quali cani e capre a stretto contatto con il corpo della Madre, con le teste sul suo grembo o che le giravano intorno e mangiavano le briciole dei dolci sparsi al termine del kirtan, cercandoli come gli uomini. Furono visti strisciare intorno a lei anche dei serpenti velenosi. Un giorno Girijaprasanna Sarkar vide un serpente ritto sulla testa di Sri Ma, che sedeva sotto un albero nel terreno di Siddheshvari, sebbene lo spazio intorno fosse pulito e spoglio. In casa di Niranjan Roy un serpente seguì di Sri Ma in una stanza al primo piano illuminata dalla corrente elettrica.

Quello che dice Sri Ma è così universale e bello che nelle sue parole ognuno trova espressi i propri desideri e le aspirazioni più nobili. Ogni singola frase che proviene dalle sue labbra illumina naturalmente un nuovo orizzonte eterno e glorioso. Ella non entra mai in argomentazioni o discussioni complesse, né dà volontariamente istruzioni o comandi ad alcuno. Ognuno ottiene da lei tanto quanto suscita l’intensità del suo amore e della sua devozione.

Vi sono stati molti casi in cui persone che s’avvicinavano a lei con i loro problemi, trovavano con sorpresa le risposte a dubbi e difficoltà nel corso delle conversazioni della Madre con altri. Una volta Sri Ma andò a Baidyanath Dham, e Brahmachari Balanandaji le disse: “Ma, apri per noi lo scrigno del tuo tesoro”. La risposta fu: “È sempre aperto a tutti”.

Alcuni suoi detti sono stati pubblicati in un libretto chiamato Sad Vani; pochi altri sono annotati di seguito. Nei discorsi di tutti i giorni, sotto forma di parabole e consigli dati con il sorriso, Ella esprime idee e pensieri sulla vita e sulla religione che, se raccolti in un volume, costituirebbero un meraviglioso tesoro spirituale. Sri Ma prende ad esempio i piccoli incidenti della vita quotidiana per esprimere le verità sublimi e i principi della condotta umana. La nostra piccola unità sociale è solo una parte dell’immensa famiglia dei mondi; tutti gli esseri che dimorano qua sotto, tra le tempeste e i problemi della vita, stanno cercando il Maestro infinito della creazione: sono verità che trovano sempre espressione attra­verso le sue parole, i sorrisi, i canti, gli inni e tutti i suoi dolci modi di vita. Quello che dice o fa è pieno di suggerimenti per la nostra guida e può essere applicato alla nostra condotta, sia nelle cose del mondo sia nella vita religiosa. Fare di una delle sue tante virtù l’ideale della nostra vita basterebbe a condurci alla realizzazione del Sé. Ella sembra avere assunto un corpo fisico per il bene degli uomini, per coloro che desiderano progredire spiritualmente, per aiutarli ad affrancarsi dalle angosce e dalle sofferenze che li tengono incatenati qui per ere.

Il tema centrale di tutte le sue parole ed espressioni è questo: “Vita e religione sono una sola cosa”. Tutto quello che fate nella vostra vita, il lavoro quotidiano e le attività di svago, tutti gli sforzi per guadagnarvi da vivere, devono essere fatti con sincerità, amore e devozione, con la ferma convinzione che vivere veramente significa mettere in sintonia la propria esistenza spirituale con l’universo. Per produrre questa sintesi, la cultura religiosa deve diventare facile e naturale come mangiare e bere quando abbiamo fame e sete.

Mataji dice: “Compi i doveri quotidiani della vita con amore, sincerità e buona volontà e cerca d’elevarti passo dopo passo. Fa’ che in ogni  attività umana vi sia un contatto vivo con il Divino e non dovrai lasciare nulla. Il tuo lavoro sarà fatto bene e sarai sulla buona strada per trovare il Maestro. Come una madre nutre il figlio con ogni possibile attenzione ed affetto, aiutandolo a diventare prima un ragazzo sano e poi un bel giovane, allo stesso modo scoprirete il tocco sottile della Madre Divina modellare la vostra vita interiore e farvi realizzare tutta la vostra statura. Qualunque cosa dobbiate fare, fatela con unicità d’intento, con tutta la semplicità, la soddisfazione e la gioia di cui siete capaci: soltanto così sarete in grado di raccogliere i frutti migliori del lavoro. Nella pienezza del tempo, le foglie secche della vita cadranno naturalmente e ne verranno fuori altre nuove”.

Abbiamo udito spesso Sri Ma dire che quando era solita attendere ai suoi doveri domestici era pienamente assorta nel lavoro e non aveva il minimo pensiero riguardo ai vestiti, al cibo o al corpo. Si dedicava totalmente al compito che le era stato assegnato ed eseguiva gli ordini dei più anziani con cura scrupolosa. I vicini dicevano: “Questa ragazza appena sposata manca di senso pratico”.

Sri Ma dice: “Come vi è un orario stabilito per il lavoro a scuola, in ufficio e nei negozi, così ogni giorno dovremmo mettere da parte alcuni minuti per la contemplazione divina, preferibilmente la mattina e la sera. Bisogna prendere la ferma risoluzione di dedicare un po’ di tempo a Dio per tutta la vita. Durante questo periodo non bisogna permettere ad alcuna attività del mondo d’interferire con la contemplazione di Dio. Un tempo stabilito per la preghiera o la meditazione va concesso a tutti i membri della famiglia, inclusi i servitori. Se questa pratica sarà continuata a lungo, la contemplazione divina diventerà parte della vostra natura. Una volta stabilita l’abitudine, il corso futuro della vostra vita sarà più facile. Sentirete il flusso misterioso della grazia divina nutrire i vostri pensieri e darvi nuova forza. Dopo anni di duro lavoro riceverete una pensione, e non dovrete più lavorare per vivere. Nel regno spirituale la ricompensa per il lavoro sincero, disinteressato e ben fatto è molto più grande e può essere ottenuta più facilmente.

“La pensione terrena termina con la vostra vita, ma la pensione divina continua a lungo dopo la morte. Coloro che accumulano denaro lo mettono in un luogo segreto della loro casa, di tanto in tanto vi aggiungono quel che possono risparmiare e tengono continuamente d’occhio il loro tesoro. Riservate anche voi un angolo della mente e del cuore a Dio e trovate sempre il modo d’incrementare la vostra riserva praticando l’invocazione del Suo nome, facendo qualche opera pia o nutrendo pensieri divini”.

Un giorno Sri Ma stava mostrando i vari modi di salutare Dio, e disse: “Quando v’inchinate a Dio abbandonatevi completamen­te con sincera devozione e otterrete gioia e potere in proporzio­ne. Se non potete fare altro, almeno la mattina e la sera, al momento stabilito, prostrate il corpo, la mente e la vita davanti a Lui in segno di saluto e d’abbandono, e pensate a Lui almeno un po’”. A questo proposito aggiunse: “Vi sono due tipi di pranam: offrire a Lui tutto il corpo e la mente con tutti i pensieri, i desideri, le impressioni, l’amore, l’affetto, la devozio­ne: come svuotare il contenuto di un’anfora piena fino all’ultima goccia. L’altro modo è come spargere cipria attraverso i fori del contenitore: la maggior parte dei pensieri e desideri vengono trattenuti in una camera nascosta della mente, e quel che passa è solo un po’ di polvere”.

Quando Pramatha Babu venne trasferito da Dacca come direttore generale delle Poste, si recò da Sri Ma per salutarla. Mataji gli disse: “Chi saluta chi? Tu t’inchini al tuo Sé”. Udendo questo, egli fu pieno di gioia e stupore.

Una volta il professore Atal Behari Bhattacharji s’ammalò a Shahbag, durante le vacanze del puja. Egli desiderava intensa­mente che Sri Ma andasse da lui e gli massaggiasse la testa dolorante come faceva sua madre. Mataji andò e passò le sue mani sul suo corpo, dalla testa ai piedi. Quando si ristabilì tornò a Rajshahi, dove lavorava. Alcuni giorni dopo, a Shahbag si parlò di questo episodio. Osservai: “Quell’uomo non ha un minimo di buon senso; anche la sua intelligenza è limitata. Non riesco a capire per quale motivo abbia voluto che Sri Ma gli facesse quel lavoro durante la malattia”. Mataji udì la mia osservazione e il suo viso cambiò colore. Disse: “Devo massaggia­rti i piedi?”, ed avanzò verso di me. Cominciai ad allontanarmi, mentre Sri Ma mi seguiva. Pitaji intervenne e la fermò. Ricordo ancora il viso di bambina di Sri Ma risplendente d’affetto materno, sempre pronta a nutrire, calmare e servire tutti i suoi figli. In quel momento Sj. Shashanka Mohan Mukherji gridò: “Ma, Ma”, e cadde ai suoi piedi.

A questo proposito Sri Ma disse: “Come il corpo umano ha diverse parti quali la testa, le mani, le cosce, i piedi e le dita, così vedo che voi tutti rappresentate le mie diverse parti. Voi tutti appartenete ad un unico corpo, e ciascuno svolge funzioni di uguale importanza”.

In una diversa occasione, il compianto Nirmal Chandra Chatteili di Varanasi offrì dei fiori ai piedi di Sri Ma. In quel momento passò un uomo che portava dei fiori in un cesto per fare l’adorazione della sua divinità da un’altra parte. Mataji raccolse i fiori che le erano stati offerti ai piedi e li mise nel cesto. Nirmal Babu le chiese perché l’avesse fatto. La sua risposta fu: “Tutti adorano un solo Essere, tutte le mani e i piedi appartengono ad un Unico Corpo”.

In un’altra occasione la vidi battere il terreno con un pezzetto di bambù, e una mosca rimase uccisa accidentalmente. Con grande cura e sollecitudine Sri Ma la raccolse e la tenne nel pugno chiuso. Erano presenti molte persone. Trascorsero quattro o cinque ore in conversazione. Infine Sri Ma aprì il pugno e mi disse: “Puoi fare qualcosa per il bene di questa mosca che è passata all’altro mondo?”. Risposi: “Ho sentito dire che nel corpo dell’uomo c’è il paradiso”, e così dicendo ingoiai la mosca.

Mataji cominciò a ridere e disse: “Che cosa hai fatto? Non s’ammala un uomo se mangia una mosca?”. Risposi: “Se grazie alla tua benevolenza la mosca avrà una vita migliore, nessun danno potrà venire a me”. Non mi ammalai.

Riferendosi a questo episodio, Sri Ma disse: “Insetti, mosche, ragni e uomini appartengono tutti ad un’unica famiglia. Nessuno sa cosa erano, sono o saranno, e come sono legati l’uno all’altro”.

Avevo un amico musulmano molto religioso, il compianto Moulvi Jainuddi Hossain. Passava quasi tutto il suo tempo nella contemplazione divina. Un giovedì sera andai a Shahbag insieme a lui e a Niranjan. Il kirtan era in pieno svolgimento nel nat-­mandap (una veranda aperta di fronte al tempio). Noi tre rimanemmo a distanza sotto un albero, così da non essere visti dal luogo del kirtan. Dopo circa mezz’ora, con nostra sorpresa, vedemmo Sri Ma uscire improvvisamente dalla veranda seguita da alcuni devoti con una lanterna. Con passo svelto venne verso di noi, toccò il mio amico con la mano destra e continuò a camminare. Tutti e tre la seguimmo. In un angolo di Shahbag vi era la tomba ben conservata di un santo musulmano. Sri Ma andò là e assunse le posizioni che prendono di solito i musulmani quando pregano, pronunciando nel contempo tutte le parole particolari che essi usano. Anche il mio amico musulmano si unì a lei. Tornati da lì, fu ripreso il kirtan e anche il mio amico si mise a cantare con il gruppo, battendo le mani e muovendosi. L’uomo incaricato di custodire la tomba quella sera non c’era, e quindi non aveva acceso le candele o offerto i dolci come al solito. Seguendo le istruzioni di Mataji il mio amico musulmano offrì dei batasha (dei dolci fatti di zucchero bollito e pieni d’aria) alla tomba e accese delle candele. Egli desiderava vedere Sri Ma mangiare dei dolci. Quando glieli portò su un piatto, Mataji aprì la bocca ed egli vi fece cadere dentro alcuni dolci. Lui stesso prese il prasad offerto al termine del kirtan. Era un musulmano ortodosso, ma aveva un’alta stima di Sri Ma e, dopo quella sera, nutrì per lei un profondo rispetto.

