MATRI DARSHAN
(La
Madre come mi si è rivelata)
di Bhaiji
L’autore di questo
libro, Sri Jyotish Chandra Ray, noto comunemente come ‘Bhaiji’ (fratello
maggiore), era molto amato e riverito dai devoti di Sri Anandamayi Ma; invero
potrebbe essere chiamato il principe dei bhakta. Chiunque ebbe la fortuna
d’incontrarlo restò colpito dalla trasparente nobiltà del suo carattere, dalla
sua estrema semplicità e dal suo raro spirito di servizio. Grazie ad una
eccezionale purezza ed umiltà poteva vedere le cose con rara intuizione. ‘Matri
Darshan’ è prezioso perché è stato scritto da un devoto di grande levatura
spirituale, al quale Mataji aveva – in misura grande o piccola – rivelato Se
Stessa. Il sentimento di Bhaiji può essere espresso meglio con le sue parole:
“Anche se piccole porzioni del cielo infinito si rispecchiano in stagni e
laghi, questi riflessi non possono darci un’idea dell’immensità del firmamento.
Allo stesso modo è impossibile avere consapevolezza dell’infinita grandezza del
vero essere di Sri Ma da ciò che questo strumento tanto imperfetto ha
potuto riflettere della sua Grazia”.
Grazie alla
narrazione di Bhaiji possiamo però percepire qualcosa dell’amore che Sri Ma nutriva
per tutti gli esseri viventi, della sua saggezza non contaminata dalla
conoscenza intellettuale e dal settarismo, della sua gioia sempre radiosa che
non era di questo mondo.
Sri Jyotish Chandra
Ray nacque il 16 luglio del 1880 a Chittagong, dove ricevette la sua
istruzione. Il libro stesso darà al lettore un’idea dei fatti essenziali della
sua vita, per quanto riguarda il suo rapporto con Sri Sri Ma. Nel 1937,
poco dopo aver completato il manoscritto di ‘Matri Darshan’, egli
accompagnò Sri Sri Ma e Bholanathji in un pellegrinaggio al monte Kailash,
insieme a Gurupriya Devi e a suo padre, Swami Akhandananda. Quando furono
vicini alla meta avvenne un episodio che ci rivela qualcosa della statura di
Bhaiji. Lui e Bhotanath camminavano avanti, mentre il resto del gruppo stava
dietro. Raggiunto il lago Manasarovar, Bhaiji fu preso dallo spirito della
suprema rinuncia e, gettando nel lago i vestiti e il cordone sacro, entrò nelle
acque gelide. Con le mani giunte, chiese a Bholanath il permesso di vagare da
solo per le montagne. Bholanath non ne volle sapere e gli ordinò di rivestirsi
e aspettare Mataji. Quando Ella arrivò, circa due ore dopo, dalle sue labbra
uscirono spontaneamente sannyasa mantra. Fu in questa maniera inusuale
che Bhaiji ricevette sannyasa, e da allora fu chiamato Swami Mounananda Parvat.
Su richiesta di
Mataji, Bhaiji riaccompagnò il gruppo ad Almora. Sulla via del ritorno fu colto
dalla febbre alta e, alcuni giorni dopo aver raggiunto Almora, spirò. Era il 18
agosto 1937, Jhulan Dvadasi. Per tutta la durata della sua malattia, Mataji
si prese teneramente cura di lui. Per molte notti consecutive non riuscì a
dormire, eppure la calma serenità del suo volto non fu turbata. Aveva sempre il
suo solito sorriso e la sua presenza riempiva la stanza di pace e tranquillità.
Quando chiesero a Bhaiji come avrebbero potuto mandare avanti l’ashram di
Dehradun senza il suo aiuto e la sua guida, rispose: “Il lavoro non è mio, ma
di Sri Ma. Con la sua grazia tutto andrà bene; siamo solo strumenti
nelle sue mani”.
Riferendosi alla
morte di Bhaiji, Bholanathji scrisse: “Jyotish fu pienamente cosciente sino
alla fine. Poco prima di morire mi disse: ‘Baba, in questo mondo nessuno ci
appartiene. Soltanto Sri Sri Ma è reale’. Dopo aver cantato ‘Ma, Ma’ e
‘Om’, chiamò Hari Ram Joshi e gli disse: ‘Ascolta, siamo tutti uno.
Ma ed io siamo uno, Pitaji ed io siamo uno’. Fissò il suo sguardo su
Mataji e pronunciando ‘Ma, Ma’ esalò lentamente il suo ultimo respiro”.
Prima di partire per
il monte Kailash, Bhaiji aveva lasciato il manoscritto in bengali di ‘Matri
Darshan’ al traduttore. Era suo espresso desiderio che il libro fosse
pubblicato simultaneamente in bengali, hindi e inglese, ma la sua morte
improvvisa sconvolse ogni piano. L’originale in bengali fu pubblicato la prima
volta nel 1937, poco dopo la sua morte. La traduzione in hindi apparve solo nel
1951 e quella in inglese nel 1952.
Bhaiji fu il primo a
far conoscere al mondo qualcosa dello straordinario lila di Sri
Anandamayi Ma. I ricercatori spirituali di tutto il mondo gli hanno espresso
stima e profonda gratitudine per questo lavoro d’amore.
Scrivere una
biografia di Sri Sri Anandamayi Ma o attirare l’attenzione del mondo sui suoi
infiniti poteri non è lo scopo di questo mio umile tentativo. In un breve
ritratto ho descritto solo pochi fatti della mia esperienza diretta, per
mostrare come Ella abbia aperto la sorgente della vita nella mia anima quasi
inaridita. Tutte le imperfezioni presenti in questo lavoro sono imputabili ai
miei limiti personali, per i quali imploro sinceramente il suo perdono.
Persi mia madre
quand’ero ancora un bambino. Ho sentito dire ai miei parenti che quando udivo
altri bambini balbettare ‘Ma, Ma’ i miei occhi s’inondavano di lacrime,
e che per placare il mio cuore mi stendevo a terra e piangevo in silenzio.
Mio padre era un
uomo pio. Durante la mia infanzia il profondo spirito religioso della sua vita
piantò in me i semi dell’aspirazione divina. Nel 1908 ebbi l’iniziazione allo shakti
mantra dal nostro guru di famiglia. Adorai dunque la Madre Divina. Durante
la preghiera, quando potevo esprimere tutto il mio fervore spirituale ripetendo
‘Ma, Ma’, trovavo grande conforto e felicità. Anche allora sentivo che
la Madre è fonte di gioia suprema e di felicità per tutti gli esseri. Vi era in
me il desiderio irresistibile di trovare una Madre vivente che, con il suo
sguardo amorevole, trasformasse la mia anima agitata dalla tempesta. Avvicinai
molte sante persone ed ero così disperato che consultai anche gli astrologi per
avere risposta alla mia domanda: ‘Avrò la fortuna d’incontrare una tale
Madre?’. Tutti mi davano grandi speranze.
Con questa speranza
visitai molti luoghi sacri ed ebbi l’opportunità d’incontrare numerose
personalità spirituali, ma nessuno poté soddisfare il mio desiderio.
Lavoravo in un
ufficio statale a Calcutta che nel 1918 fu trasferito a Dacca; anch’io fui
mandato là. Verso la fine del 1924 venni a sapere che Mataji viveva da alcuni
mesi a Shahbag, nei pressi della città, osservando il silenzio per lungo tempo,
seduta sempre in qualche posizione yoga. In rare occasioni tracciava una linea
sul pavimento intorno a lei e, dopo avere recitato dei mantra o testi
sacri, aveva brevissime conversazioni con le persone.
Una mattina mi recai
là con spirito devoto e fui abbastanza fortunato da vedere Mataji grazie alla
cortesia di suo marito, al quale la gente si rivolgeva chiamandolo Pitaji o
Padre. Il mio cuore ebbe un fremito nel vedere la sua tranquilla posizione
yoga, unita alla modestia e alla grazia di una ragazza appena sposata. Ad un
tratto mi balenò in mente che la persona che il mio cuore aveva cercato
ardentemente in tutti quegli anni e per la quale avevo visitato tanti luoghi
sacri, s’era manifestata davanti a me.
Il mio essere fu
inondato di gioia ed ogni cellula del mio corpo danzò in estasi. Ebbi l’impulso
di prostrarmi ai suoi piedi e di gridare piangendo: ‘Ma, perché mi hai
tenuto lontano da te per questi lunghissimi anni?’.
Dopo alcuni minuti
le chiesi: “Ho qualche possibilità di progresso spirituale?”. Rispose: “Il tuo
desiderio per lo spirito non è ancora abbastanza forte”. Ero arrivato con tanti
pensieri che lottavano per esprimersi, ma furono ridotti al silenzio dalla
magica influenza della sua grazia rasserenante. Sedevo muto, senza parole.
Anche Sri Ma non diceva una parola. Dopo un po’ m’inchinai ed andai via.
Non potei toccarle i piedi, sebbene avessi un forte desiderio di farlo. Non fu
per timore o delicatezza; qualche potere misterioso m’allontanò dalla sua
presenza.
Non tornai a Shahbag
per molto tempo. Pensavo: ‘Finché non m’attirerà a Sé come mia Madre,
rimuovendo il suo velo, come potrò abbandonarmi ai Suoi piedi?’. In me c’era un
grande conflitto: un ardente desiderio di vederla e un acuto dolore per il suo
distacco. I due sentimenti erano ugualmente forti e opposti. Nessun tipo d’approccio
sembrava possibile. Nel frattempo ero solito andare nell’adiacente tempio Sikh,
e dal muro di cinta del giardino guardavo la Madre da lontano così che nessuno
potesse accorgersene. In quei giorni d’indecisione analizzavo i movimenti
della mia mente e mi chiedevo spesso: ‘Che sta succedendo?’.