Su gentile richiesta di una signora musulmana, Sri Ma fece il nemaz in quella stessa tomba. La signora era una donna istruita e disse che vi era una straordinaria corrispondenza tra quello che Mataji diceva e i testi sacri usati durante il nemaz. Mataji raccontò: “Quattro o cinque anni fa, quand’ero a Bajitpur, ho visto il corpo etereo di quel fachiro. Quando siamo venuti a Shahbag ho incontrato lui e alcuni suoi discepoli. Era un figura forte, di discendenza araba”. Informandoci, scoprimmo che era vero.

Una volta Sri Ma andò a casa di Rai Bahadur Jogesh Chandra Ghosh. Quel giorno vi era un kirtan; e osservammo in lei un improvviso cambiamento. A circa cento metri di distanza sedeva al buio, inosservato, un giovane musulmano vestito come un indù. Facendosi largo tra la folla Sri Ma raggiunse il giovane e cominciò a cantare: “Allah, Alla-ho-Akbar. Il giovane si commosse fino alle lacrime e si unì a Sri Ma nella recita della solita preghiera. In seguito ci disse: “La spontaneità e la purezza con cui Sri Ma invocava il nome di Allah era al di là delle nostre migliori possibilità. Mai prima d’allora avevo sperimentato tanta gioia come quella che provai quel giorno pronunciando il nome di Dio insieme a Ma”.

Sri Ma introdusse il nome di Hari in una rispettabile famiglia musulmana. Mentre recitavano il nome, i loro occhi si riempi­vano di lacrime. Essi nutrivano grandissima stima per Sri Ma, che a questo proposito disse: “Indù, Musulmani e tutte le altre comunità del mondo sono una sola cosa. Tutti adorano l’unico Essere Supremo e invocano la Sua misericordia. Kirtan e nemaz sono la stessa cosa”.

Sri Kali Prasanna Kushari e sua moglie Srimati Mokshada Sundari Devi - sorella di Pitaji - amavano moltissimo la Madre. In sua compagnia provavano grande gioia. Una volta Sri Kushari venne a Dacca, ma alloggiava da un’altra parte. Dopo aver discusso questioni religiose con Sri Ma stava per andarsene, e disse ridendo: “Ti viene attribuito grande potere. Se hai questo potere, riducimi in cenere”. Accese alcuni bastoncini d’incenso e partì per la sua destinazione con l’incenso in mano. Pitaji e Mataji dovevano andare in un luogo diverso e partirono insieme. Il sole era molto forte. Sri Kushari teneva il suo ombrello sopra Sri Ma. I due camminavano avanti. Kushari sobbalzò all’improvviso e gridò: “Sulla mia testa sta pioven­do fuoco! Mi stai bruciando? È vero? Ti prego, ferma il fuoco. Ho avuto ampia prova del tuo potere”. Con costernazione vide che una parte dell’ombrello era bruciata.

In un’altra occasione un signore pose dei fiori ai suoi piedi. Prendendone uno e indicando i petali ricoperti di polline, alludendo al suo profumo e così via, Ella illustrò gli aspetti fisici, astrali e spirituali della vita, facendo comprendere agli ascoltatori il gioco eterno del Divino.

Sri Ma si muove continuamente da un luogo all’altro. A questo proposito ha detto: “Vedo un grande giardino che s’estende in tutto l’universo. Tutte le piante e gli animali, tutti gli esseri umani, tutti gli esseri superiori si divertono in questo giardino in vari modi, e ciascuno ha la propria unicità e bellezza. La loro presenza e varietà mi dà grande gioia. Ognuno di voi, con la sua caratteristica particolare, contribuisce alla gloria del giardino. Io mi sposto da un luogo all’altro dello stesso giardino. Non dovete sentire la mia mancanza quando lascio la vostra parte di giardino per andare in un’altra, per fare felici i vostri fratelli che stanno là”.

Verso la metà del 1931, mentre camminava nei campi di Ramna, Sri Ma disse: “La preghiera è una parte essenziale della pratica religiosa. Il suo potere è irresistibile; la preghiera redime la vita degli esseri umani. Tutti i pensieri e le emozioni che sorgono nel vostro cuore devono essere offerti a Dio. Pregate per il Suo aiuto in tutta sincerità e in uno spirito d’abbandono”. Proprio allora stavo leggendo sul giornale che prima di venire in India come viceré e governatore generale, lord Irwin aveva chiesto il parere di suo padre. Questi gli disse: “Non preoccu­parti degli eventi che verranno; non possiamo controllarli. Prega Dio, e potrai avere un barlume del futuro”. Padre e figlio andarono in chiesa a pregare. Al ritorno dalla chiesa, il padre disse: “Devi andare in India”. Il figlio confermò: “Anch’io ho sentito la stessa cosa”.

Udito questo racconto, Sri Ma disse: “È un buon esempio dell’efficacia della preghiera. Bisogna avere fede profonda come un bambino. Con la pratica costante le fondamenta della fede mettono radici nella mente; la preghiera sincera scaturisce dal cuore. Attraverso la devozione si desta nell’anima il vero spirito della preghiera e la grazia divina si manifesta nei risultati desiderati”.

In un’altra occasione disse: “Quando parlate di grazia divina (kripa), sottintendete che qualcosa discenda sull’uomo senza una causa intelligibile. A suo tempo essa viene di sua spontanea volontà. Vedete che un bambino dimentica sua madre quand’è assorto profondamente nel gioco, ma spinta dall’amore la madre si china su di lui e lo prende in braccio. La grazia divina benedice l’uomo allo stesso modo. L’affetto di una madre si manifesta prima che il bambino abbia il tempo di pensare a lei. Direte che le benedizioni sotto forma di grazia divina sono i risultati delle buone azioni fatte nelle nascite precedenti. Da un certo punto di vista può essere vero, ma da un altro punto di vista si può dire che, poiché Dio è assolutamente libero dalle catene di causa ed effetto, non bisogna indagare sui Suoi motivi. Sebbene la ricerca dei motivi ci turbi spesso, la Sua misericordia discende equamente su tutti gli esseri. Quando un individuo sviluppa una visione più alta, comincia a sentire il contatto divino. Prendete rifugio in qualcosa e cercate di stare sempre in intimo contatto con Lui; sentirete il libero flusso delle Sue benedizioni sulla vostra anima, come un secchio pieno d’acqua viene fuori dal pozzo solo quando si tira la corda alla quale è legato”.

A questo proposito fecero a Sri Ma una domanda: “Può una persona che ha visto Dio farLo vedere ad altri?”. Ella rispose che un uomo può avere la visione di Dio solo quando il tempo è maturo. Chi ha quella visione può aiutare altri ad averla solo fino ad un certo punto. La visione in sé è possibile solo attraverso la grazia di Dio.

Un’altra volta vi fu una discussione sulle vite passate. Sri Ma disse: “La rinascita è un fatto. Non c’è dubbio su questo. Quando con un’operazione si rimuove la cataratta dagli occhi, ritorna la vista; similmente, con la concentrazione profonda sul Divino, quando il velo che oscura la visione viene rimosso e la mente è purificata e focalizzata sul Sé, il significato dei mantra e delle divinità di cui essi sono le forme sonore ci appare evidente e le impressioni delle nascite prece­denti balenano nella nostra coscienza. Come stando a Dacca potete avere un’immagine mentale di quello che avete visto a Calcutta, allo stesso modo potete proiettare un’intensa immagine grafica delle vostre vite passate sul vostro schermo mentale di ora”. Aggiunse: “Quando vi guardo, posso vedere una serie di immagini delle vostre vite passate”.

Una volta, a Calcutta, un signore e sua moglie vennero a vedere Sri Ma con il loro figlioletto di sette, otto anni. Vedendo il bambino Mataji osservò: “Nella sua vita passata questo bambino è stato il fratello di questo corpo”. Uno dei fratelli di Sri Ma era morto molto giovane; aveva subito una grave ferita a un braccio, che era rimasto storto. Anche il bambino menzionato prima aveva un braccio storto.

A volte Sri Ma mostra un coraggio straordinario e un tempera­mento impetuoso. In lei non v’è traccia di paura. Quello che vuole o dice deve essere fatto. Se i suoi pensieri e le sue azioni possono fluire senza alcuna protesta od ostacolo, contribuiscono al benessere dell’uomo. Se ostruiti, causano del male. Durante i suoi anni giovanili esempi di questo tipo erano eventi comuni.

Quando aveva quattro o cinque anni era solita recarsi dalla bisnonna con un recipiente, per andare a prendere la cagliata. Un giorno riempì il recipiente fino all’orlo e questo fece andare in collera l’anziana signora, che disse: “Mangi troppa cagliata tutti i giorni! Oggi non ne avrai”. Non appena fu pronun­ciata questa minaccia, l’anziana donna s’accorse con sgomento che nel vaso della zangola s’era fatto un buco e che tutto il siero del latte usciva dalla fessura. Guardò stupefatta il viso di Nirmala. Dopo questo incidente la invitava spesso ad andare a prendere la cagliata, anche se arrivava in ritardo.

Abbiamo visto Sri Ma diventare severa come il fulmine, anche se per natura è dolce e tenera come un fiore. Una volta fu molto severa con me (perché parlavo senza riflettere), e mi ordinò: “Vattene, non farti vedere!”. Un’altra volta le disobbedii, e il risultato fu che per alcuni giorni lei rimase in silenzio.

In molti casi fui così fortunato da ricevere un suo forte castigo. Se qualcuno fa qualcosa di sbagliato e poi si pente, i suoi sguardi dolci e misericordiosi effondono una grazia così ineffabile che la mente del trasgressore cambia completa­mente e diventa pura e beata. Se invece a causa delle sue parole la mente viene scossa dalla collera e dall’orgoglio, si sente un’angoscia terribile finché non ci si pente. Una volta Pitaji si mise dalla mia parte e intercesse per me; Mataji rispose: “Una punizione severa è accordata a coloro che sono in grado di sopportarla. Se vuoi far cadere un albero, prima di tutto devi usare una scure; dopo si possono usare un’accetta e un coltello per tagliare rami e ramoscelli. Il castigo sarà dunque leggero o severo, come richiede il caso”.

La sua bontà si manifesta in vari modi per confortare i malati e gli afflitti. In molte occasioni ha detto: “Non faccio o dico nulla con un motivo o per un atto di volontà. I vostri pensieri e desideri spingono questo corpo a dire o a fare cose per il vostro bene. Vedo spesso quello che accadrà o non accadrà nel futuro, ma non sempre le parole trovano il modo di uscire”.

I casi in cui ragazzi e ragazze, uomini e donne hanno ricevuto aiuto e conforto direttamente o indirettamente durante la malattia, nel commercio o nella libera professione, durante gli esami o gli studi, nel matrimonio e così via, sono così numerosi che non si possono menzionare tutti.

Per liberare gli altri dai mali della vita, Ella ha fatto ferite nel proprio corpo e ha preso su di sé le sofferenze dei malati. Casi del genere sono innumerevoli. Frequenti sono stati i casi in cui richieste fatte da stranieri, trasmesse attraverso una terza persona, producevano in lei un’immagine delle soffe­renze mentre essi venivano liberati dei loro mali. Sri Ma ci ha detto che quando ascolta delle preghiere sincere per aiutare una persona in disgrazia, a questa giunge una qualche forma di conforto. Molte persone l’hanno vista in sogno e hanno sentito le sue benedizioni durante lutti o malattie.

I genitori di una ragazza paralizzata chiesero a Mataji di curarla. Lei chiese alla ragazza di rotolare sul pavimen­to. La ragazza non poteva muoversi; non poteva neppure girarsi. Sri Ma stava tagliando a pezzettini delle noci di betel per l’adorazione di una divinità. Ne gettò alcuni pezzi alla ragazza e le chiese d’allungare la mano per prenderli. La giovane riuscì a prenderne alcuni con grande difficoltà; dopo la famiglia partì. A casa sua la ragazza giaceva a letto. Il pomeriggio seguente sentì il rumore di una macchina che passava; all’improvviso saltò dal letto e corse verso di essa. Dopo questo fatto, cominciò gradualmen­te a muoversi.

Un giorno sulla strada di fronte al terreno di Ramna stava passando una carrozza. Sri Ma mi chiese di fermarla e vi si accomodò. Il cocchiere, che era un musulmano, chiese: “Dove volete andare?”. “A casa tua”, fu la sua pronta risposta. Senza dire una parola ci condusse a casa sua. Una volta arrivati, trovammo un vecchio che stava per morire; i congiunti piangevano al suo capezzale. Sri Ma mi chiese di portare dei dolci, che furono distribuiti tra i presenti; poi andammo via. In seguito venimmo a sapere che il vecchio si era ripreso.