Non avevo la forza
di prendere una decisione. Mi facevo dare spesso notizie di Mataji e ascoltavo
con attenzione ogni storia riguardante il Suo lila. In questo modo
trascorsi sette mesi, tra il chiasso e la confusione della vita quotidiana. Un
giorno invitai Mataji a casa mia. Nell’incontrarla dopo tanto tempo, un’intensa
gioia faceva vibrare tutto il mio essere, ma la felicità fu breve. Quando stava
per andarsene m’inchinai per toccarle i piedi, ma Ella li ritrasse. Mi sentii
trafitto da un’acuta sofferenza.
Provai ad alleviare
le pene del mio cuore confuso leggendo vari libri religiosi. Decisi di
pubblicare un libretto sulla religione e le pratiche religiose. Il libro fu
pubblicato con il titolo ‘Sadhana’ e ne inviai una copia a Sri Ma attraverso
Sj. Bhupendra Narayan Das Gupta. Ella gli disse soltanto: “Chiedi all’autore di
venire a trovarmi”.
Ricevuta questa
chiamata dalla Madre, una mattina andai a Shahbag e vidi che il periodo di
silenzio che aveva osservato negli ultimi tre anni era terminato. Venne e si
sedette vicino a me. Le lessi tutto il libro e, dopo aver ascoltato il
contenuto, mi disse:
“Dopo tre anni di
silenzio le mie corde vocali non funzionano bene, ma oggi le parole mi escono
da sole dalla bocca. Il tuo libro è buono. Cerca di sviluppare di più la
purezza di pensiero e azione”.
Anche Pitaji era
presente a questo colloquio. Cominciai a sentire che un nuovo mondo si
spalancava davanti a me e che ero seduto come un bambino di fronte ai genitori.
Da allora iniziai ad andare a Shahbag frequentemente. Chiesi a mia moglie di
andare a trovare Mataji con delle offerte. In quel periodo Sri Ma era
solita mettere un anello d’oro al naso. Mia moglie portò in dono a Sri Ma
un grande piatto d’argento, yogurt, fiori, pasta di sandalo e un piccolo anello
per il naso con un diamante, e con grande amore e reverenza li offrì ai suoi
piedi.
In seguito venimmo a
sapere che in quel periodo Mataji faceva mettere il suo cibo sulla nuda terra e
che non usava alcun piatto. Per questo una volta Pitaji le aveva detto con
disappunto: “Non vuoi il cibo su piatti d’ottone o di metallo. Vuoi mangiare da
un piatto d’argento?”. Sri Ma rise e disse: “Sì, ma non parlarne con
alcuno per i prossimi tre mesi e ti prego di non cercare piatti d’argento”. Non
erano ancora trascorsi tre mesi quando le fu portato il piatto d’argento, come
menzionato sopra.
Un giorno Mataji mi
disse: “Ricorda, tu sei veramente un bramino, e c’è un intimo e sottile
legame spirituale tra questo corpo* e te”. Da quel giorno cercai di mantenere
puro il mio corpo sotto ogni aspetto.
Appresi da varie
fonti che molti devoti di Mataji erano stati così fortunati da vedere
manifestate nel suo corpo le forme di vari dei e dee; ma siccome nella sua vita
quotidiana vedevo con i miei occhi manifestazioni di grandi poteri
sovrannaturali, non mi preoccupavo di cercare espressioni particolari. La mia
umile aspirazione era modellare la mia vita secondo gli ideali di pazienza e
compostezza sempre manifesti in lei. Se vi fossi riuscito sarebbe stato più che
sufficiente per me.
Un giorno la trovai
sola e l’impulso naturale dell’uomo di voler vedere delle manifestazioni
fisiche dei poteri divini, mi spinse a chiederle: “Madre, ti prego, dimmi, cosa
sei in realtà?”. Ella rise forte e rispose con affetto: “Come possono sorgere
nel tuo cuore delle domande così puerili? Le visioni di dei e dee appaiono in
conformità alle proprie disposizioni ereditarie (samskara). Io
sono quel che fui e quel che sarò. Sono qualunque cosa immagini, pensi o dici.
È certo, però, che questo corpo non è venuto al mondo per raccogliere i frutti
del karma passato. Perché non capisci che questo corpo è la manifestazione
fisica di tutte le tue aspirazioni e idee? Voi tutti lo avete voluto e adesso
l’avete; perciò per qualche tempo gioca con questa bambola . Altre domande sono
inutili”. Dissi: “Queste tue parole, Ma, non soddisfano il mio ardente
desiderio”. A queste parole, Ella disse con leggera veemenza: “Di’, di’, che
altro desideri?”, e immediatamente un flusso abbagliante di luce divina
risplendette sul suo volto. Rimasi muto e stupefatto. Tutti i miei dubbi furono
acquietati.
Una quindicina di
giorni dopo, una mattina andai a Shahbag e trovai la porta della camera da
letto di Mataji chiusa. Sedetti a circa dieci metri di fronte a lei e
all’improvviso la porta si aprì. Vidi con stupore la figura di una dea
bellissima e luminosa come il sole del mattino che illuminava l’intera stanza.
In un istante Ella ritirò tutto lo splendore nel suo corpo e vidi Mataji, in piedi,
che sorrideva nel suo modo abituale.
In un attimo
l’intera visione scomparve, come per effetto di una magia soprannaturale. Mi
sembrò di ritornare dalla terra dei sogni. Capii subito che Sri Ma aveva
rivelato se stessa in risposta a ciò che avevo detto alcuni giorni prima.
Cominciai a recitare un inno e pregai: “Possa diventare un figlio degno di te,
degno d’essere benedetto dalla tua grazia e bontà materna”.
Dopo un po’ Mataji
avanzò verso di me. Prese un fiore e alcuni fili d’erba durba e li pose
sul mio capo, mentre cadevo ai suoi piedi.
Ero fuori di me
dalla gioia. Il passato non torna più, ma come vorrei un gioioso ritorno di
quel momento benedetto!
Da allora cominciò a
radicarsi nella mia mente la profonda convinzione che Lei non era solo mia madre,
ma la Madre dell’universo. Tornai a casa. Appena mi raccolsi, balenò nella mia
mente la stessa immagine luminosa di Mataji, mentre le lacrime mi scendevano
sulle guance. Da quel giorno la sua grazia produsse in me un tale cambiamento,
e in maniera così naturale, che la sua figura prese il posto della dea che
avevo adorato per diciotto anni, fin dalla mia iniziazione in gioventù. A volte
questo cambiamento mi faceva dubitare di star seguendo la giusta direzione. In
pochi giorni Sri Ma occupò il suo posto legittimo nella mia anima,
possedendola interamente.
Sri Anandamayi Ma
(il suo nome era Nirmala Sundari Devi) nacque nel villaggio di Kheora, nella
regione di Tipperah, nel 1318 dell’era saka (30 aprile 1896) nelle prime
ore di venerdì, un’ora e dodici minuti prima dell’alba. Il luogo in cui è nata
è stato acquistato di recente. Quando Mataji tornò a Kheora, il 17 maggio 1937,
sollecitata dai suoi devoti indicò il luogo esatto in cui il suo corpo aveva
toccato la terra per la prima volta. Suo padre, Bepin Behari Bhattacharji, era
un discendente della famosa famiglia bramina dei Kashyapa del villaggio
Vidyakut del medesimo distretto, e trascorse la sua infanzia a casa dello zio
materno. La madre di Sri Ma, Mokshada Sundari Devi, aveva un’indole
estremamente gentile e devota. Per la loro semplicità, condotta sociale e
devozione a Dio, i genitori di Sri Ma erano pressoché ideali. La casa
materna di Mataji a Sultanpur, Tipperah, aveva avuto da generazioni un alto
livello sociale. Nella sua famiglia vi erano stati molti colti pandit e molti
devoti. Si dice che una pia donna della stessa famiglia sia salita sulla pira
funeraria del marito cantando inni di gioia. Quando aveva solo dodici anni e
dieci mesi Sri Sri Ma fu sposata a Srijut Ramani Mohan Chakravarti, del villaggio
Atpara di Vikrampur, che apparteneva alla famosa famiglia bramina dei Bharadwaj
di quel villaggio. Il suo sposo dedicò la sua vita al bene altrui e in seguito
fu chiamato Bholanath, Rama Pagla o Pitaji.
I primi anni di vita
di Sri Ma trascorsero inosservati nei villaggi di Kheora e Sultanpur.
Dopo il matrimonio passò qualche tempo a Sripur e a Narundi, dove lavorava il
fratello maggiore di Bholanath; visse anche alcuni mesi nella casa del marito
ad Atpara. Prima di giungere a Dacca, visse per circa tre anni a Vidyakut e per
circa sei anni (dal 1918 al 1924) a Bajitpur con Bholanath.
Ad Astagram si
manifestò per la prima volta in maniera palese l’inclinazione di Mataji per la
musica sacra. A Bajitpur questa disposizione era percettibile solo a volte; in
quel periodo le note dominanti della sua mente erano l’espressione naturale
del simbolismo mantrico e delle pratiche yoga. Nel 1924, quando si trasferirono
a Shahbag, a Dacca, il suo stato di calma e di silenzio continuava. Un’intensa
pace e tranquillità divennero le caratteristiche che permeavano la sua vita! È
impossibile con le parole dare un’idea della profondità di quello stato. In
quel periodo si manifestarono in tutti gli aspetti della sua vita straordinari
giochi di stati e di espressioni divine!