Sri Ma ha anche altri modi per dare sollievo ai sofferenti. Una volta ha chiesto ad un malato di chiudere gli occhi al crepuscolo e usare qualunque cosa riuscisse a prendere con le mani. Seguendo le sue istruzioni, questi si è ripreso. A volte chiede a un malato di mangiare il cibo preparato per lei, mentre lei mangia quello preparato per lui. Nei casi di febbre o di seri disturbi allo stomaco, i malati che seguono le istruzioni di Sri Ma mangiano del cibo che i medici non considerano benefico, col risultato che ritornano in un baleno al loro normale stato di salute.

Quando mio figlio aveva quindici o sedici anni, soffrì di dissenteria per circa dieci, dodici giorni. Una notte Sri Ma venne a trovarlo. Da quella notte cominciò a migliorare e Mataji soffrì di dissenteria per alcuni giorni. S’è visto anche che se qualche paziente era destinato a non riprendersi, avrebbe violato volutamente le direttive della Madre; oppure, spinto dalle circostanze, non sarebbe riuscito a seguirle. In questi casi il risultato finale si poteva prevedere dai comportamenti di Mataji. Gli shastra indù dicono che i risultati delle nostre azioni passate, di questa vita o delle vite precedenti, possono essere neutralizzati solo dal buon lavoro costante fatto in questa vita con l’aiuto della grazia divina. Il lavoro che suscita l’intervento divino è però molto difficile da compiere, a meno che qualche santo mosso a compassione non aiuti volontariamente tale sforzo.

Sri Ma dice: “Fino a quando vedete questo mondo oggettivo, per voi la creazione esiste. Vi è conflitto finché prevalgono le nozioni di tu ed io, felicità e dolore, luce e tenebre. Date enfasi alle azioni che sono espressione della vostra vera natura, del vostro dovere innato come esseri umani. Quando rinuncerete alle attività dettate dai sensi e dagli stimoli esterni, il vostro Sé interiore (anteratman) si risveglierà. Riuscirete allora a fissare lo sguardo sull’Essere Supremo e sarete liberati dalla schiavitù della visione che percepisce il mondo della dualità”.

Durante l’infanzia di Sri Ma le possibilità d’istruzione erano piuttosto scarse né lei vi prestò molta attenzione. Era però sorprendente scoprire che le domande che le ponevano gli esaminatori vertevano su quegli argomenti ai quali aveva prima dato un’occhiata, e in classe era conside­rata un’alunna brillante. Non lesse mai un libro di sua spontanea volontà né esercitò la scrittura; tuttavia le basi della sua conoscenza apparivano piuttosto buone. Assimilava totalmente qualunque cosa studiasse.

Un giorno chiese: “Che cos’è l’Italia?”. Pochi giorni dopo un professore italiano di nome Tucci andò a trovarla a Shahbag. Era in visita all’università di Dacca. Lo studioso pose una domanda in inglese, che stavano per tradurle in bengalese, ma prima che lo facessero ella diede la risposta giusta in sanscrito.

Molte volte le abbiamo chiesto di darci un saggio della sua scrittura in bengali. Rispondeva: “Non scrivo nulla di proposito. Quando verrà il momento lo avrete”.

Il 4 di ashar dell’anno bengali 1337 (nel 1930) abbiamo fortunatamente avuto un suo scritto. Questa è la traduzione:

 

“Tu, Essere Supremo, sei manifesto in tutte le forme: questo universo con tutte le cose create, moglie, marito, padre, madre e figli, tutti in uno.

“La mente dell’uomo è annebbiata dai legami del mondo; ma non vi è motivo di disperarsi.

“Andate avanti con purezza, fede risoluta e ardente zelo, e realizzerete il vostro vero Sé”.

 

Vi sono molte foto di Sri Ma, forse diverse migliaia. La cosa sorprendente è che neppure due sono simili. Sj. Subodh Chandra Dasgupta di Dacca e Sj. Shashi Bhushan Dasgupta di Chittagong hanno fatto numerose foto. Nell’ottobre del 1926 Shashi Bhushan venne a Dacca durante la festa del Durga puja e alcuni di noi andarono con lui a Shahbag per fare una foto a Sri Ma la mattina presto.

Giunti là, ci accorgemmo che nessuno sapeva dove fosse. Scoprimmo infine che stava in una camera buia in uno stato di samadhi. Shashi Bhushan doveva lasciare Dacca quello stesso pomeriggio, perciò desiderava fare una foto a Sri Ma quella mattina stessa. Pitaji fu vivamente pregato di avvicinarla per avere il suo permesso.

Lui stesso, con il mio aiuto, portò Sri Ma all’esterno e la fece sedere per una posa, mentre noi ci ritiravamo dal raggio della macchina fotografica. Ella era ancora in uno stato di profondo assorbimento, con il corpo e le membra rilassati. Temendo che si fosse mossa durante l’esposizione, Shashi Bhushan usò diciotto lastre; poi partì per Chittagong. In seguito ci scrisse per dire che solo l’ultima delle diciotto lastre aveva prodotto un buon ritratto; essa conteneva una palla di luce simile alla luna posta sulla fronte di Sri Ma e, cosa ancora più strana, la mia figura appariva dietro di lei. Cito un estratto dalla lettera che Shashi Bhushan mi scrisse molto tempo dopo:

“Quando è stata fatta la foto di Ma, ho caricato sei lastre alla volta e, in tre sostituzioni, ho usato diciotto lastre. Nelle prime lastre non vi erano impressioni; ciascuna lastra era coperta solo da una palla di luce. Le lastre successive mostravano qualche lineamento indistinto. La figura di Ma è venuta fuori in pieno risalto solo nell’ultima lastra. Tu eri lontano, da una parte, oltre il raggio della macchina fotografica. Da lì mi hai dato il segnale di scattare. Mentre facevo le foto mi sentivo nervoso, perché avevo il vago sospetto che le cose non sarebbero andate bene, e questo mi causava molto dispiacere. Quando ho esposto l’ultima lastra ho sentito un flusso di gioia riempirmi il cuore. In quel periodo avevo appena cominciato ad avvicinare i piedi di Ma come mio solo rifugio. In quei giorni l’incidente menzionato sopra mi ha quasi distrutto”.*

Quando la foto arrivò a Dacca, la gente sospettò un trucco realizzato dal fotografo durante lo sviluppo. Sulla questione fu avvicinata Sri Ma, che si espresse così:

“Quando questo corpo si trovava nella stanza buia, in uno stato di quasi totale rigidità, l’intera stanza era inondata di luce. Quando avete portato questo corpo all’esterno, lo splendore era lì, ma si era ridotto gradualmente ad una palla di luce sulla fronte. Nella mia mente vi era l’impressione che in quel momento Jyotish si trovasse dietro di me. Sta a voi giudicare cosa ha fatto venire la foto così com’è venuta”.

 

 

*) – La lettera era datata 5/5/37 dell’anno bengali (1931 d. C.).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ashram

 

 

 

A Dacca tutti sentivano il bisogno di un ashram. Una volta andai a Shahbag in una notte illuminata dalla luna, e Sri Ma disse: “Facciamo quattro passi in giardino”. Pitaji, Mataji ed io uscim­mo e sedemmo sull’erba vicino al luogo in cui c’era un edificio in rovina (il sito attuale dell’ashram di Dacca). Con grande umiltà dissi a Ma che Shahbag era proprietà del nababbo di Dacca e, poiché lì non sarebbe stato possibile continuare kirtan e puja per molto tempo ancora, era necessario avviare un ashram. Sri Ma rispose: “Il mondo è pieno di ashram; a che servirà un altro?”. Risposi: “Non abbiamo bisogno di un grande progetto; vogliamo solo un piccolo posto dove riunirci intorno ai tuoi sacri piedi e cantare kirtan. Pitaji fu d’accordo. Sri Ma disse: “Se senti di dover costruire qualcosa del genere, il sito di quella vecchia casa è il migliore. È la tua vecchia casa”. Rise e poi rimase in silenzio.

A quel tempo vi era un tempio in rovina dedicato a Shiva, che si trovava in mezzo a cumuli di macerie, pietre e mattoni, circondato dalla giungla. Il luogo era infestato dai serpenti. Dopo aver costruito l’edificio dell’ashram, vedemmo ancora dei grossi serpenti. A quel tempo Sri Ma era solita, in certe occasioni, offrire latte e banane nel tempio abbandonato di Shiva.

Un lunedì furono offerti del latte e cinque o sette banane in un vaso nuovo d’argilla. Dopo sette giorni, verso le nove o le dieci di sera, Sri Ma andò lì e ritrovò il latte e le banane esattamente nella stessa condizione di quando erano stati offerti. Neppure una formica aveva toccato il vaso. Ma disse che ne avrebbe bevuto un sorso. Molti cercarono di fermarla, pensando che il latte potesse essere andato a male; ma lei doveva fare a modo suo. Ne bevve un sorso e tanti presero il suo prasad. Quello che rimase nel vaso fu lasciato lì. La mattina seguente ci si accorse che il latte rimasto era stato leccato; non ne era rimasta neppure una goccia.

Quando chiedemmo ci dissero che il tempio dedicato a Shiva e i terreni adiacenti appartenevano al Ramna Kali Estate. Fu avvicinato il sacerdote responsabile, Sj. Nityananda Giri, che disse chiaramente che non si sarebbe separato dalla proprietà per meno di seimila rupie.

Alcuni mesi dopo, quando Niranjan fu trasferito a Dacca, cercammo di raccogliere il denaro, ma non vi riuscimmo. Agli inizi del 1927 mi trovavo a letto per una grave malattia. Un giorno Niranjan venne a trovarmi e disse che lo zemindar di Gouripur, Sj. Brojendra Kishore Roy Chowdhury, aveva mandato mille rupie. Niranjan aggiunse: “Per prima cosa cerca di ristabilirti presto; poi cercheremo di raccogliere altri fondi”. Niranjan raccolse gradual­mente altro denaro, ma per cedere la proprietà Nityananda Giri conti­nuava ad esigere seimila rupie. Dopo essere stato male per circa un anno e mezzo, ripresi il mio lavoro al Ministero dell’Agricoltura a Dacca. Andammo a vedere molti posti per costruire l’ashram, ma nessuno appariva più adatto di quello suggerito da Sri Ma.

Eravamo in difficoltà. Verso l’inizio del 1929 Sri Ma si trovava a Calcutta. Sriman Benoy Bhushan Banerji andò a trovarla ed ebbe con lei un colloquio sull’avvio dell’ashram di Dacca. Quando ritornò e mi raccontò la sua conversazione con la Madre, le mie speranze si riaccesero. Un giorno decisi che dovevo vedere il prete del tempio di Ramna dedicato a Kali, e concludere almeno l’acquisto di un pezzo di terra. Quando uscii di casa vidi l’immagine di Ma fluttuare sopra di me, e questo mi diede la certezza che il nostro desiderio sarebbe stato esaudito. Il prete disse: “Non potete pagare tutta la somma richiesta per la vendita complessiva. Facciamo un contratto temporaneo con 500 rupie come salami e 300 rupie per l’affitto annuale; anche il tempio di Kali è vostro. Più in là potremo stipulare un accordo permanente”. Dopo tante discussioni, alla fine si decise di prendere il terreno in affitto.

Quest’accordo, naturalmente, non piacque a molti ma, se si doveva stabilire un ashram, il luogo prescelto appariva il più adatto allo scopo. L’ashram era per Sri Ma, e noi pensavamo che per esso avrebbe fatto tutto il necessario; era inutile che ci preoccupassimo del futuro. Con questi pensieri, prendemmo in affitto il terreno alle condizioni stabilite. Sri Mathura Nath Basu, Nishikanta Mitra e Brindaban Chandra Basak presero parte attiva alla transazione. Il 13 aprile del 1929 Sri Ma fu pregata di porre i suoi piedi sulla costruzione in rovina. Niranjan era allora in lutto per la morte prematura della moglie, ma fece in modo d’essere presente per l’occasione. Circa due mesi dopo anche lui lasciò questo mondo. La fondazione dell’ashram fu stabilita con il denaro raccolto da lui con le offerte. Ovunque possano ora trovarsi lui e sua moglie nell’altro mondo, il loro legame con Sri Ma continua sempre. Questo è il mio credo.

Riguardo all’ashram, Mataji disse: “Un ashram dev’essere un luogo sacro che risveglia nell’uomo pensieri divini. Tutti coloro che ci vivono devono sforzarsi al massimo di mantenere l’atmo­sfera pura con continue preghiere, sadhana, nobili pensieri, meditazione e discorsi religiosi. In un posto simile è sufficiente che vi siano alcune capanne col tetto di paglia per gli ashramiti”. Fu in base a questo che, dapprima, fu costruita una piccola capanna per Ma.