Fu allora che i
devoti cominciarono a radunarsi intorno a lei. Molti prendevano parte
all’adorazione, ai canti devozionali e ai riti sacrificali. È difficile
descrivere come, davanti a lei, le loro anime sprofondassero in una calma
beatitudine. Tutti allora la chiamavano ‘la Madre del giardino di Shahbag’ ed
esprimevano la propria gioia dicendo che in tutta la loro vita non avevano mai
goduto di una ricchezza simile alla grazia di Sri Ma.
A Bajitpur le
apparve davanti alla mente l’intera storia del tempio di Kali Siddhesvari di
Dacca. Durante la sua residenza a Shahbag, il defunto Rai Bahadur Pran Gopal
Mukherji era direttore generale delle poste di Dacca. Questi e Sri Baul Chandra
Basak trovarono gli aiuti necessari per mantenere il tempio di Siddhesvari.
Quando incontrai Sri
Sri Ma la prima volta, Ella mi disse: “Il tuo desiderio per lo spirito non
è abbastanza forte”. Chi, come me, era turbato dalle agitazioni dei desideri
del mondo, non poteva aspirare ad una vita più elevata, a meno che non avesse imparato
a riporre ai Suoi piedi tutte le onde incontrollate delle proprie emozioni ed
impulsi. Nel segreto del mio cuore pregavo sempre in silenzio: “Madre, Tu che
Ti manifesti in ogni essere come sete, desta in me una vera sete per le cose
immutabili ed eterne”.
Nella sua infinita
misericordia, Mataji diresse la mia indole instabile verso la sua presenza che
tutto pervade, come viene narrato di seguito.
1. Una notte
passeggiavo sul balcone di casa mia; il chiaro di luna illuminava gli oggetti
intorno a me. Percepii un movimento al mio fianco e mi girai. Con stupore vidi
un’immagine di Sri Ma che passava rapidamente accanto a me. Indossava
una camicia rossa e un sari orlato da una serie di sottili linee rosse. Quando
avevo lasciato l’ashram, solo un paio d’ore prima, avevo notato che indossava
una camicia bianca e un sari con un unico e ampio orlo rosso. Questo mi fece
dubitare dell’esattezza della visione. Quando andai da lei la mattina presto
del giorno seguente, la trovai vestita esattamente come l’avevo vista la notte
precedente. Mi dissero che quando ero andato via era giunto all’ashram un
devoto che le aveva fatto indossare quegli abiti. Allorché Mataji seppe della
mia visione, disse nel modo più naturale: “Sono venuta a vedere cosa stavi
facendo”.
2. Un giorno Mataji
venne a casa mia e si mise a conversare con noi al primo piano. In quel momento
arrivò una macchina per condurla da un’altra parte. Non sapevo che tutto questo
era stato organizzato prima. Mataji si preparò a partire, ed io provai una grande
angoscia nel vederla lasciare casa mia dopo una visita così breve. Con il cuore
afflitto scesi per vederla partire. Ella entrò in macchina, ma questa non si
muoveva, malgrado i tentativi del conducente. Lei mi guardava con il viso
illuminato da un gioioso sorriso. Falliti tutti i tentativi del conducente di
far partire la macchina, fecero venire per lei una carrozza presa a nolo. Era
penoso pensare che Sri Ma dovesse partire su una carrozza noleggiata
quando c’era una macchina a disposizione. Proprio in quel momento la macchina
cominciò a muoversi, con mia grande gioia e sorpresa, e Sri Ma partì.
3. La pressione
della folla a Shahbag cresceva di giorno in giorno, man mano che la gente
veniva a sapere di Mataji. Una volta non riuscii ad incontrarla per quattro
giorni. La mattina del quinto giorno avevo deciso di andare da lei, ma la mia
mente cambiò. Sedetti disperato nella mia stanza. Con mia sorpresa vidi
apparire sul muro di fronte l’immagine completa di Sri Ma, come in un
film. Sembrava molto triste. Girandomi trovai Sj. Amulyaratan Chowdhury in
piedi, di fianco alla mia sedia. Mi disse: “Mataji ha mandato una carrozza per
condurti da lei”. Quando raggiunsi il giardino di Shahbag, Sri Ma disse:
“Ho notato la tua agitazione degli ultimi giorni. Pace e tranquillità non
possono venire se all’inizio non vi è qualche forma d’inquietudine nella mente.
Il fuoco va acceso con qualunque mezzo, con il burro chiarificato, con il
sandalo o anche con la paglia. Una volta acceso, il fuoco brucia; tutte le
preoccupazioni, depressioni e tristezze gradualmente scompaiono. Esso brucerà
fino a incenerire tutti gli ostacoli. Lo sai, una scintilla è sufficiente a
provocare un incendio, che può ridurre in cenere centinaia di case e palazzi.
4. A mezzogiorno in
ufficio o a mezzanotte nella mia camera da letto, quando il fortissimo
desiderio di vedere Sri Ma mi rendeva totalmente inquieto, molte volte
l’ho vista apparire davanti a me e subito mi diceva: “Mi hai chiamata e sono
venuta”.
5. Un pomeriggio,
tornato dall’ufficio, mi dissero che uno sconosciuto aveva lasciato un grosso
pesce a casa mia, dicendo che sarebbe tornato presto; ma nessuno tornò. Il
pesce era sul pavimento. Quando a sera nessuno si fece vivo, fu tagliato a
pezzi e mandato alla Madre a Shahbag. Quando andai lì la mattina dopo, Pitaji
mi disse: “La notte scorsa tua Madre mi ha detto: ‘Guarda, Jyotish è il mio
dio’”. Chiedendo venni a sapere che la mattina precedente alcune persone
avevano ricevuto il prasad di Sri Ma; poi la sera era arrivata
molta gente per prendere parte al kirtan e tutti desideravano
avere il suo prasad, ma non c’era nulla. Proprio nel momento in cui
Mataji stava preparando le spezie e i condimenti per cucinare, era arrivato il
mio servitore Khagen con il pesce e altre cose necessarie. Questo le aveva
fatto proferire le parole riferite da Pitaji. “Sono rimasto stupito”, aveva
aggiunto Bholanath, “nel sentire che una persona sconosciuta aveva portato un
pesce a casa tua e che questo fosse stato mandato, insieme ad altre cose
necessarie, per i devoti che desideravano il prasad di Ma”.
Tali episodi erano
numerosi. A Shahbag un uomo pregava per avere un po’ di prasad da Sri
Ma, ma in quel momento non c’era nulla. Proprio allora qualcosa mi spinse a
mandare alcuni frutti e dei dolci. Quando il mio servitore giunse là, sembrò
che Mataji lo stesse aspettando.
6. Una notte, verso
le tre, ero seduto sul mio letto completamente sveglio. Mi venne in mente che Sri
Ma stava dormendo con la testa rivolta nella direzione opposta a quella che
le era abituale. Quando andai da lei all’alba, la trovai in quella posizione.
Chiedendo venni a sapere che la Madre era uscita verso le tre di notte e che al
ritorno aveva cambiato la sua abituale posizione.
Accadeva spesso che
dalla mia stanza o dalla mia scrivania in ufficio potessi vedere distintamente
ciò che Sri Ma stava facendo. Questo accadeva senza alcun intervento
della mia volontà; a volte queste immagini attraversavano la mia mente senza
che nemmeno vi pensassi. Bhupen andava ogni giorno a Shahbag e tramite lui
potevo accertare la veridicità delle mie visioni: raramente vi era qualche
discrepanza. Mataji mi diceva spesso: “La tua vera casa è Shahbag; vai a casa
tua solo per fare una passeggiata”.
7. Una volta, a
mezzogiorno, ero impegnato alla mia scrivania. Venne Bhupen e mi disse: “Mataji
ti chiede d’andare a Shahbag. Le ho detto che oggi il direttore avrebbe portato
in ufficio un sovraccarico di lavoro dovuto alla scadenza del suo
incarico, ma la Madre ha risposto: ‘Tu
porta il messaggio a Jyotish; lui faccia ciò che ritiene opportuno’”.
Senza un attimo
d’esitazione lasciai tutte le carte sparse sulla scrivania, e senza informare
nessuno in ufficio partii per Shahbag. Quando arrivai, Sri Ma disse:
“Andiamo al Siddhesvari Ashram”. Accompagnai Mataji e Pitaji. C’era una piccola
cavità, proprio dove ora c’è una piccola colonna e uno Shiva-Lingam. La
Madre sedette dentro la cavità; il suo volto pieno di gioia radiosa era
illuminato da un sorriso. Rivolto a Pitaji esclamai: “Da oggi ci rivolgeremo a Sri
Ma chiamandola Anandamayi (Permeata di Gioia)”. Mi rispose subito:
“Sì, così sia!”. Lei mi guardò, fissandomi senza dire una parola.
Quando ritornammo,
verso le 17,30, Ella mi chiese: “Sei stato tutto il tempo pieno di gioia, come
mai ora hai l’aria tanto spenta?”. Risposi che il pensiero d’andare a casa mi
aveva fatto pensare alla mole di lavoro lasciata in ufficio. Mi disse: “Non
devi preoccuparti per questo”. Il giorno dopo, quando tornai in ufficio, il
direttore non disse nulla della mia assenza del giorno precedente.
Chiesi a Mataji
perché il giorno prima m’avesse chiamato così inaspettatamente. Mi disse: “Per
vedere quanto eri andato avanti in questi ultimi mesi”. Con una risata gioviale
aggiunse: “Se non fossi venuto, chi avrebbe dato un nome a questo corpo?”.
8. Una volta venne a
Dacca sua eccellenza il governatore del Bengala. Il direttore mi chiese di
essere in ufficio alle 9,30, perché voleva andare a far visita al governatore.
Promisi di andare. La mattina seguente tornai tardi da Shahbag, e quando giunsi
in ufficio erano le 9,50. Ero un po’ nervoso al pensiero d’affrontare il mio
superiore. Mentre ci pensavo, egli mi telefonò da casa sua per dirmi che la
macchina s’era guastata, che gli dispiaceva di avermi disturbato e che sarebbe
andato al palazzo del governo alle 11.
Quando Sri Ma udì
la storia, disse ridendo: “È una cosa nuova per te? L’altro giorno hai fatto
fermare la macchina sulla quale dovevo partire”.
9. Una volta Mataji
venne a casa nostra. Durante la conversazione dissi casualmente: “Sembra che
per te, Ma, caldo e freddo siano la stessa cosa. Se un pezzo di carbone
ardente ti cadesse sul piede, non sentiresti dolore?”. Ella rispose: “Basta
provare”. Non spinsi oltre la questione.
Qualche giorno dopo,
riprendendo il filo della conversazione precedente, Sri Ma mise un pezzo
di carbone ardente sul suo piede. Si formò una piaga profonda che per un mese
non si cicatrizzò. Fui veramente sconvolto dalla mia stupida istigazione. Un
giorno la trovai seduta nella veranda con le gambe allungate e lo sguardo fisso
al cielo. Sulla piaga si era raccolto
un po’ di pus. Mi prostrai ai suoi piedi e leccai il pus con la lingua e le
labbra. Dal giorno appresso la ferita cominciò a rimarginarsi.
Chiesi a Mataji come
s’era sentita quando il carbone acceso aveva bruciato la sua carne. Mi rispose:
“Non sentivo alcun dolore. Sembrava un gioco; ho osservato con grande gioia ciò
che il povero carbone faceva sul mio piede e ho notato che all’inizio bruciava
qualche pelo e poi la pelle. C’era odore di bruciato, e infine il carbone è scivolato
dopo aver fatto il suo lavoro. Più tardi si è formata una piaga, che ha fatto
il suo corso, ma non appena hai avuto il forte desiderio che la ferita si
rimarginasse c’è stato un rapido miglioramento”.
10. Era il mese di magh,
il cuore dell’inverno, e il freddo era pungente. La mattina presto
passeggiavo a piedi nudi con Sri Ma sui prati erbosi di Ramna, bagnati
di rugiada. Vidi a una certa distanza un gruppo di donne che si dirigeva verso
di noi. Pensai che appena fossero arrivate avrebbero portato Ma all’ashram
di Ramna. Mentre questi pensieri m’attraversavano la mente, il prato si coprì
di una fitta nebbia e le donne non si videro più. Dopo circa tre ore, quando
tornammo all’ashram, ci dissero che le signore s’erano stancate di cercarci ed
erano state costrette a rientrare deluse. I campi erano molto vasti. Quando Sri
Ma fu informata dei miei pensieri, disse: “Il tuo desiderio è stato
esaudito”.
11. Una volta Mataji
aveva un forte raffreddore. Trovandola tanto malata, la pregai con voce
supplicante: “Ma, torna subito in salute!”. Mi guardò e disse
sorridendo: “Da domani starò bene”, e così fu.
12. Una mattina
trovai Mataji con la febbre. Tornai a casa e la notte pregai ardentemente che
la sua febbre passasse nel mio corpo. All’alba avevo febbre e mal di testa.
Quando quella mattina andai da Ma come al solito, mi disse subito: “Io
sono guarita, ma tu hai la febbre. Torna a casa tua, fai un bagno e mangia il
solito cibo”. Feci così e nel pomeriggio ero guarito.
Sri Ma dice sempre: “Con la forza del pensiero puro e
concentrato tutto diventa possibile”.
13. Mi capitò tra le
mani un libro intitolato Sadhu Jivani (Vite di Santi) e vi lessi questa
frase: “Egli (un sadhu) consigliava sempre ai suoi devoti di dare da
mangiare ai poveri”. Scrissi la seguente nota a margine: “Dare solo cibo non
soddisfa l’animo umano”. Il libro fu portato a Sri Ma a Shahbag e un
devoto lesse la mia nota. Sri Ma non disse nulla. Qualche giorno dopo
andai a Shahbag la mattina presto. Proprio allora venne un uomo, come pazzo, e
disse: “Datemi del cibo o morirò di fame”. Mataji andò a cercare qualcosa in
cucina e gli diede ciò che poté trovare in quel momento. Voleva dell’acqua da
bere e Mataji mi disse di dargliene un po’. Venni a sapere che l’uomo era un
musulmano che aveva digiunato per tre giorni ed era entrato nell’ashram
saltando il recinto. Mataji mi disse che era giunto per insegnarmi l’importanza
di dare cibo e acqua a chi ne aveva bisogno. Ogni cosa ha il tempo e il luogo
stabilito; nella divina economia del mondo nulla va perduto.
14. Un giorno dissi
a Sri Ma: “In questi giorni i mantra sorgono in me con un flusso
continuo. Durante il giorno e nel cuore della notte il fluire del suono sgorga
naturalmente dal mio cuore come gli zampilli di una fontana”. Mentre dicevo
questo, nei recessi più profondi del mio cuore si celava una sottile sfumatura
di soddisfazione personale. Sri Ma mi fissò in silenzio. Quando giunsi a
casa il suono cessò e, malgrado tutti i miei sforzi, non riuscii a richiamarlo.
Trascorse il giorno e la notte, ma il fluire gioioso della melodia del mantra
non tornava. Il giorno dopo pregai Bhupen d’informare la Madre della mia
triste condizione. Bhupen la incontrò per strada, mentre si recava a casa di un
devoto in carrozza. Ella cominciò a ridere. Erano le dieci. Proprio in quel
momento notai che il corso ostruito tornava a fluire con la facilità di prima.
Venni poi a sapere da Bhupen che aveva incontrato Ma a quell’ora. A
questo proposito diceva che anche la più piccola traccia di senso dell’io
ritarda il progresso spirituale.
15. Racconterò un
altro esempio della premura con la quale la benevola influenza di Sri Ma favorisce
lo sviluppo della nostra vita interiore. È un peccato che non se ne riconosca
il valore e non la si utilizzi per il nostro progresso spirituale. Passato
l’entusiasmo iniziale ricadiamo sempre nella condizione precedente.
Una volta Sri Ma disse
sorridendo: “Mentre cantate i nomi divini o i mantra, la vostra mente
viene gradualmente purificata, si destano l’amore e la reverenza per l’Essere
Supremo e i vostri pensieri diventano sempre più sottili. Cominciate allora ad
avere barlumi dei piani più alti dell’esistenza che lavorano per la vostra
elevazione”.
Il giorno che udii
queste parole, sedetti in un angolo solitario di casa mia per le preghiere
serali: sperimentai con stupore una nuova gioia al fluire dei nomi divini, che
continuarono senza alcuna interruzione. Venne il sonno, ma appena mi risvegliai
quelle gioiose vibrazioni fecero fremere di nuovo il mio essere. Durante il
giorno lo stesso gioioso incanto continuò in tono sommesso mentre svolgevo il
mio lavoro in ufficio. Verso il crepuscolo, quando disposi la mia mente alle
preghiere, la beatitudine della sera precedente colmò di nuovo il mio cuore al
punto che non avevo alcun desiderio di dormire. Nel cuore della notte il flusso
era così intenso che pensai mi sarei sentito sollevato se vi fosse stata una
pausa, che arrivò al momento giusto.
Non avevo mai
praticato sedendo nella posizione gomukhi. Nelle prime ore del mattino,
prima dell’alba, mi ritrovai in quella posizione. Durante quelle ore il mio
corpo e la mia mente furono immersi in un mare d’inesprimibile gioia. Le
lacrime sgorgavano dai miei occhi senza interruzione. Nell’incanto della
meditazione trascorsi tutto il tempo immobile, rimanendo completamente assorto.
16. Una mattina, in
quei primi giorni d’abbandono, sedevo in silenzio. Il mio cuore era pieno di
profonda emozione per la grazia divina di Sri Ma, e prese forma questo
canto in bengali:
Il Tuo culto e i
Tuoi inni di lode
siano l’eterno
conforto della mia vita.
Possa la mia vita
essere piena di canti d’adorazione rivolti a Te,
di pensieri della
Tua grazia divina.
Ti vedrò, Madre, nel
cielo immenso,
con gli occhi
ardenti.
Non chiederò alcun
dono, non dirò una parola,
mi stenderò solo ai
Tuoi piedi con lacrime di beatitudine.
Mi muoverò nella Tua
infinita distesa di spazio
spargendo canti come
fiori
che inneggino alla
Tua gloria.
Mi immergerò nella
Tua beatitudine,
cantando i Tuoi
santi nomi e lanciandone l’eco
da un capo all’altro
dell’universo.
Tutte le mie azioni,
tutti i miei pensieri
religiosi sono la
Tua adorazione.