I movimenti e il gioco dei diversi stati d’animo di Sri Ma sono oltre la comprensione umana. È inutile cercare di prevedere e impedire ciò che si propone di fare, o chiedere perché segua un particolare corso d’azione. Il 2 maggio del 1929 Sri Sri Ma entrò nel nuovo ashram di Ramna. Tutt’intorno vi erano urla ed esclamazioni di gioia. Sj. Baul Chandra Basak portò delle ghirlande e dei braccialetti di fiori e rivestì Ma come Sri Krishna. Anch’Ella sembrava essere in uno stato d’animo sereno. Me ne stavo in disparte ad osservare i suoi movimenti. Mi sembrava che, nascosta misteriosamente da qualche parte, vi fosse l’ombra di una nuvola. Il sorriso e lo sguardo di Ma sembravano fluttuare in luoghi lontani. Tornai a casa mia alle due del mattino. La sera del giorno dopo Pitaji visitò la nostra parte della città. Qualcuno venne a dire che Pitaji era desiderato immediatamente all’ashram. Lo accompagnai. Erano circa le dieci o dieci e mezzo di sera. Giunti all’ashram trovammo tutte le persone tristi e depresse. Un’acuta angoscia oscurava ogni viso. Sri Ma sedeva all’aperto fuori i confini dell’ashram. Ci dissero che era uscita dall’ashram la mattina molto presto; aveva trascorso tutto il tempo, fino alle dieci e mezzo di sera, vagando per i campi.

Quando vide Pitaji, Mataji disse: “Permetti a questo corpo di partire per un viaggio insieme a suo padre; tu potrai rimanere all’ashram”. Dopo molte proteste Pitaji diede il consenso, esclamando all’improvviso: “Bene, sia fatta la tua volontà”. Molti accompagnarono Ma alla stazione. Pitaji ed io restammo indietro, ma dopo un po’ andammo anche noi. Pitaji fece del suo meglio per dissuaderla, esprimendo la sua disapprovazione. Ma rimase ferma nel suo proposito.

Il treno per Mymensingh era pronto. Sri Ma vi salì. Pitaji mi chiese di salire in un altro compartimento, in caso Ma mi avesse fermato. Ubbidendo alle sue istruzioni, accompagnai Mataji.

Dopo la partenza per Mymensingh intorno a mezzanotte, con soltanto un pezzo di stoffa addosso e senza avere informato i miei dell’improvvisa partenza, nel mio cuore vi era una grande lotta. Non trovo le parole per descriverla.

Il sole è considerato la fonte di ogni vita e attività e, una volta trascorsa lentamente la notte, con i raggi del sole del mattino mi tornarono in mente i doveri verso la famiglia e l’ufficio  e le numerose responsabilità lasciate in sospeso che m’atten­devano. Siamo tutti schiavi delle abitudini! Le catene del mondo sono troppo spesse e troppo sottili per essere spezzate. La mia mente era stranamente velata da oscuri pensieri riguardo i doveri di quel giorno, anche se avevo avuto l’opportunità unica di sedere ai piedi di Sri Ma. Anno dopo anno avevo desiderato toccare quei piedi, e lei mi aveva praticamente strappato dalle fauci della morte. La stima, la reverenza e l’amore che dimostriamo sembrano essere soltanto fugaci impulsi emotivi, ma in realtà adoriamo segretamente i nostri desideri egoistici.

Anche Sri Ma dice: “Le vostre espressioni d’amore e reverenza passano sul vostro corpo e la vostra mente come colpi di vento. Fino a quando non si apre il luogo più intimo della vostra anima, che permette il libero flusso della vera devozione, come potete offrire un vero amore e non una sua mera apparenza?”.

Giunti a Mymensingh, chiesi a Sri Ma: “Dove vorresti andare?”. La sua risposta fu: “Sulle montagne”. Risposi: “La stagione delle piogge è già avanti. Ti sembra saggio andare ora sulle montagne col tuo vecchio padre? Se vuoi passare del tempo in solitudine, andiamo in riva al mare a Cox’s Bazar”. Sri Ma rimase in silenzio.

In genere abbiamo visto che lei dà un’istruzione o un suggerimento solo una volta; se lo mettiamo in pratica, senza dubbio alla fine risulta per il nostro bene, altrimenti rimaniamo insoddisfatti del risultato o andiamo incontro a guai non previsti.

Discutemmo tra noi dove saremmo dovuti andare e fu deciso di partire per Cox’s Bazar con il treno della sera. Quando arrivammo alla stazione di Ashugunj vi fu una terribile tempesta di tuoni. Sri Ma disse: “La furia di questa tempesta è poca cosa paragonata a quello che vedrai domani”. A Chittagong salimmo sul vaporetto per Cox’s Bazar. Quando raggiungemmo il mare alla foce del Karnafuly scoppiò un violento temporale. Il vaporetto oscillava paurosamente e le onde cominciarono ad arrivare sul ponte. I passeggeri urlavano di paura, mentre alla vista del mare agitato la gioia di Sri Ma era senza limiti.

Osservando il gioco della tempesta con le onde, disse: “Ascolta il kirtan ininterrotto che c’è là! Se l’uomo desidera assicurarsi il progresso spirituale, deve ricordare costante­mente il Nome di Dio, cantare la Sua gloria e cercare d’ascoltare la Sua potente voce in tutti i movimenti della vita in questo mondo”.

Da Cox’s Bazar andammo ad Adinath (un tempio in cima ad una collina nell’isola di Mash Khali). Sri Ma rimase là ed io tornai a Dacca. Dopo alcuni giorni Pitaji andò ad Adinath e riportò Mataji a Calcutta. Da lì Ella andò ad Hardwar con suo padre.

Andò poi a Sahasra Dhara (Dehradun), Ayodhya, Varanasi, Vindhyachal e Nawadwip. Da qui ritornò a Calcutta con Pitaji e poi partì per Chandpur. La incontrai lungo la strada tra Nawadwip e Calcutta.

Seppi che in quel periodo si cibava solo di alcuni frutti e di un bicchiere di limonata e che aveva passato parecchi giorni in questo modo, stesa per terra giorno e notte, completamente assorta nelle sue meditazioni. Notai anche che si muoveva meccanicamente come una bambola che trascinava un corpo d’argilla, mossa da una mano invisibile. Vedendola in quello stato, giunsi alla conclusione che quando il Divino si veste di un veicolo fisico deve comportarsi come un comune mortale in obbedienza alle leggi di questo illusorio mondo materiale.

Dopo alcuni giorni Mataji e Pitaji tornarono a Dacca da Chandpur e si fermarono al Siddheshvari ashram. Pitaji cadde gravemente malato. Dopo tanta sofferenza, quando stava per ristabilirsi, Mataji fu costretta a letto. Questo è stato scritto prima.

Nell’ottobre del 1929 la statua di Kali fu spostata sotto una tettoia di lamiera ondulata eretta allo scopo nell’ashram di Ramna. Nel 1930 tutti gli ornamenti d’oro della divinità furono rubati e il ladro ruppe il polso della statua.

Ci si chiese se l’immagine rotta potesse essere adorata, e sull’argomento furono consultati molti pandit. Maha­ mahopadhyaya Panchanan Tarkaratna disse: “Poiché la statua di Kali non è stata immersa dopo il puja annuale per ordine di una santa persona, anche in questo caso particolare bisognerebbe seguire le sue direttive, anche se in circostanze normali non è consentito adorare una statua rotta”. Seguendo le direttive di Sri Ma la statua fu restaurata e venerata.

Molto tempo prima, quando avevo fatto notare a Sri Ma che era necessario costruire un tempio per mettere al riparo la statua di Kali, aveva risposto: “Aspetta ancora un anno”.

Entro un anno da quella risposta, verso l’inizio del 1931, grazie agli sforzi di Bhupati Nath Mitra e Nagendra Nath Roy fu posta la prima pietra del tempio. Quando si scavò un fosso per stabilire le fondamenta, furono scoperte quattro o cinque tombe, larghe e piccole, contenenti ciascuna uno scheletro. Alcuni scheletri erano in posizione seduta ed altri distesa.

Riguardo ad essi, Sri Ma mi disse: “L’intero sito ha una propria santità, poiché in passato è stato dimora di alcuni sannyasi. Tu eri uno di loro. Ho visto alcuni di questi santi muoversi nei giardini di Ramna. Questi sadhu desiderano che un qualche tempio sia costruito sulle loro tombe, così che la gente possa venire qui a pregare Dio e mantenere la purezza del luogo per il bene di tutti. Per questo motivo sei stato portato a stabilire un ashram qui. Quelli che hanno preso parte all’iniziativa devono avere avuto qualche relazione con i santi del posto”.

Chiesi a Ma: “Se ero un sannyasi, perché adesso devo continuare a vagare in questo modo?”. La sua risposta fu: “Finché non si esaurisce il frutto del proprio karma, bisogna continuare il lavoro lasciato incompleto”.

Prima dell’inaugurazione dell’ashram di Dacca, quando Ma stava a Shahbag, si facevano kirtan quasi ogni sera, e nelle notti di luna piena e di luna nuova continuavano fino a notte fonda. Una notte di luna piena ero steso sul mio letto: erano le ventitré ed ero completamente sveglio. Per molto tempo echeggiò nelle mie orecchie un dolcissimo motivo, che ripeteva solo questi due versi:

 

Hare Murare Madhukeitabhare,

Gopala, Govinda, Mukunda Saure.

 

Mi venne in mente che Sri Ma doveva stare cantando questi versi a Shahbag. Sembrava la sua voce. La mattina dopo seppi che Ma aveva effettivamente cantato quei versi a quell’ora; aveva cantato ripetutamente solo quei due versi.

Ero veramente sfortunato. Sri Ma cercava d’attirarmi verso la bellezza divina del kirtan, ed io riuscivo a malapena a sviluppare un’inclinazione per esso.

Una sera andai a Shahbag con Niranjan. C’era in corso un kirtan. Mataji disse: “Quelli di voi che non hanno preso parte al kirtan, cantino insieme il nome di Dio”. A causa della nostra naturale timidezza, Niranjan ed io cantammo con voce sommessa, quasi impercettibile; sentivo però un sincero rimorso perché non potevo soddisfare in pieno il desiderio di Ma.

Ad un tratto Ella disse: «Oggi è sabato, domani sarà domenica: perché non vi sedete e passate alcune ore della notte cantando kirtan?”. Niranjan tornò a casa sua ed io passai tutta la notte a Shahbag facendo kirtan. Verso le prime ore del mattino, Ma cominciò a cantare:

 

Hari, Hari, Hari, Hari, Hari, Hari, Hari bol.

 

Questo destò in me una nuova ispirazione. Da allora in poi potei percepire che, nella cultura spirituale, il kirtan ha un posto più alto di altri riti e osservanze religiose. La pratica corrente di fare kirtan all’ashram ogni sabato sera iniziò nel novembre del 1926. Quel giorno, insieme al nome di ‘Hari’, fu aggiunta per la prima volta la parola ‘Ma’ (Madre). Dopo alcuni giorni il kirtan fu organizzato a turno in casa dell’uno o dell’altro devoto di Ma ogni giorno della settimana.

Nei kirtan a Shahbag erano prevalen­ti le parole ‘Hari bol’. Sentivo che poiché Sri Ma era l’oggetto supremo dei nostri pensieri e della nostra adorazione, e tutte le preghiere delle nostre anime erano rivolte a lei, la parola ‘Ma’ doveva essere alla base dei nostri kirtan. Manifestai questi pensieri ad alcune persone, che però non prestarono attenzione a ciò che dicevo. Non potevo cantare bene, perciò per qualche tempo dovetti sospendere la questione.

Quando Sriman Anathbandhu e Brahmachari Kamala Kanta si unirono all’ashram di Dacca, chiesi loro d’introdurre gradual­mente nei loro kirtan la parola ‘Ma’. In quel periodo a Shahbag venne Sj. Kulada Kanta Banerji, che aveva una profonda venerazione per la pratica dei riti e rituali indù, nei quali era molto preparato. Anche lui esitò a introdurre questa innovazione nei kirtan; ad ogni modo in alcuni canti vi fu una combinazione dei nomi ‘Hari’ e ‘Ma’. È veramente difficile cambiare le nostre abitudini radicate, la nostra disposizione mentale e i nostri modi d’espressione. Per molte persone è piuttosto facile procedere lungo canali tradizionali, specialmente nelle cose religiose. Liberarsi delle catene della tradizione richiede una consi­derevole forza di volontà.

In quel frangente pensavo: “Ci sforziamo di concentrare la nostra attenzione sulla figura di Sri Ma, ogni nostra aspirazione ci spinge a toccare la polvere dei suoi sacri piedi. L’immagine del suo volto fluttua davanti all’occhio della nostra mente, le nostre orecchie sono tese al massimo per cercare d’afferrare ogni singola sillaba che esce dalle sue labbra, tutto il nostro amore e la nostra devozione anelano in maniera ininter­rotta alla sua grazia. Se, in questo stato mentale, durante il kirtan cantassimo “Prana Gauranga, Nityananda. Esho he Gour, bosho he amar hriday prangane – Gouranga e Nityananda sono la mia vita. Vieni, Gour, siedi nell’intimo del mio cuore”, e rotolassimo a terra sopraffatti dall’emozione, ci sarebbe ritmo e armonia tra il nostro canto e il flusso del nostro amore e della nostra devozione?

Lo scopo della nostra adorazione e concentrazione è quello di dare un’unica direzione alle nostre svariate e molteplici tendenze, facendo convergere i nostri vaghi desideri sparsi sull’Essere Divino che adoriamo. In queste circostanze, se invece di permettere ai nostri pensieri e sentimenti di fluttuare sulle immagini del lontano passato richiamate dai diversi temi, toni e melodie dei canti tradizionali, cercassimo di concentrarci sulla presenza vivente della Madre con pensieri, toni e canti che si basano direttamente sul suo nome e i suoi aspetti personali, che hanno un costante richiamo per tutti noi, una nuova ispirazione ridarebbe vita alla nostra adorazione e al nostro kirtan. Saremmo in grado di avere concentrazione e attirare la sua grazia.

Se vogliamo essere veri devoti di Sri Ma, dobbiamo poter rivivere nel kirtan con il solo nome di ‘Ma l’ardore, la forza, la bellezza e l’armonia degli antichi compositori vaishnava. La parola ‘Ma esce spontaneamente dalle labbra di un bambino; deriva in maniera naturale da Om ed è il respiro della nostra vita. Il primo vagito di un bambino, non appena esce dal grembo della madre, è ‘Om-Ma, che equivale a ‘Om. È il suono-simbolo di tutti gli esseri umani per attirare l’attenzione della madre verso il bambino.

Se sentiamo veramente che Sri Ma è la Divinità che presiede al nostro mondo, allora il kirtan del nome di ‘Ma’ dev’essere per noi il modo più facile e naturale di adorazione.

Più o meno in quel periodo composi questo canto, aggiungen­do il nome ‘Ma’ al kirtan normale. Ecco la sua traduzione:

 

Nella gioia e nel dolore, nella felicità e nella tristezza

Chiama a gran voce Ma, Ma, Ma, Ma, Ma,

Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma.

Quando il bambino esce dal grembo materno,

La madre lo pone sul suo ventre

E lo inizia al mantra Om.

Egli impara a balbettare Ma, Ma, Ma.

Impari a camminare con le tue gambe

E gradualmente dimentichi la prima parola,

che diede inizio alla tua vita.

Cerchi dunque nei Veda e nei Tantra,

Per scoprire i confini della sconfinata ‘Ma.

Se mai desideri conoscere la verità del tuo cuore,

Fondi tutti i nomi e le forme nel mantra ‘Ma,

Ripeti sempre Ma, Ma, e lascia che i tuoi occhi

si riempiano di fiumi di lacrime,

Trova in Sri Anandamayi Ma

il rifugio ultimo della tua vita.

 

All’inizio del 1928 mi trovavo a Giridih. Una mattina arrivarono Pitaji e Mataji. Feci notare che il nostro ashram doveva avere un suo modo peculiare di pregare con uno specifico suono-simbolo divino, così come tutti gli ashram hanno le loro forme particolari di kirtan. La Persona intorno alla quale ruotano tutte le attività dell’ashram deve servire da centro, per dare direzio­ne unitaria a tutti i bhajan e i kirtan. Una volta stabilita quell’armonia, i nostri sforzi di crescita spirituale avrebbero ricevuto nuovo impeto.

Combinando ‘Hari’ e ‘Ma’ furono composti parecchi kirtan, e si decise che un canto doveva essere inviato a Kulada Dada a Dacca. Dopo la partenza di Sri Ma stavo per mandargli un canto, quando sentii l’impulso interiore di provare una nuova tonalità usando esclusivamente il nome ‘Ma’. Il ritornello faceva così:

 

Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma,

Chiama (dako) Ma, Ma, Ma, Ma,

Di’ (bolo) Ma, Ma, Ma, Ma,

Canta (gao) Ma, Ma, Ma, Ma,

Adora (bhajo) Ma, Ma, Ma, Ma,

Ripeti (japo) Ma, Ma, Ma, Ma,

Chiama, di’, canta, adora, prega Ma, Ma, Ma.

 

Questo canto fu mandato a Kulada Dada a Dacca, che mi scrisse che la composizione aveva suscitato molta impressione e che era stata introdotta nel kirtan dell’ashram.

Questo fu l’inizio di una nuova forma di kirtan con il suono-simbolo ‘Ma’. Una vera esecuzione non sarebbe stata possibile senza il forte desiderio di ricevere la grazia della Madre durante la sua assenza. Quando furono composti questi canti, Sri Ma era lontana da Dacca da parecchi mesi. I suoi devoti stavano vivendo le forti pene della separazione. L’intenso desiderio di riavere Ma in mezzo a loro rendeva quei canti dolci e toccanti.

Una volta stabilito l’ashram di Dacca, gli inni sanscriti usciti dalle labbra di Sri Ma nello stato di profonda concentrazione furono cantati durante il bhajan. Verso la fine del 1931 (agrahayan 1336 del calendario bengali) Sri Ma mi fece chiamare e mi disse: “Gli inni che canti durante il bhajan sono incompleti, perché non sei riuscito ad annotare tutte le parole uscite dalle mie labbra. Non puoi provare un’altra composizione?”.

Presi in considerazione il suo suggerimento, e giunsi alla conclusione che i devoti bengalesi avrebbero gradito un canto in bengali più di uno in sanscrito. Ispirato da lei, una notte verso le tre prese forma il seguente canto.

Questa è la traduzione:

 

Gloria a Te, Sri Anandamayi Ma,

sacra ed eterna abitante del cuore!

Il Tuo splendore, Madre Nirmala, illumina l’universo;

virtù celesti s’irradiano da Te, Madre.

Regina di gloria divina, Gouri,

Tu sei Om, svaha e svadha, Madre.

Divinamente piena di grazie, Tu sei assoluta Realtà,

supremamente bella e perfetta, Madre.

Il sole e la luna adornano il Tuo volto,

il cielo infinito corona la Tua testa,

l’intero universo è la Tua forma gloriosa, Madre.

Tu sei la luce delle ricchezze del mondo,

dolcezza incarnata, raggiante di splendore, Madre.

Tu sei affascinante come lo è Lakshmi per Vishnu,

Tu sei pace, tranquillità e misericordia;

tutti gli dèi e le dee emanano da Te, Madre.

Tu doni felicità e benedizioni, Tu sei datrice di amore,

saggezza e liberazione, Madre.

Dopo avere emanato il mondo, sei Tu che lo nutri,

lo sostieni e infine lo ritiri in Te.

Tu sei la stessa vita dei Tuoi devoti, Grazia incarnata,

Salvatrice dei tre mondi, Madre.

Fascino di ogni conoscenza, incantatrice degli yogi;

la Tua presenza, Madre, disperde le paure della vita.

Tu sei l’anima di tutti i mantra, la rivelatrice dei Veda,

e pervadi l’intero universo, Madre.

Tu sei con forme e qualità, ma anche senza forme

e al di là di ogni descrizione;

traboccante d’amore e beatitudine, Madre.

Vivificato dal Tuo contatto, l’intero universo

animato e inanimato canta sempre le Tue lodi, dolce Madre.

Ci uniamo tutti per offrire dai nostri cuori

obbedienza ai Tuoi sacri piedi;

vittoria, vittoria e sempre vittoria a Te, Madre.

 

 

Verso una Nuova Vita

 

 

 

Il volto sempre pieno di gioia di Sri Sri Ma, semplice e rassicurante, aveva esercitato su di me un fascino indescrivibile sin dal primo incontro, così anche in mezzo alle diverse distrazioni ed agitazioni che vivevo, giungevo a dimenticare tutte le preoccupazioni e le tentazioni. Un solo desiderio mi consumava: ottenere un briciolo della sua grazia. Come le onde s’alzano nell’oceano, così dal mio cuore si levava un’aspirazione profonda che giorno e notte anelava rombando ai suoi piedi e soffocava i tumulti del mondo. A volte trovavo grande sollievo nel gridare come un pazzo ‘Ma, Ma’ e nel piangere per lei e cantare le sue glorie; ma a casa mia non avevo spesso tali opportunità.

Avevo visto nel corpo fisico di Sri Ma diversi bhava singolari, ed in sua presenza ero pieno di gioia e meraviglia. Davanti a lei mi sentivo solo un bambino o un povero mendicante indifeso, assolutamente indegno di sedere ai suoi piedi; di fatto in tutta la mia vita non mi sono mai seduto in sua presenza. Ero solito rimanere sempre a distanza. Ogni mattina ero così fortunato da avere il primo darshan dei suoi piedi, perché pochissime persone potevano andare all’ashram così presto. Alcune mattine trovavo Sri Ma seduta tranquillamente sul letto con tutto il languore del sonno ancora sulle palpebre. A volte i suoi occhi luminosi e il suo dolce viso sembravano irradiare grazia e affetto materno su tutti gli uomini. In altre occasioni il suo aspetto all’alba aveva la serenità e la grazia del bellissimo cielo dei mattini autunnali, infinitamente luminoso e tuttavia lontano dalle cose del mondo. L’espressione del suo volto cambiava costantemente con il susseguirsi delle sue emozioni e dei suoi pensieri interiori. A volte appariva come un’anziana signora. Altre volte, in mezzo agli allegri divertimenti e alle fragorose risate di una giuliva ragazza, assumeva improvvisamente un’espressione così seria, assorta e determinata da destare in noi paura e sgomento. In quello stato il suo corpo assumeva delle pose insolite, il suo volto mostrava un’espressione così solenne che tutti noi sentivamo che Madre Rudrani prendeva possesso del suo essere. In quelle occasioni la sua risata selvaggia, i suoi occhi roteanti e i movimenti dei suoi arti contribuivano ad incutere terrore ai nostri cuori; tuttavia, dopo un po’, ritornava alla sua consueta espressione di gioia e dolcezza.

In tutti i casi, però, mi sentivo così irresistibilmente attratto che, se un giorno non fossi riuscito ad andare da lei, sarei stato sicuramente male e la mia mente avrebbe cercato la prima occasione per ottenere rifugio e riposo ai suoi piedi. Mi sembrava che Mataji gridasse continuamente alla mia anima: “Vieni, vieni a me”, e mi osservasse costantemente, con gli occhi sempre rivolti al mio vero bene.

Molti giorni mi sforzavo con determinazione di cancellare ogni suo pensiero, ma lei vanificava ogni mio perfido tentativo e conquistava ancora di più la mia mente e ragione. Questi sforzi mi esaurivano e mi lasciavano muto e inerte come un pezzo d’argilla. Non riuscivo a trovare alcun modo d’appagare il mio desiderio dell’affetto di Sri Ma, così cominciai a diventare debole e il mio corpo entrò presto in crisi.

Il 4 gennaio del 1927, caddi infine malato. Fin dall’inizio sentii un dolore acuto nella regione del cuore. Nessuna medicina riusciva a darmi sollievo. Un giorno Sri Ma venne a trovarmi e mi pose la mano gentile e calmante sul petto. Al suo contatto tutto il dolore si calmò, ma la malattia continuò a diventare sempre più seria. Il dottore disse che avevo la tisi. Pochi giorni dopo Sri Ma venne a trovarmi di notte, sedette accanto al mio letto e mormorò qualcosa tra sé. Molto tempo dopo seppi da lei che aveva detto alla malattia: “Hai fatto quel che dovevi; adesso fermati”,* e da allora Sri Ma smise di venire da me. Negli ultimi mesi di acuta sofferenza non ebbi la buona fortuna di incontrarla.