Madre, dammi
devozione e fede salda,
perché possa fare
dei Tuoi piedi
l’ancora della mia
vita.
Diedi a questo canto
il titolo ‘Paglar Gan’ (Canto di un Folle) e ne mandai una copia a Sri
Ma. Mi dissero che, quando lo ricevette, stava tagliando e pulendo una
zucca; mentre le recitavano il canto, la zucca le cadde dalle mani e sedette immobile per qualche
momento.
Quando la incontrai
mi disse: “Il mondo è una manifestazione del Bhava (Amore Divino). Tutte
le cose create sono le sue espressioni materiali. Se potrai innalzarti anche
solo una volta a quell’Amore Divino, ovunque nell’universo vedrai soltanto il
gioco dell’Uno. Separandosi dall’Amore Divino, gli uomini si smarriscono e non
riescono a capire la vera importanza della vita”.
Qualche giorno dopo
eravamo seduti al Siddhesvari Ashram, quando Sri Ma disse: “Canta la tua
canzone intitolata ‘Paglar Gan’’”. Avevo abbandonato da tempo la
pratica del canto; erano inoltre presenti molte persone ed esitai. Mataji rise,
dicendo: “Hai composto il canto di un folle, ma non sei ancora abbastanza folle
da ignorare le critiche del mondo”. Queste parole penetrarono profondamente
nella mia anima e, con il cuore tremante e la voce soffocata, cantai.
Composi molti canti
simili e li offrii ai suoi piedi; per alcuni espresse la sua gioia e per altri
diede la sua approvazione silenziosa. I canti sgorgavano dal mio cuore durante
le preghiere serali o nelle lunghe meditazioni notturne, quando Sri Ma era
lontana da Dacca. Potevo vedere la figura di Mataji che mi stava di fronte,
immobile, e che ascoltava i miei rapimenti. Quando tornava a Dacca, dopo aver
visitato diversi luoghi, mi chiedeva di ripetere canti particolari che avevo
cantato in diverse occasioni nella mia stanza. Era veramente straordinario che
nominasse anche quei canti che non le erano mai stati presentati prima in
alcuna forma.
L’intenso desiderio
di stare al suo fianco a volte mi trasportava lontano, verso l’infinito. I
pochi canti che composi in quel periodo furono pubblicati in un volume
intitolato ‘Ai Tuoi sacri piedi’.
Oltre a questi, non
c’era fine ai canti, alle poesie e agli appunti che scrivevo su Sri Ma, e
che dopo distruggevo. Quando lo seppe, disse: “Non solo in questa vita, ma
anche in molte delle tue nascite precedenti, non si sa quanti inni hai composto
e distrutto per me. Sappi con certezza che, grazie a tutti questi pezzi di
carta, questa è la tua ultima vita sulla terra”.
Ispirato dall’amore
di Mataji, che tutto comprende, si destò in me l’aspirazione per la vita
divina, ma i miei sensi cercavano i piaceri grossolani e non il più elevato,
più sottile e rinvigorente cibo spirituale. In un trattato Vaishnava si
legge: “L’uomo che brama gli oggetti materiali dei sensi per l’appagamento
della lingua, dello stomaco e del sesso, non può trovare il Signore Krishna”.
Era anche il mio
caso. La grazia illimitata e l’affetto di Sri Ma non potevano tenermi
stretto ai suoi piedi per tutto il tempo della mia vita e in tutti i miei
pensieri. È davvero difficile che un uomo irretito nella trappola
dell’illusione (avidya) trovi un immutabile rifugio di pace nel Divino.
Un giorno dissi a
Mataji: “Anche una pietra si trasformerebbe in oro ad un tocco santo come il
tuo, ma la mia vita si è dimostrata un triste fallimento”. Mi rispose: “Ciò che
richiede molto tempo per manifestarsi matura in una bellezza durevole dopo un
uguale periodo di sviluppo. Perché ti preoccupi? Tieniti stretto come un
bambino fiducioso alla mano che ti guida”. Ascoltai riconoscente le sue
purificanti parole d’incoraggiamento, ma sentivo una cocente aridità che
deformava ogni fibra del mio essere. Cito di seguito un esempio per mostrare
come la sua visione penetrante tenesse d’occhio le mie lotte interiori.
Quando sotto
l’impulso della profonda devozione cominciai a cercare ogni giorno la sua
presenza, non mancarono uomini che fecero indegne insinuazioni sulla mia
condotta. Le loro riflessioni mi resero dubbioso e cominciai a pensare che era
solo una comune debolezza umana avvicinare questa o quella persona per il
proprio sviluppo spirituale.
Smisi di andare da Sri
Ma, perché la mia mente era agitata dal pensiero delle critiche. Decisi di
leggere lo Yoga Vasishtha e migliorare la mia vita interiore con la cultura
intellettuale. Per sette o otto giorni mi dedicai allo studio approfondito del
libro.
Un pomeriggio,
mentre riposavo a casa, il mio servitore m’informò che un vecchio bramino
desiderava vedermi per cinque minuti. Lo incontrai. Mi disse che era andato a
casa del mio amico Niranjan Roy e del dr. Sasanka Mohan Mukherji, ma non aveva
potuto incontrarli. Ecco perché era venuto a disturbarmi. Aggiunse: “Ho
sentito dire che sei un grande devoto di Sri Anandamayi Ma. Vuoi dirmi per
favore chi è, e quali sono le sue qualità particolari?”. A queste parole rimasi
seduto in silenzio, con le lacrime che mi scorrevano dagli occhi. Disse ancora:
“Ho avuto la risposta alle mie domande; ma ti prego, dimmi, perché i tuoi occhi sono pieni di lacrime?”.
“Da giorni sono
occupato in altre cose”, risposi, “ho abbandonato ogni pensiero su Sri Ma e
tu hai deciso di venire da me per chiedermi di lei. Devo abbassare la testa con
vergogna e dispiacere. Come sono meravigliose le vie di Sri Ma! Attraverso la sua influenza sei stato mandato
da me giusto in tempo per ricondurmi al mio vero sé. Sono davvero in debito con
te!”.
Mi chiese di
condurlo da Sri Ma e, dopo averla incontrata, disse: “Anch’io ho perso
mia madre molto tempo fa, ma non appena ho visto Mataji la tristezza per la
morte di mia madre è svanita completamente”.
Raccontai a Ma tutto
ciò che mi era passato per la mente e piansi ai suoi piedi. Lei cominciò a
ridere e disse: “In questi tempi se non si è costretti a percorrere un certo
sentiero non si può procedere”.
Per quanto ne
sappiamo, Anandamayi Ma non ha ricevuto l’iniziazione da un guru secondo la
consuetudine prevalente. Il campo della sua conoscenza non è stato illuminato
dallo studio di qualche testo sacro o di qualche discorso religioso. Molte
persone sostengono che sia discesa in questo mondo per diffondere la Luce e
l’Energia Divina, per la rigenerazione dell’umanità di quest’epoca.
Quand’era ancora una
bambina cominciarono a manifestarsi nel suo corpo diversi fenomeni straordinari;
ma non furono notati dalla gente che la circondava. Già nei giochi della sua
prima infanzia sembrava così distaccata e indifferente che molti giunsero a
considerarla una ritardata mentale; anche i suoi genitori avevano dubbi sul suo
futuro. Succedeva a volte che non riconoscesse il luogo in cui si trovava o che
non ricordasse ciò che aveva fatto o detto pochi minuti prima.
Si dice che
nell’infanzia, quando passeggiava, fosse solita parlare agli alberi, alle
piante e ad esseri invisibili dell’aria. Comunicava con loro anche con segni e
gesti. Qualche volta, all’improvviso, cadeva in uno stato d’astrazione,
interrompendo ogni discorso.
Tra i 17 e i 25 anni
si manifestarono in lei dei fenomeni sovrannaturali. A volte, dopo aver cantato
i nomi di dei e dee, rimaneva immobile, in silenzio. Durante i kirtan il
suo corpo diventava rigido e insensibile. Dopo avere ascoltato un discorso
sacro o aver visitato un tempio, il suo comportamento non sembrava normale.
A ventidue anni andò
con Bholanath a Bajitpur (una cittadina del Bengala Orientale) e vi rimase
cinque o sei anni. Verso la fine di quel periodo molti mantra uscivano
spontaneamente dalle sue labbra e nel suo corpo si vedevano chiaramente molte
immagini di dei e dee. I suoi arti assumevano spontaneamente varie posizioni
yoga. Mentre queste manifestazioni divine trovavano espressione nel suo corpo,
per circa un anno e tre mesi a Bajitpur le venne meno la parola, e quando
arrivò a Dacca continuò a rimanere in silenzio per un altro anno e nove mesi –
per un totale di tre anni. In quel periodo si mostravano il lei lo splendore
della beatitudine celeste e la serenità dell’infinita distesa del cielo. Fu
allora evidente che le correnti del mondo esteriore e di quello interiore
avevano cessato completamente di influenzarla. Sembrava dimorare nell’assoluta
calma del Sé.
Nel corso di tutti
questi straordinari avvenimenti della sua vita, Pitaji mostrava spesso grande
ansia per le conseguenze che potevano avere; ma, a dispetto di ogni critica e
speculazione, non s’oppose mai ad alcuna sua azione. Temendo che il suo corpo
potesse essere posseduto da qualche spirito maligno, si cercò l’aiuto di alcuni
sadhu ed esorcisti; ma non fu di alcuna utilità. Al contrario, quando
questi uomini tentarono di curarla furono costretti a ritirarsi con timore e
meraviglia. Solo pregando per la sua misericordia poterono riacquistare il
loro equilibrio.