Per me era necessario. L’intenso desiderio di vederla mi fece dimenticare il dolore causato dalla malattia. In quel periodo la mia mente si librava giorno e notte intorno ai suoi piedi. Ella pervadeva tutto il mio essere, all’interno e all’esterno. Mi fu riferito in seguito che un giorno, a Shahbag, Sri Ma aveva detto di vedere sangue sulle labbra di tutti. Udendo questo, Pitaji venne a trovarmi quella stessa notte. Allora stavo vomitando sangue e la mia energia era quasi esaurita. In molte occasioni Sri Ma mi guidò con i suoi suggerimenti per una cura, molto prima d’essere informata verbalmente dell’evolversi della mia malattia.

Una notte ebbi una crisi molto forte. I medici che mi assiste­vano dichiararono il mio caso senza speranza. Erano le due di notte. La pioggia cadeva a fiumi facendo un rumore assordante. I cani abbaiavano e rendevano la cosa più terrificante. Cominciai ad avere visioni orrende, tutti i peli del mio corpo si rizzarono: allora vidi chiaramente come in pieno giorno Sri Ma seduta alla destra del mio cuscino. La piacevole sorpresa s’avvicinò a me lentamente e, prima che finisse quell’attimo di stupore, la sentii passare la mano sulla mia testa. Era così dolce e calmante! In un attimo caddi in un sonno profondo.

Da quel giorno in poi, per otto o dieci mesi, per tutto il tempo che rimasi confinato a letto, avvertii sempre la presenza di Sri Ma che sedeva sul mio letto vicino al cuscino con un’espressione calma e serena e che impediva alla morte di prendermi.

A volte, quando non riuscivo a sopportare il continuo dolore causato dalla tosse e seguito dallo sputare sangue, ero solito ripetere il nome di Sri Ma e presto l’intensità del dolore diminuiva.

Durante la mia malattia Sri Ma chiese a Brahmachari Jogesh di andare per un anno nell’India Occidentale e vivere soltanto di elemosina, senza una fissa dimora. È possibile che ciò sia stato fatto per deviare alcune delle mie sofferenze.

Dopo alcuni mesi di malattia, quando andai a vivere in una casa statale vicino a Shahbag, Mataji partì per Hardwar per partecipare al Kumbha Mela. Ebbi una seconda grave ricaduta e inviarono un telegramma alla Madre a Rishikesh, ma lei non venne. In seguito seppi che quando Pitaji aveva espresso la sua ansia per me, Sri Ma gli aveva detto: “Ho visto Jyotish in braccio a me, incurante della sua malattia”.

Dopo quasi cinque mesi di cura volli rendermi conto di quanta forza avevo acquisito con le cure mediche. Appoggiandomi al muro della stanza provai a fare alcuni passi. Lo sforzo fatto mi causò quella stessa sera un considerevole vomito di sangue. Informato di questo, il medico disse ai miei che dovevo rimanere a letto e non muovermi.

Quattro o cinque giorni dopo Sri Ma tornò a Dacca e venne a trovarmi. Mi chiese: “Come ti senti adesso?”. Risposi: “Non ho molto dolore, ma mi sento estremamente a disagio perché non faccio un bagno freddo da tantissimo tempo”. Era il mese di vaisakh (maggio). Il caldo era cocente. Sri Ma rimase seduta un po’ e dopo se ne andò. L’indomani, verso le tredici, tornò con Pitaji. A quell’ora in casa dormivano tutti; dormiva profondamente anche mia figlia, dodicenne, che era stata incaricata di sorvegliarmi. Sri Ma disse: “Volevi fare il bagno. Se lo desideri, c’è una vasca laggiù; vacci e fai un bel bagno”.

La vasca distava da cinquanta a settanta metri. Quando udii le     parole di Ma una nuova forza inondò il mio fragile corpo, insieme all’amore e alla devozione per lei. Il mio corpo era allora uno scheletro. L’ammonimento del medico a non alzarmi dal letto mi balenò un attimo in mente e poi svanì. In quella condizione, mentre barcollavo cercando di stare in piedi e di prendere un altro pezzo di stoffa da mettere addosso dopo il bagno, Pitaji mi sostenne e mi condusse alla vasca. Il pavimento di casa mia era sollevato circa un metro dal terreno circostante. Scesi le scale e camminai fino alla vasca. Si trattava di una vasca di riserva, e sulle sue sponde s’affacciava la pensione privata dell’università musulmana. Vi era anche un ordine affisso dalle autorità che ne vietava l’uso per fare il bagno e per lavare. Quel giorno però non si vedeva nessuno della pensione. Anche a casa mia dormivano tutti. Entrai nella vasca e feci un bagno delizioso. Tornato a casa mia stesi la stoffa bagnata ad asciugare sul filo e mi allungai sul letto a riposare.

Mi ero appena steso sul letto quando mia figlia si svegliò e vide la Madre che sedeva al suo fianco. Mentre attraversavo il prato per andare a fare il bagno, numerosi semi di chorkanta s’erano attaccati alla stoffa che indossavo. Quando il mio servitore Khagen vide la stoffa piena di quei semi, capì subito che avevo attraversato il prato a mezzogiorno. La cosa fu fatta sapere a mia moglie, che mostrò la stoffa a Sri Ma e si lamentò con lei perché avevo attraversato il prato a quell’ora contro l’esplicita proibizio­ne del medico.

Sri Ma rise senza dire una parola. Ero davvero stupefatto; mi chiedevo come avessi potuto attraversare tutto il prato e fare il bagno nella vasca alla piena luce del sole senza essere notato da alcuno, e come avessi potuto avere la forza di sostenere tale sforzo. Era un’impresa al di là della mia comprensione. Dopo tre o quattro mesi, quando lasciai Dacca per andare a stare in un clima più salubre, raccontai tutto a Niranjan. In seguito, quando mi ristabilii e ripresi il lavoro in ufficio, narrai il fatto ai medici, che non credettero assolutamente alla storia. Anche mia moglie all’inizio non ci credeva; quando descrissi loro tutta la storia, alla fine si convinsero.

Nel bel mezzo della malattia mi venne un fortissimo desiderio di mangiare riso bollito. I medici curanti non permettevano che ne mangiassi. Niranjan si rivolse alla Madre dicendo: “Ma, Jyotish vuole del riso bollito; i dottori però non lo permettono. Se morisse ci rimarrebbe il dolore di non aver potuto soddisfare questo suo desiderio prima della morte”. Sri Ma rise e disse: “Se Jyotish lo desidera, gli dev’essere dato il riso”. Pochi giorni dopo Pitaji portò del riso bollito da Shahbag e me lo fece mangiare, ma nessuno se ne accorse.

In quel periodo Sri Ma veniva a vedermi una volta al giorno. Una mattina venne molto presto e, quando era già andata via, Brahmachari Kamalakanta mi portò dei fiori di champak. Guardai i fiori con rammarico, perché quel giorno non avrei avuto l’opportunità di offrirli ai piedi di Sri Ma con le mie mani. Nel pomeriggio Kulada Dada mi portò una bellissima rosa, e mi venne di nuovo lo stesso triste pensiero. La rosa fu messa sul tavolo vicino ai fiori di champak. Mi dispiaceva moltissimo che quei fiori così belli non potessero essere offerti ai piedi di Ma. In quel momento Ella entrò inaspettatamente nella mia stanza, si diresse verso il tavolo e vi si appoggiò dal lato sinistro. Mi guardò per tre o quattro minuti con la mente assente e poi andò via; penso abbia preso i fiori, perché non c’erano più. Quando tornò il giorno dopo glielo chiesi. Mi rispose: “Non so esattamente cosa ho preso, ma devo aver preso qualcosa da qui. Sono andata a casa dello zemindar di Dhankora e ho dato qualcosa ad una donna; poi sono andata a casa di un magistrato in cui c’era una donna che stava male ed anche lì ho lasciato qualcosa”. In seguito venni a sapere che nella prima casa aveva lasciato la rosa e nella seconda i fiori di champak. La donna malata si ristabilì presto.

A questo proposito Sri Ma disse: “Il desiderio intenso del Divino è il cuore di ogni adorazione, di ogni preghiera. Nel nostro cuore c’è l’eterna sorgente del potere divino e in ogni sforzo c’è l’essenza dell’impulso di creazione, conservazione e distruzione dell’Essere”.

Ricordo un altro episodio. Durante la mia malattia, Pitaji aveva ordinato che ogni giorno mi fosse mandato da Shahbag del riso come prasad. Il riso però veniva offerto al tempio solo verso le due del pomeriggio e il prasad arrivava da me molto più tardi. Tutti a casa mia s’irritarono nel vedermi attendere il prasad fino a tardi. Un certo giorno a casa mia espressero delle severe critiche contro quella disposizione. Ciò mi causò una sofferenza così acuta che pensai non fosse il caso di ricevere il prasad di fronte a tanta avversione e criticismo da parte dei miei familiari. Il giorno passò lentamente; alle due di notte nessun prasad era arrivato da Shahbag. Mi venne in mente che, probabilmente, la mia riluttanza a ricevere il prasad in mezzo a tanti problemi fosse la causa che aveva fermato la disposizione. Piansi a lungo sul letto e il prasad arrivò entro mezz’ora. Seppi che Sri Ma s’era appena alzata dal letto e aveva ordinato: “Andate presto, portate subito il prasad a Jyotish”. Mi fu riferito che quando il giorno prima, a mezzogiorno, avevano chiesto a Sri Ma il permesso di mandare il prasad come al solito, Ella aveva detto: “No”. Per questo la consuetudine di mandarlo era stata interrotta. A questo proposito Sri Ma disse: “Non faccio nulla di mia volontà; tu ridi e piangi secondo i tuoi bisogni, e i tuoi desideri vengono esauditi”.

Durante la malattia decisi di andare a Vindhyachal per cambiare clima. Mentre ero in viaggio, incontrai la Madre a Calcutta e le chiesi di accompagnarmi. Mi disse di no. Giunto a Vindhyachal passai una notte intera a piangere per lei. Il giorno seguente arrivarono Mataji e Pitaji. A questo proposito Sri Ma disse: “Lo scopo di tutte le pratiche religiose è quello di sublimare tutti gli impulsi egoistici e dar loro una direzione unificata verso il Divino. Non appena l’ego cessa di funzionare, l’eterno ‘Tu’ prende il suo posto”.

Da Vindhyachal andai a Chunar. Venne anche Sri Ma. Un giorno mi disse: “Non esci mai a fare una passeggiata?”. Risposi: “Sono troppo debole per muovermi; come potrei?”. All’alba del giorno dopo mi portò con sé a fare una passeggiata. Percorremmo cinque o sei miglia in pianura e su basse colline e ritornammo verso le undici. Mentre scendevamo dalle colline mi sentivo molto debole e non riuscivo più a camminare. Sri Ma si guardò intorno e disse: “La casa non è molto lontana”. Dieci minuti dopo sbucò una carrozza da una stradina. Fu una fortuna, altrimenti avremmo dovuto percorrere ancora un miglio per raggiungere il luogo in cui stazionavano le carrozze. Temevo che la grande fatica causata dalla lunga passeggiata avrebbe aggravato la mia malattia, ma non fu così. Poco tempo dopo Sri Ma disse: “Nel mondo normale e nella sfera spirituale il sostegno principale è la pazienza”.

Pitaji, Mataji ed io sedevamo su un prato a poca distanza da casa mia. Mataji disse che desiderava fare il bagno con l’acqua attinta dal pozzo vicino al forte e cominciò ad insistere come una bambina. Dissi: “Chiamo il mio servitore”. Rispose: “No, non devi”. Ero perplesso, perché da quelle parti la gente finisce di attingere l’acqua dai pozzi prima del tramonto. Mi dispiaceva non poter esaudire il desiderio di Sri Ma. Con mia grande sorpresa però un uomo con una lanterna andò al pozzo ad attingere acqua. Lo convincemmo ad attingere l’acqua per il bagno di Ma.

Sri Ma disse: “Puoi ottenere qualunque cosa, a condizione che la sete per l’oggetto del tuo desiderio pervada ogni fibra del tuo essere”.

Durante la mia malattia passai alcuni giorni a Giridih e uno di quei giorni desideravo ardentemente vedere Ma. Con mia grande sorpresa l’indomani arrivarono lei e tutto il suo seguito.

Dopo questo cambiamento tornai a Calcutta, ma quando tossivo sputavo ancora sangue. I dottori mi consigliarono di passare i restanti giorni della mia vita in un luogo salutare.

Sri Ma ordinò: “Torna alla tua scrivania in ufficio e riprendi il tuo lavoro”. Andai a Dacca. Pitaji e Mataji m’accompagna­rono in ufficio e se ne andarono dopo avermi visto seduto sulla mia sedia.

A quel tempo il mio superiore era Mr. Finlow, direttore del dicastero di agricoltura. Mi voleva bene e aveva molta stima di me. Mi disse: “Fai quel che puoi, e manda il resto sulla mia scrivania”. Mi chiese: “Dimmi solo come hai fatto a riprenderti da quella terribile malattia”. Gli risposi: “È stato per grazia di Mataji, che vive al Ramna ashram. Non mi ha dato alcuna medicina. Pur seguendo le prescrizioni dei medici, la mia sola salvezza è stata la sua misericordia”. Mi disse: “Tra la nostra gente si sentono cose simili. Credo in quel che dici”.

Una sera venne a trovarmi Shyama Charan Mukherji, un anziano vicino di circa ottant’anni. Quando la conversazione si volse a Sri Ma, dissi: “È solo per grazia sua che sono ancora vivo”. Egli sbottò: “Si può, con la grazia di qualcuno, vivere più a lungo del tempo stabilito?”. Durante la discussione all’improvviso ammutolì, e se ne andò pochi istanti dopo. La mattina seguente tornò per dirmi: “Sai perché ho lasciato bruscamente casa tua? Mentre stavamo parlando di Sri Ma, ho visto sulla spalliera della tua sedia una brillante luce ovale simile a quella del sole. A quell’ora era buio e non c’era luce nella stanza. Ho guardato intorno, ma non ho potuto trovare la fonte di quella luce; perciò ho deciso di ponderare sul fenomeno prima di parlarte­ne. Dopo aver riflettuto attentamente sono giunto alla convinzio­ne che con la grazia di un grande essere tutto è possibile. Lei ti ha davvero protetto di continuo”.

Alcuni mesi dopo il suo primo darshan di Mataji, Niranjan le disse a Shahbag: “Ma, molto spesso pensiamo che, una volta stabilito il tuo ashram, sia io che Jyotish vi vivremo come brahmachari nelle nostre prossime vite”. Sri Ma mi guardò e chiese: “Perché rimani in silenzio? Non sei in grado di farlo anche in questo corpo?”.

Tre o quattro anni dopo, quando ripresi il lavoro dopo la guarigione, Sri Ma mi ricordò quel discorso e disse: “Pensa solo che hai già avuto la tua rinascita”. Si tolse poi una catenina d’oro dal collo e la pose sul mio, dicendo: “Da oggi in poi sappi per certo che sei un brahmachari e che hai avuto la tua rinascita”.

La piccola capanna di quattro metri per tre, con veranda da tutti i lati, che avevo costruito nell’ashram secondo le mie idee, fu utilizzata da Sri Ma. Ella si stendeva sulle due verande più lunghe. Mi disse che ero stato uno dei sannyasi che aveva vissuto in quel posto, e il luogo che avevo inconsciamente scelto per costruire la capanna per lei era lo stesso in cui avevo trascorso la mia vita precedente.

Sentivo che era una benedizione unica che il corpo fisico di Sri Ma riposasse nello stesso luogo in cui avevo praticato sadhana nella vita precedente. Il mio karma aveva probabilmente diretto il corso degli eventi, perché quando vidi Sri Ma per la prima volta mi sembrò incarnare nella sua persona tutti gli dei e le dee e percepii che lei era stata la mia divinità preferita in tutte le mie nascite precedenti.

A partire dagli ultimi mesi del 1929, per tre anni pieni, presi l’abitudine di andare a Ramna la mattina molto presto col desiderio di vedere prima lei. Per questo m’alzavo dal letto alle due del mattino, terminavo le mie abituali preghiere ed adorazio­ni entro le quattro e mezzo e poi uscivo. Alcune volte capitava che scambiavo le lancette dell’orologio, leggevo male l’ora e partivo molto prima. Udendo i colpi dell’orologio a pendolo di qualche casa lungo la via, realizzavo d’essere partito troppo presto. In quel caso passeggiavo per i campi di Ramna o sedevo al cancello del Kalibari, aspettando la luce dell’alba. Entravo nell’ashram alle cinque e passeggiavo per i campi con Sri Ma, poi tornavo a casa tra le dieci e mezzo e le undici. Certe volte ritornavo a mezzogiorno o anche alle tredici.

Non mi sono mai seduto in presenza di Sri Ma. Tutto il mio corpo rimaneva eretto fremendo di gioia interiore. Quando qualcuno mi chiedeva di sedere, mi sentivo piuttosto in imbarazzo. Di solito Sri Ma rimaneva in silenzio durante le nostre passeggiate mattutine. Rompeva il silenzio solo in casi eccezionali. Avevo l’abitudine di seguire i suoi passi senza dire una parola.

Un giorno un vecchio avvocato, chiamato Sri Ashwini Kumar Guha Thakurta, venne all’ashram per la passeggiata mattutina e disse a Sri Ma: “Non sono venuto per vedere te, Madre, ma per conoscere il tuo figlio diletto e osservare con i miei occhi come venga da te ogni mattina presto senza curarsi del caldo, del freddo o della pioggia, e come segua ogni tuo passo in reverente silenzio. Vedere questo mi dà grande gioia”. Gli dissi: “Benedicimi, perché possa trascorrere il resto della mia vita in questo modo!”. Il vecchio mi strinse al petto e disse: “Tu sei già benedetto”.

A volte c’erano dei forti acquazzoni nelle prime ore del mattino e, in molte occasioni, potei appurare che se partivo con il nome di Sri Ma sulle labbra, la pioggia in quel momento cessava e avevo poche difficoltà a giungere da lei. Col tempo piovoso o attraverso la fitta nebbia dell’inverno, per tre anni pieni non vi fu ostacolo che poté impedirmi di passeggiare ogni mattina con Ma.

Vi fu un tempo in cui a Dacca erano frequenti gli scontri tra Indù e Musulmani. Un giorno, prima che scoppiasse una sommossa, Sri Ma esclamò: “Terribile! Mostruoso!”. Quando le chiesi il significato di quelle espressioni, disse: “Odo urla, lamenti e gemiti in tutta la città”.

Non smisi le mie passeggiate mattutine neanche quando l’astio tra le due comunità fu al massimo. Il mio vicino Srijut Bhawani Prasad Neogi mi considerava un fratello minore. Un giorno mi ammonì dicendo: “Sto in ansia per te finché non ritorni. Accoltellamenti, omicidi e violenze sono all’ordine del giorno in tutta la città. Ti sembra il caso di uscire da solo in questa situazione?”.

Pensavo che poiché Sri Ma non diceva nulla contro le mie uscite mattutine, per me non ci fosse nulla da temere, e continuavo la solita routine della mia vita.

Una mattina stavo andando all’ashram di Ramna. I lampioni erano accesi. Non si vedeva nessuno. Avevo oltrepassato il Dak Bungalow di quasi cento metri, quando notai un tipo robusto, coperto da una stoffa, che sgattaiolava da dietro un albero. Mi stava seguendo.

Gli chiesi dove stesse andando. Rispose che voleva venire con me. Lo informai che stavo andando all’ashram di Ramna. Rispose che mi avrebbe seguito anche lì. I suoi modi erano sospetti ed ebbi molta paura. All’improvviso gridai: “No, non devi venire con me!”. Dicendo questo, m’allontanai veloce­mente senza guardare da nessuna parte. Dopo essermi allonta­nato, mi girai e vidi che l’uomo era rimasto immobile come un pezzo di legno nel luogo in cui l’avevo lasciato. Quando giunsi all’ashram, trovai la Madre in piedi al cancello con il suo sguardo amorevole rivolto fisso verso di me. Caddi ai suoi piedi e le raccontai ciò che era accaduto; lei non disse una parola. Venni poi a sapere che proprio in quel quartiere c’era stato un omicidio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In Terre Lontane

 

 

 

In ogni campo della vita vediamo che tre cose sono necessarie per avere successo nella lotta per l’esistenza: un nobile scopo, una ferma determinazione, e una sincera e totale dedizione al dovere. Anche se in qualche caso non si ottiene un successo tangibile con tali virtù, queste sviluppano quantomeno la disposizione a fare un buon lavoro, che porterà frutto alla prima occasione.

Ritornato ai miei doveri in ufficio, trascorsi tre anni facendo il consueto lavoro. Un giorno all’ashram Sri Ma prese un fiore e, staccandogli i petali, mi disse: “Molti dei tuoi samskara sono caduti, e molti altri cadranno come i petali di questo fiore finché io rimarrò il tuo sostegno principale, proprio come lo stelo di questo fiore. Capisci?”. Dopo aver pronunciato quelle parole, cominciò a ridere. Le chiesi: “Ma, come posso raggiungere tale stato?”. Mi rispose: “Ogni giorno ricorda almeno una volta questo; non hai bisogno di fare altro”.

Quel pensiero penetrò profondamente nella mia anima e rimase con me per tutto il corso regolare della mia vita. Tutti i pensieri sparsi furono gradualmente diretti ad un solo fine. Anche se varie idee causavano spesso distrazione, tuttavia vi era in me il grande desiderio di mantenermi stabilmente ancorato al pensiero principale che Sri Ma era dentro di me come il mio midollo. Mi convinsi che ciò che un uomo realizza con la costante pratica religiosa, con l’isolamento mentale dagli oggetti dei sensi, si può realizzare grazie al potere di una parola di un mahatma.

Dopo circa sei o sette mesi, durante la passeggiata del mattino, Sri Ma un giorno mi disse: “Ascolta, la tua vita attiva sta per giungere al termine”. Udii quelle parole, che però non suscitaro­no in me alcuna risposta profonda.

A quel tempo anche Bhagawan Chandra Brahmachari era solito dirmi di frequente: “Preparati, un santo sta scendendo dall’Himalaya per portarti via”. Egli aveva la natura di un bambino e pensavo scherzasse.

Qualche mese dopo presi un permesso di quattro mesi. Ero alla ricerca di un posto di montagna per cambiare clima. Nel frattem­po, il 2 giugno del 1932 Sri Ma mi fece chiamare da Brahmachari Jogesh e mi chiese d’accompagnarla. Volli sapere dove aveva intenzione di andare. La sua risposta fu: “Ovunque decida”. Rimasi in silenzio. Lei aggiunse: “Perché stai zitto?”. Pensavo al fatto che non potevo informare nessuno della cosa, perciò dissi, sotto l’influenza dei pensieri del mondo: “Dovrò farmi dare i soldi da casa”. La Madre disse: “Raccogli da qui quello che puoi prendere”. Con le labbra risposi: “Va bene”, ma sentivo mia figlia e mia moglie che mi guardavano dal profondo del mio cuore e dicevano: “Dove vai, lasciandoci dietro?”.

Con una coperta, un copriletto e un pezzo di stoffa partii comunque con Mataji e Pitaji. Raggiunta la stazione Sri Ma disse: “Compra i biglietti fino al termine di questa linea”. Partimmo per Jagannathgunge. Giunti là, il giorno seguente Sri Ma disse: “Raggiungiamo l’altra sponda”.

Da lì partimmo per Katihar. Mi erano rimaste solo poche rupie, ma inaspettatamente incontrai un vecchio amico che mi diede cento rupie e una gran quantità di frutti e dolci. Da lì andammo a Lucknow, ci fermammo a Gorakhpur e salimmo sul Dehradun Express. Il giorno dopo, arrivati a Dehradun, riposammo in un dharmasala. Per noi era un luogo sconosciuto. Tutto mi appariva nuovo e la gente sembrava straniera.

Sri Ma disse: “Mi sembra tutto già noto”. Non era chiaro dove saremmo andati dopo. Nel pomeriggio Pitaji ed io uscimmo a fare una passeggiata e venimmo a sapere che nelle vicinanze vi era un tempio dedicato a Kali. Vi andammo e ci dissero che a tre o quattro miglia di distanza, nel villaggio di Raipur, c’era un tempio dedicato a Shiva completamente isolato, indicato per una vita solitaria. Per una serie di circostanze un certo Pandeji di Raipur volle conoscerci. Parlammo con lui e la mattina dopo l’accompagnammo a Raipur. A Pitaji il posto piacque. Quando chiedemmo il parere di Mataji, Ella disse: “Decidete voi, per me tutti i posti sono uguali”. Dalla mattina di mercoledì 8 giugno 1932, Mataji e Pitaji cominciarono a vivere nel tempio.

Gli eventi che seguirono saranno pubblicati in seguito, se sarà desiderio di Mataji.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sri Sri Ma

 

 

 

È oltre la nostra comune intelligenza comprendere chi sia realmente e cosa rappresenti Sri Sri Ma.