Per un periodo di
cinque mesi e mezzo nel suo corpo si manifestarono le forme di molti dei e dee.
Ella aveva visioni di queste divinità e, dopo averle adorate, esse svanivano
completamente. Quando terminava l’adorazione di una divinità ne appariva
un’altra. Durante la cerimonia sentiva spesso di essere lei stessa l’adoratore,
l’adorato e l’atto dell’adorazione; sentiva di essere i mantra, le oblazioni
e ciascun elemento del rito.
In quegli atti
d’adorazione non vi erano oggetti materiali né vi era alcun desiderio da parte
sua di compiere le cerimonie. Appena sedeva in un posto solitario, tutte le
attività fisiche e mentali coinvolte nell’adorazione rituale si manifestavano
attraverso un misterioso processo di attività spontanee. Fu accertato in
seguito, da persone esperte nei riti e rituali degli shastra, che tutti
i vari processi d’adorazione compiuti dalla Madre erano perfettamente in linea
con le ingiunzioni delle scritture. Ogni volta che qualcuno chiedeva come le
fosse possibile svolgere perfettamente quei riti, la sua risposta era: “Non
chiedetemi nulla ora. Lo saprete al momento opportuno”.
Il 10 aprile 1924
Mataji arrivò a Dacca e una settimana dopo andò a vivere a Shahbag (nome del
giardino del nababbo di Dacca). Molti devoti cominciarono a radunarsi là per
avere il suo darshan. Nel 1925 alcuni devoti la pregarono di celebrare
il Kali puja, poiché avevano saputo che il suo modo di celebrare era
meraviglioso. Lei rispose: “Conosco poco i riti e i rituali degli shastra; sarà
meglio che cerchiate l’aiuto di un bravo prete”. Dopo però, su richiesta di
Bholanath, acconsentì a celebrare il puja.
Quando i devoti
adoravano la Madre, la loro gioia era grande. Se però lei stessa decideva di
adorare una divinità perché essi ne traessero ispirazione, la santità del rito
aumentava mille volte. Era una cosa troppo profonda per essere descritta a
parole. La bellezza e la solennità della cerimonia erano così elevate che tutti
i devoti provavano una gioia inesprimibile.
Portarono
un’immagine di Kali. Sri Ma sedette per terra in posizione di
meditazione e in assoluto silenzio. Traboccante di devozione, iniziò il puja,
cantando mantra e ponendo fiori intinti nella pasta di sandalo sul
suo capo anziché sull’immagine. Tutte le sue azioni sembravano i movimenti di
una bambola, sembrava che una mano invisibile stesse usando il suo corpo come
uno strumento in cui s’esprimeva il Divino. Ogni tanto alcuni fiori venivano
messi sulla statua di Kali. Il puja fu fatto in questo modo.
Si doveva
sacrificare una capra, che fu lavata con l’acqua. Quando la portarono alla
Madre, se la mise in grembo e pianse mentre l’accarezzava delicatamente con le
mani. Recitò alcuni mantra, toccando ogni parte del corpo dell’animale,
e sussurrò qualcosa nelle sue orecchie. Adorò poi la scimitarra con la quale si
doveva sacrificare la capra. Si prostrò a terra, si mise la lama sul collo e
dalle sue labbra uscirono tre suoni, come i belati di una capra. Quando poco
dopo l’animale fu sacrificato, non si mosse, non emise un gemito e sul corpo e
la testa recisa non vi erano tracce di sangue. Solo con grande difficoltà si
riuscì a tirar fuori dal corpo dell’animale un’unica goccia di sangue. Per tutto
il tempo il volto di Sri Ma splendette di un’intensa e straordinaria
bellezza e, durante la cerimonia, un’atmosfera di grande santità e di profondo
assorbimento pervase tutti i presenti.
Nel 1926 i devoti
pregarono Ma di celebrare nuovamente il puja. Lei non disse
nulla. Più tardi, mentre la portavano a casa di un devoto, alzò la mano
sinistra, sorrise e rimase in silenzio. Quando Pitaji le chiese il significato
di quel gesto, non rispose. Lo stesso gesto della mano sinistra alzata fu
ripetuto di nuovo mentre sedeva in quella casa per mangiare. Alcuni giorni dopo
Sri Ma spiegò che, mentre andavano a casa di quel devoto, aveva visto –
circa cento metri più avanti – la dea vivente Kali sospesa nell’aria a circa
otto metri da terra che allungava le mani verso di lei come se volesse
abbracciarla. Quel giorno, mentre mangiava, la stessa immagine s’era presentata
davanti a lei come una fanciulla. Per questo aveva alzato la mano sinistra.
Il giorno precedente
il Kali puja, i devoti rinnovarono la loro preghiera a Sri Ma. Ella
disse a Pitaji: “Desiderano tanto celebrare il puja; potresti
officiare tu al posto del prete”. Egli disse loro: “Vostra Madre mi ha chiesto
di celebrare il puja e lo farò. Vi prego, fate le dovute
preparazioni”. I devoti chiesero quali dovevano essere le dimensioni della
statua e Pitaji suggerì che doveva essere alta come quella che s’era mostrata a
Sri Ma nelle due occasioni in cui aveva alzato la mano.
In quel momento
Mataji giaceva a terra in uno stato di totale immobilità. Erano le undici di
sera. Presero delle misure approssimative. Seguì una lunga discussione su come
trovare una statua della misura indicata in un solo giorno. Partendo da
Shahbag, Sri Surendra Lal Banerji andò in città con molti dubbi; ma in un
negozio trovò una statua della misura giusta. C’erano dodici statue in tutto e
undici erano state ordinate da vari clienti. Quella in più era stata modellata
dall’artista di propria iniziativa.
L’immagine fu
portata in tempo. Sri Sri Ma sedette per celebrare il puja. Intorno
alla sua persona c’era una divina atmosfera. Dopo un po’, si alzò
all’improvviso e disse a Pitaji: “Vado al mio posto; ti prego, celebra tu il puja”.
Dicendo questo si mise di fianco alla statua e con un’incantevole risata
sedette sul pavimento. L’atmosfera della stanza era sovraccarica di un
meraviglioso rapimento divino troppo profondo per essere espresso. Sri Ma disse:
“Chiudete tutti gli occhi e cantate il nome di Dio”.
La casa era
strapiena; un uomo che stava fuori guardava nella stanza senza essere visto. Sri
Ma lo chiamò con il suo nome e gli ingiunse di chiudere gli occhi. Tutti i
presenti avevano gli occhi chiusi, nessuno sapeva cosa stesse succedendo in
quel momento. Quando tutti riaprirono gli occhi, videro che un avvocato,
chiamato Brindaban Chandra Basak, giaceva sul pavimento privo di sensi. Più
tardi ci disse: “Quando ho guardato nella stanza ho visto un intenso splendore
di luce che emanava dal volto della Madre. Era così potente che sono caduto
privo di sensi. Non so cosa sia successo dopo”.
La notte passava e
il puja s’avviava alla conclusione. Non era stato preparato nulla per il
sacrificio. Quando arrivò il momento dell’ultima offerta (ahuti), Sri
Ma disse: “Non dev’esserci offerta; che il fuoco sacrificale sia
conservato”. Quel fuoco è tenuto acceso ancora oggi. Il giorno dopo doveva
esserci l’immersione della statua. La moglie di Niranjan aveva portato tutto il
necessario per la cerimonia e, guardando la statua, disse alla Madre con
emozione: “Ma, mi dispiace veramente immergere la statua”. Mataji
rispose: “Queste parole proferite dalle tue labbra indicano che probabilmente
la dea non desidera essere immersa. Benissimo, saranno fatti preparativi per la
sua conservazione e adorazione”.
Pur attraverso
grandi cambiamenti di circostanze, quella statua d’argilla è stata mantenuta
nella stessa posizione per dodici anni.
Si possono citare
due episodi connessi a questa immagine. Nel settembre del 1927 Mataji stava
lasciando Chunar per andare a Jaipur. Ero a Chunar e mi recai alla stazione per
vederla partire. Sri Ma m’indicò un luogo preciso vicino alla collinetta
su cui era stato costruito il forte e mi disse di passare di là al ritorno. Vi
avrei trovato una ghirlanda di fiori di ibisco, che avrei dovuto prendere e
conservare con cura. Feci come mi aveva detto. Quando tornò a Chunar, vide la
ghirlanda. In seguito, quando tornò a
Ramna, si scoprì che nel giorno esatto in cui avevo trovato la ghirlanda a
Chunar, nessuna ghirlanda era stata messa al collo della dea Kali a Ramna,
sebbene fosse una pratica consueta del prete mettere ogni giorno una ghirlanda
alla statua.
Una volta Sri Ma si
trovava in riva al mare a Cox’s Bazar. Stava passeggiando lungo la spiaggia,
quando all’improvviso disse con un sorriso: “Guardate il mio polso. È rotto,
vero? Esaminatelo attentamente. Dovrebbe esserci una frattura”. Quella stessa
notte un ladro era entrato nel tempio di Kali a Ramna e aveva rubato gli
ornamenti della dea, rompendo il polso della statua.
La statua è ancora
custodita in un locale sotterraneo dell’ashram di Ramna. Ogni anno, durante le
celebrazioni del compleanno di Sri Ma, la porta viene tenuta aperta
perché tutti possano avere il darshan. Mataji lo aveva disposto ancor
prima che i templi indù fossero aperti a tutti, senza distinzioni di casta e di
credo.