Mataji dice sempre: “Sono soltanto la tua bambina”, ma nei suoi modi di vita e nel suo magnifico lila tra di noi vengono espressi in maniera tangibile tutti i poteri del Divino. In Sri Ma troviamo una fonte di gioia e dolcezza perenne, nonostante sia circondata giorno e notte dal rumore e dall’agitazione e da migliaia di suppliche da parte di ogni tipo di persone. Il suo sguardo calmo e sereno, il suo rispondere gentile e sorridente a tutte le domande, il suo squisito senso dell’umorismo danno gioia e soddisfazione a tutte le anime. I suoi modi di vita sono così universali che potrebbe essere considera­ta l’Amore Materno incarnato.

Alcuni dicono sia la Dea Suprema dell’universo in forma umana. Altri ancora sono dell’opinione che abbia raggiunto la perfezione attraverso una spontanea evoluzione psichica, senza alcuno sforzo da parte sua. A noi appare qualunque cosa pensiamo che sia. A prima vista si viene pervasi da un fervore religioso, anche se si è insensibili alle idee spirituali. In sua presenza, pensieri di Dio e della Sua gloria fioriscono in tutto il loro splendore in cuori aridi come il deserto, e le vibrazioni della vita universale sommergono il cuore di ognuno con innumerevoli ondate, come un immenso oceano di beatitudine.

Una volta le chiesero chi fosse il suo precettore o da chi avesse ricevuto l’iniziazione. Rispose: “Nei primi anni le mie guide furono i miei genitori; nella vita di famiglia, mio marito; e ora, in ogni situazione della vita, i miei guru sono tutti gli uomini e le cose del mondo. Una cosa però è certa, l’unico Essere Supremo è la sola Guida di tutti”.

Dal punto di vista delle persone del mondo Sri Ma è una figlia, una moglie e una madre ideale. Per l’aspirante alla vita spirituale le sue parole e i suoi atti hanno un profondo significato, perché indicano diversi modi di cultura spirituale e pratiche yoga, ed anche le verità basilari del dualismo, del non-dualismo, del dualismo monistico e di altre dottrine filosofiche. I mutamenti fisici che si manifestano nel suo corpo inducono a pensare che lei sia per natura una vaishnava. Nell’adorazione tantrica di Shiva, Kali, Durga e altri dei e dee, o nella pratica dei sacrifici vedici, ha suscitato l’ammirazione di eminenti filosofi di Oriente e Occidente. La sola differenza che notiamo tra Sri Ma e i grandi maestri che hanno raggiunto la perfezione nelle loro linee specifiche attraverso bhakti yoga, jnana yoga o karma yoga, sta nel fatto che in Sri Ma ogni sadhana ha raggiunto una sintesi meravigliosa. È con questa armonia delle diverse vie d’approccio al Divino che ogni genere di persona riceve ispirazione dalla sua presenza.

Il suo aspetto dolce e gioviale, la sua eccezionale pazienza e tolleranza, il suo spirito di sacrificio, la sua semplicità, i suoi modi sempre allegri e gioiosi di trattare con uomini, donne e bambini, la sua visione chiara e cristallina, la sua benevolenza verso tutti gli esseri viventi, il suo amore per tutti gli uomini senza distinzioni di casta, credo, comunità e nazionalità, la sua assoluta libertà da piacere, dolore e simili, la rendono un personaggio unico nel mondo moderno. Non si può dire che Ella abbia ottenuto la perfezione con il proprio sforzo, perché quelli che la conoscono sin dall’infanzia asseriscono che è sempre stata la stessa sia nei pensieri sia nelle azioni. Nessuno l’ha mai vista praticare esercizi spirituali o religiosi di qualunque tipo.

I fenomeni naturali o sovrannaturali che si sono manifestati nel suo corpo sono avvenuti spontaneamente per il bene di tutti gli uomini. Quelle manifestazioni non sono nate dalla sua volontà né sono accadute contro di essa, e non sono state il risultato di uno sforzo devozionale da parte sua. Quando il burro chiarificato ed altre oblazioni sono offerte nel fuoco sacrificale dell’altare, le fiamme divampano per legge naturale, ma il profumo che emana purifica e ravviva l’intera atmosfera. Dopo un po’ non rimangono più tracce delle offerte sacrificali, ma le fiamme continuano a bruciare in purezza e splendore. Esatta­mente allo stesso modo, quando i devoti di Sri Ma presentano ai suoi piedi le loro offerte con grande amore e venerazione, lo stesso contatto di quei doni fa zampillare la fontana del suo cuore, come il latte sgorga naturalmente dal seno della madre al contatto delle labbra del bambino. Nel caso della Madre, le sue parole, i suoi sguardi e il suo volto esprimono amore per i propri figli. Animata dal fuoco divino, il suo volto splende per un po’ e poi riprende la sua normale compostezza.

In lei non c’è conflitto, nessun bisogno di azione o inazione disturba la serenità del suo stato. È totalmente immersa nella luce di quella Verità Suprema che è alla base di tutti i principi, le pratiche religiose e i codici morali rivelati agli uomini nelle diverse ere per il bene del mondo. Un barlume di quella Verità risplende in tutte le sue azioni, parole e canti. La sua vita illustra il grande fatto che pur facendo i propri doveri quotidiani con gioia e tranquillità, e mantenendo le proprie relazioni sociali, l’uomo può avanzare ugualmente sul sentiero spirituale.

È giunto il tempo di far tesoro del gran bene che arrecano alla nostra vita sociale coloro che vanno ad accrescere il numero dei sadhu e dei sannyasi. Non è semplice uscire dai confini della vita di famiglia e dal recinto dei diritti e delle responsabilità civili per cercare d’aprire facili vie di progresso spirituale per la famiglia, la società e la nazione. Vi sono persone che hanno raggiunto alti livelli di grandezza spirituale ritirandosi dal mondo, conducendo una vita solitaria in ashram sperduti o in grotte di montagna. La loro grandezza individuale non innalza il grado di cultura delle moltitudini ad un livello apprezzabile né viene migliorata la qualità della vita delle masse. Grazie alla loro ispirazione, molti ashram vengono stabiliti in diverse parti del paese e le cuspidi dei templi s’elevano rapidamente in cielo.

Il fascino dell’adorazione, gli inni e i canti devozionali cantati mattina e sera inducono molte persone vicine e lontane a spendere sempre più denaro in tali iniziative, e la distribuzione gratuita del prasad può attirare come mosche moltitudini di persone affamate dalle regioni circostanti. L’influenza di queste istituzioni costruite con tanto lavoro e molto denaro, però, raramente contribuisce a rendere la nostra vita sociale più sana e gioiosa, perché non diffonde la conoscenza né un amore più grande per gli uomini, e non favorisce neppure un desiderio più ardente per la vita divina.

La nostra società è sempre più rovinata dalla gelosia, dalla rivalità e da futili liti per cose di poca importanza. I coraggiosi dotati di spirito di responsabilità sociale e di servizio disinteressato trovano difficilmente spazio per un reale ed efficiente lavoro, quasi paralizzati dalle stantie idee sociali della divisione di classe degli ortodos­si. D’altro canto s’incontrano ad ogni passo opposizioni a qualunque tentativo di riforma. Nel nostro paese sta rapidamente scomparendo quella cultura che assicura la salute fisica e mentale, che rende l’uomo forte e coraggioso con la realizzazione della grazia di Dio in ogni sfera della vita, che purifica e trasforma i nostri piccoli impulsi egoistici in uno spirito disinteressato di servizio e di sacrificio di sé, al di là della casta e del credo. Non vi è dubbio che tra noi lo spazio e il campo di quella cultura si sta gradualmente restringendo.

È tempo che ci chiediamo cosa ha provocato questo stato di cose. Siamo caduti negli angusti canali dei culti e dei pregiudizi logorati dal tempo. Le idee e gli ideali del passato e quelli dei tempi moderni si sono scontrati, causando un ristagno nella nostra vita sociale e religiosa. Sri Ma si trova nel punto di congiunzione.

Nella sua vita e nelle sue attività troviamo sempre un ardente desiderio di salvaguardare il bene del mondo, dando ad altri il peso di prendersi cura del suo corpo, liberandosi totalmente da ogni preoccupazione per il proprio benessere fisico. In questo modo Mataji si è resa completamente libera di promuovere la causa degli indifesi e degli oppressi, dei malati e dei poveri, e d’aiutare i ricchi e i potenti che soffrono di diverse malattie fisiche e mentali dovute alle loro vite materiali viziate.

La sua vita apre gli occhi a tutti. Con le sue attività di tutti i giorni ci mostra come collegare all’Infinito ogni minimo dettaglio della vita, come coltivare un nuovo modo di vedere nei nostri rapporti con gli uomini e rendere questo mondo un luogo di nuova gioia, speranza e pace.

Dal punto di vista del mondo, Sri Ma non possiede nulla che possa chiamare suo. Tutti i luoghi pubblici come templi, dharmasala, ashram e capanne costituiscono ora la sua unica residenza – luoghi in cui tutti, dai più potenti ai più umili, possono andare liberamente da lei senza alcun ostacolo. È totalmente dedita al bene del mondo. Tutti gli esseri viventi le sono ugualmente cari.

Come ho citato prima, Ella dice: “Per me tutto il mondo è come un grande giardino, e voi siete i fiori che sbocciano in questo giardino con la vostra bellezza e grazia individuale. Io mi muovo da un posto all’altro. Che cosa vi fa sentire tristi quando vi lascio per andare in mezzo ai vostri fratelli laggiù?”.

In un’altra occasione ha detto: “Non ho alcun bisogno di fare o dire nulla; non vi è mai stato alcun bisogno, non vi è adesso né mai ci sarà in futuro. Quello che avete visto manifestato in me nel passato, quello che vedete ora e quello che vedrete in futuro è solo per il bene di tutti. Se pensate che vi sia qualcosa che possa essere mio, devo dirvi che tutto il mondo è mio”.

Nelle sue parole e azioni, nelle sue relazioni sociali con ogni tipo di persona, possiamo osservare la gloria delle attività creative della Madre Universale manifestate ovunque nel mondo. Sri Ma è come una bambina che chiede pegni d’amore a quelli che le sono devoti. Per quelli che sono afflitti da malattie o da altri problemi del mondo, la sua ansia materna di dare sollievo prende forma in diversi atti di riparazione. Tutte queste attitudini provengono da una riserva d’immenso potere spirituale sempre attivo.

Mataji mostra uguale rispetto e reverenza per tutte le religioni, per tutte le leggi e istituzioni sociali, per tutti i tipi d’istruzione. Ciò illustra la grande verità che tutto in questo mondo è una manifestazione dell’Essere Supremo. Ella dice: “Tutti i pensieri religiosi scorrono in una sola direzione, come tutti i fiumi confluisco­no nell’oceano; e noi tutti siamo uno”. Se qualcuno le chiede: “A quale casta appartieni? Dov’è la tua casa?”, risponde con un sorriso: “Dal punto di vista materiale questo corpo viene dal Bengala Orientale e appartiene alla casta dei bramini; ma se vai oltre queste distinzioni artificiali, capirai che questo corpo fa parte dell’unica famiglia umana”.

A volte le è stato sentito dire: “Abbiate fede in questo corpo. La vostra fede sincera vi aprirà gli occhi”. Di tanto in tanto dice anche: “Io non so nulla, dico quello che mi mettete nelle orecchie”, ed anche: “Questo corpo è solo una bambola, che gioca come voi desiderate”.

Da queste ed altre affermazioni è evidente che nella sua persona ha preso forma il Potere che sta dietro questo mondo fenomenico. Le sue attività provengono dalla sorgente principale e rifluiscono in essa. Ella non ha senso di dualità. Dice spesso: “Solo Tu sei – Tu soltanto”; oppure: “Io soltanto sono; tutto è contenuto in Me”.

Una volta ha detto: “C’è qualche differenza essenziale tra me e voi? Io e voi esistiamo solo perché Lui È. Se ciascuno di voi potesse esclamare con fede salda, forte devozione e un cuore traboccante d’amore: ‘Madre, vieni, vieni a me. Madre, non posso vivere senza di Te’, siate certi che la Madre Universale tendereb­be le braccia verso di voi e vi stringerebbe al Suo petto”.

Non guardateLa solo come un rifugio misterioso nei momenti di difficoltà. Ricordate sempre che è molto, molto vicina a voi, e guida tutte le forze della vostra vita. Andate avanti con questa convinzione e lei vi toglierà dalle spalle il peso delle vostre responsabilità e vi darà la forza di portare la croce.

 

Jay Ma