Una volta si stava
celebrando il Vasanti puja al Siddhesvari Ashram. Sri Ma era
presente durante la cerimonia che dà vita alla statua. Quando Ella la fissò,
gli occhi della statua cominciarono a brillare come quelli di un essere
vivente. Sri Ma disse: “Le personalità e le forme di dei e dee sono
reali come lo sono il vostro corpo e il mio. Essi possono essere percepiti con
la visione interiore dischiusa dalla purezza, dall’amore e dalla devozione”.
I modi e gli stati
d’animo di Mataji sono il risultato della beatitudine suprema (ananda);
analizzando le cose più da vicino si scoprirà che ogni fibra del suo essere
vibra di beatitudine divina. Per giocare l’ananda lila con i suoi figli,
Ella ha assunto una forma fisica, animata dalla gioia del Divino. È naturale che per il bene di tutti gli esseri
umani, le idee migliori sulla vita e la cultura spirituale trovino espressione,
si sviluppino e, per così dire, prendano forma tramite lei e alla fine
svaniscano nel non conoscibile.
Se la studiassimo
attentamente scopriremmo che rivela se stessa in due modi: con l’armonia del
suo atteggiamento esteriore verso tutti gli esseri e con le grazie della sua
vita interiore. Il modo perfettamente calmo, dolce e naturale che mostra con
ogni persona, dall’uomo più pio al più grande peccatore, dai bambini e dai
giovani irrequieti fino ai vecchi piegati dall’età e dalle infermità, rivela
una grazia meravigliosa, una sublime bellezza e dignità che conquista subito i
cuori di tutti. L’altro aspetto della sua vita ha a che fare con le forze e i
poteri del mondo invisibile – gli agenti celesti, gli esseri eterei, che
portano all’umanità felicità e dolore, benedizioni e maledizioni. Il rapporto
tra questi due aspetti della sua vita è meravigliosamente coerente e intimo.
Durante gli anni
giovanili, e anche dopo essere venuta a Dacca, Sri Ma trascorse molto
tempo restando completamente immobile. Venimmo a sapere che rimaneva assorta
di continuo, per ore, in un’estasi divina che le parole non possono descrivere.
A volte trascorreva molti giorni di fila in questo stato di profondo
assorbimento e, durante il kirtan, il suo corpo assumeva varie
posizioni che indicavano uno stato di suprema beatitudine.
Il 14 gennaio del
1926 vi fu un kirtan nel giardino di Shahbag, in occasione dell’Uttarayan
Sankranti. Fu la prima celebrazione pubblica con kirtan fatta alla
presenza della Madre. In quella occasione Sri Shashibhushan Das Gupta venne da
Chittagong e non appena vide Sri Ma il suo cuore si riempì di profonda
devozione. In quel momento c’erano molte persone e molta confusione. Egli
fissava il volto di Sri Ma, mentre le lacrime gli scendevano
sulle guance. Mi disse: “Vedo di fronte a me ciò che non ho mai visto in tutta
la mia vita. Lei sembra la manifestazione tangibile della Madre
dell’Universo”.
Il kirtan iniziò
alle dieci, mentre Sri Ma metteva la polvere color vermiglio sulla
fronte delle donne presenti. All’improvviso la scatola del vermiglio le cadde
dalle mani, il suo corpo s’accasciò al suolo e cominciò a rotolare su se
stesso. Si alzò poi lentamente, appoggiandosi sugli alluci. Entrambe le mani
erano tese in alto, la testa era leggermente inclinata di lato e un po’
all’indietro, e i suoi occhi radiosi guardavano fissi verso il cielo lontano.
Poco più tardi
iniziò a muoversi in quella posizione. Il suo corpo sembrava occupato da una
presenza celeste. Non prestava alcuna attenzione ai vestiti che le pendevano
addosso disordinatamente; nessuno aveva il potere o l’intenzione di fermarla.
Tutto il suo corpo danzava con ritmi misurati, in maniera molto delicata, e
raggiunse il luogo in cui era in corso il kirtan. Allora, in silenzio,
il suo corpo si fuse, per così dire, con il terreno. Guidato da un potere
misterioso, esso dondolava come le foglie secche di un albero mosse dolcemente
da una brezza gentile.
Dopo un po’, mentre
giaceva ancora sul pavimento, una tenera e dolce melodia uscì dalle sue labbra:
‘Hare murare
madhukeitabhare’.
Le lacrime
scendevano sulle sue guance con un flusso ininterrotto. Dopo alcune ore
ritornò nel suo stato normale.
Il suo volto
splendente, il suo dolce e ineffabile sguardo, la sua voce tenera e soave,
vibrante d’emozione divina, ricordavano alle persone là riunite le immagini di
Sri Caitanya Deva descritte nelle sue biografie. In quell’occasione, tutti i
cambiamenti fisici osservati tantissimo tempo fa nel Signore Gouranga si
manifestavano di nuovo nella sua persona.
Al crepuscolo,
quando Sri Ma entrò nella sala del kirtan, si ripresentarono
tutti i sintomi dell’estasi di mezzogiorno. Poco dopo Ella pronunciò dolci
parole così chiare, tenere e dolcemente vibranti d’emozione divina che tutti i
presenti ammutolirono, travolti dalla beatitudine celeste.
Alla fine del kirtan
ci fu la distribuzione dei dolci e la stessa Sri Ma distribuì il prasad
con tale grazia e bellezza, con un’espressione così divinamente materna,
che la gente sentiva che Madre Lakshmi doveva essersi incarnata nel suo corpo.
Quel giorno Shashibhushan e altri lì presenti realizzarono che il corpo di Sri
Ma era solo un veicolo dell’infinita grazia di Dio.
In quel periodo
Niranjan fu trasferito a Dacca come assistente commissario dell’ufficio delle
tasse. Una sera andai a Shahbag con lui mentre era in corso il kirtan della
luna nuova. Man mano che continuava il kirtan, in Sri Ma furono
visibili molti cambiamenti. Dapprima sedeva perfettamente dritta; poi la sua
testa si piegò gradualmente all’indietro fino a toccare le spalle; mani e piedi
si contorsero finché tutto il corpo non cadde steso sul pavimento.
In armonia con il respiro,
il suo corpo era mosso da movimenti ritmici simili ad onde, e con gli arti
allungati ondeggiava sul terreno seguendo la musica. I suoi movimenti erano
dolci e delicati come le foglie cadute di un albero che rotolano lievemente
sospinte dal vento. Nessun essere umano avrebbe potuto imitarli, nonostante
ogni sforzo. Ognuno dei presenti sentiva che Sri Ma stava danzando sotto
l’impulso di forze celesti, che scuotevano tutto il suo essere. Molti tentarono
di fermarla senza riuscirvi. Alla fine i suoi movimenti cessarono e lei rimase
immobile come un pezzo d’argilla. Sembrava immersa nella beatitudine infinita.
Il suo volto splendeva di luce celeste, tutto il suo corpo traboccava di divina
ananda.
Niranjan rimase muto
mentre osservava quello spettacolo per la prima volta in vita sua. Recitò un
inno di lode alla Madre dell’universo. “Oggi”, esclamò, “ho visto una vera
dea!”.
In un’altra
occasione, c’era una grande folla durante un kirtan a Shahbag. Sri Ma
cadde in uno stato simile a quello appena descritto. Solo che quella volta
scivolò sul pavimento stando seduta; il suo respiro era quasi sospeso. Allungò
mani e piedi e giacque sul pavimento con il viso rivolto in basso; poi rotolò
leggermente con un movimento ondeggiante. Dopo un po’, come presa da un grande
bisogno di ascendere, s’alzò lentamente da terra senza alcun sostegno e rimase
dritta sugli alluci, sfiorando a malapena il terreno. Il suo respiro sembrava
essersi fermato completamente, le mani erano alzate verso il cielo. Il corpo
aveva solo un lieve contatto con la terra, il capo era volto all’indietro e
toccava le spalle; gli occhi spalancati e raggianti erano rivolti al cielo. Si
muoveva come una bambola di legno mossa da un filo nascosto manovrato dal
burattinaio dietro il paravento. I suoi occhi erano raggianti di splendore
divino, il suo volto era illuminato da un dolce sorriso celestiale e le sue
labbra erano piene di gioia. Dopo un po’, sostenendo tutto il peso del corpo
sugli alluci e andando a tempo con il kirtan, si mosse come un essere
dell’aria, come se il peso del suo corpo fosse tirato dall’alto da un potere
invisibile.
Rimase in quella
posizione per molto tempo; alla fine i suoi occhi si chiusero lentamente e
giacque a terra come un ammasso di carne, con il capo reclinato all’indietro.
La mattina dopo, verso le dieci, tornò al suo stato normale.
Un giorno ci fu un kirtan
a casa di Niranjan. Tutti erano impazienti di vedere Sri Ma in uno
stato sovrannaturale, specialmente la vecchia madre. L’anziana signora pregò
in silenzio di essere benedetta da quella vista. Sri Ma stava sul
pavimento della stanza accanto; all’improvviso si precipitò nella stanza in cui
si svolgeva il kirtan e con la sua voce divinamente calma si unì al
canto e cominciò a danzare con i presenti. Dopo un po’ s’accasciò al suolo.
Riacquistato il suo stato consueto, rimase a lungo in silenzio.
Oltre alle
manifestazioni citate, i suoi stati sublimi s’esprimevano in così tanti modi
che è impossibile descriverli a parole. Quando il suo corpo rotolava sul
pavimento, a volte s’allungava in maniera insolita; altre volte si faceva
piccolissimo, qualche volta s’arrotolava su se stesso come una palla. Altre
volte ancora sembrava senza ossa, e mentre danzava rimbalzava come una palla di
gomma.
La velocità dei suoi
movimenti aveva la rapidità del fulmine, e anche l’occhio più acuto non poteva
seguirli. In quel periodo eravamo convinti che il suo corpo fosse posseduto da
forze divine che lo facevano danzare e che gli facevano assumere una grande
varietà di pose. Sembrava così pieno di gioia estatica che si ingrossavano
anche le radici dei peli del suo corpo, e i peli apparivano ritti. Il suo
colorito diventava roseo. Sembrava che tutte le espressioni proprie dello stato
divino si accalcassero nella minuscola forma del suo corpo, e manifestassero in
innumerevoli modi pieni di grazia e di ritmo le sublimi bellezze dell’Infinito.
Ella, però, sembrava
essere molto al di sopra, completamente distaccata da tutte quelle
manifestazioni e non toccata dagli eventi che producevano. Quelle manifestazioni
sembravano apparire naturalmente nel suo corpo, provenienti da una sfera
d’esistenza molto elevata.
Un giorno chiesi a
Mataji: “Quando il tuo corpo è fisicamente addormentato nel samadhi, qualche
Presenza Divina appare alla tua vista interiore?”. La sua risposta fu: “Non c’è un fine stabilito, dunque non ce n’è
bisogno. Questo corpo non agisce con uno scopo. Il vostro grande desiderio di
vedere questo corpo in stati di samadhi, fa sì che a volte se ne
manifestino i sintomi. Ogni volta che un pensiero raggiunge la sua massima
intensità, dev’esserci necessariamente la sua espressione fisica. Se un
individuo si perde nella contemplazione del Nome Divino, può fondersi
nell’oceano della Bellezza Celeste. Dio e i nomi che Lo simboleggiano sono una
sola cosa. Non appena scompare la coscienza del mondo esterno, il potere del
Nome si manifesta e trova immancabilmente una espressione oggettiva”.
Durante il kirtan
nel suo corpo si manifestava uno stato divino sovrannaturale. Abbiamo udito
dalle sue labbra che vi fu un tempo in cui vedeva il fuoco, l’acqua, il cielo o
altre cose straordinarie, e allora il suo corpo tendeva a trasformarsi in
ognuna di esse. In presenza di un colpo di vento sentiva l’impulso di far
volare il suo corpo come un brandello di stoffa. Quando sentiva il suono
prolungato e profondo di una conchiglia, tutto il suo corpo tendeva per così
dire a gelarsi, e diventava immobile come una lastra di marmo. Ogni volta che
l’onda di un pensiero le attraversava la mente, nel suo corpo si manifestava
una corrispondente espressione fisica.
Una volta si unì a
dei bambini che giocavano, e iniziò a ridere così di cuore che la sua risata
non poté essere frenata neanche dopo un’ora di tentativi. Si fermava per un
minuto o due, e ricominciava di nuovo a ridere. Pur rimanendo seduta nella
stessa posizione, nel suo sguardo vi era un’espressione sovrannaturale. Molti
presenti ne rimasero impressionati. Dopo un po’ riacquistò gradualmente la sua
compostezza abituale.
Un’altra volta
doveva andare da Calcutta a Dacca. Molti ragazzi e ragazze, uomini e donne,
andarono alla stazione per vederla partire. Tutti piangevano all’idea della
separazione. Anche Sri Ma si unì a loro e cominciò a piangere così
disperatamente che fu impossibile fermarla. Si raccolse una folla. Qualcuno
disse: “Molto probabilmente la donna che piange è una giovane sposa che dalla
casa del padre viene portata a quella
del marito”. L’impulso di piangere continuò da mezzogiorno al crepuscolo.
Un giorno mi chiese:
“Dov’è il centro del tuo riso e del tuo pianto?”. Risposi: “Ogni stimolo viene dal cervello, ma il vero centro sta
in qualche posto vitale vicino al cuore”.
Sri Ma disse: “Quando dietro al tuo riso o al tuo
pianto c’è un vero sentimento, cerca d’esprimersi con ogni parte del tuo corpo”.
Non riuscii a intendere il significato delle sue parole e rimasi in silenzio.
Alcuni giorni dopo mi recai all’ashram la mattina presto. Incontrai Sri Ma e
feci una passeggiata con lei. Le chiesi: «Ma, come stai
oggi?”. Mi rispose con grande enfasi:
“Sto molto, molto bene”. A questo, tutto il mio corpo, dalla testa ai piedi,
cominciò a fremere e a danzare alla vibrazione delle sue parole, e dovetti
fermarmi di colpo per strada.
Mataji notò la mia
confusione e disse: “Hai capito ora dove si trova il centro del riso e del
pianto? Se un pensiero o un sentimento viene espresso soltanto da una parte del
corpo, non si manifesta tutta la sua forza”.
Ho sentito Sri Ma
dire che, quando tutti i pensieri e i sentimenti del devoto scorrono
unicamente verso Dio, le vibrazioni discordanti del mondo esterno contrarie
alle sue aspirazioni recano una forte sofferenza all’aspirante. Se in quella
fase qualcuno ferisce un animale o una pianta, e la vibrazione raggiunge il sadhaka,
questa gli provoca un’acuta sofferenza mentale. Le vibrazioni disarmoniche
e i piaceri dei sensi turbano il flusso costante della sua devozione a Dio.
Quando il sadhaka è ancora fortemente legato al mondo esterno, pensa che
ciò che percepisce con i sensi sia tutto dentro il suo ‘io’. In quella fase
anche la caduta di una foglia da un albero crea increspature nello spazio della
sua coscienza. Nel primo periodo della vita della Madre qualunque cosa accadeva
nel mondo esterno trovava, spontaneamente, risposta in lei.
Appena Sri Ma riacquistava
la sua normale serenità, dopo un’estasi profonda, si manifestavano naturalmente
molti processi yogici. In quei momenti si poteva udire un mormorio di suoni
indistinti provenire da lei. Seguivano poi note rombanti come il sollevarsi
delle onde del mare flagellate dalla tempesta; alla fine dalle sue labbra
usciva un flusso ininterrotto e melodioso di verità divine, nella forma di
numerosi inni sanscriti. Sembrava che attraverso le parole di Sri Ma le
verità divine provenienti dall’eternità del cielo prendessero forma in simboli
sonori. Quella pronuncia impeccabile, quel libero fluire di melodia che toccava
nell’intimo il cuore degli ascoltatori, riceveva maggiore incanto dal divino
splendore del suo volto. Perfino dotti studiosi vedici, nonostante tutto il
loro addestramento, difficilmente avrebbero potuto acquisire il suo tipo
d’espressione libero e naturale.
La ricchezza di
significato di tutte le espressioni spontanee di Sri Ma è stata una
sorpresa per molti sapienti. Il linguaggio in cui venivano espressi i versi non
poteva essere compreso facilmente, e quindi non è stato possibile scriverli per
intero e con precisione. Sono stati registrati solo quattro di quegli inni
sacri, di cui è stato possibile prendere in parte nota. In seguito avvicinammo
Mataji per fare una verifica e correggerli. La sua risposta fu: “Se dovrà
essere, sarà. Al momento non mi viene”.
Ecco la traduzione
di uno* dei quattro inni:
“Tu sei la Luce dell’universo e lo Spirito che lo
guida e lo controlla. Manifestati in mezzo a noi! Da Te emana continuamente una
ragnatela di mondi. Tu sei Colui che distrugge ogni paura. Manifestati davanti
a noi! Tu sei il seme dell’universo; sei l’essere nel quale risiedo. Tu sei
presente nei cuori di tutti questi devoti. Tu che mi stai davanti, rimuovi le paure
di tutte le creature. Tu sei la manifestazione di tutti gli dei e molto di più.
Tu sei uscito da me e Io sono l’essenza del mondo creato. Facci contemplare il
vero fondamento dell’universo, attraverso cui il mondo cerca la liberazione. Tu
dimori nella Tua eterna natura essenziale. Sei uscito dal Pranava, la
vibrazione originaria alla base di ogni esistenza e la verità di tutto. I Veda
sono solo scintille della Tua Luce eterna. Tu simboleggi la coppia divina, Kama
e Kamesvari, che si dissolve nella Beatitudine Suprema che tutto
pervade, e che viene espressa da nada e bindu, quando si
differenzia per sostenere il Tuo lila. Disperdi le paure del mondo!
“Prendo rifugio in Te. Tu sei il mio asilo e la mia
dimora finale. Attira tutto il mio essere in Te. Come Salvatore Tu appari in
due forme: il liberatore e il devoto che cerca la liberazione. Da Me solo tutte
le cose sono create a Mia immagine, da Me sono mandate nel mondo; e in Me tutto
trova il rifugio finale.
“Io sono la causa prima che i Veda chiamano Pranava.
Sono nello stesso tempo Mahamaya e Mahabhava. La devozione a
Me produce il moksha (liberazione). Tutto è Mio. A Me Rudra deve i suoi
poteri. Io canto la gloria di Rudra che si manifesta in tutte le azioni e nelle
loro cause”.
Da questa traduzione
è evidente che il corpo-pensiero di Sri Ma è stato espresso in parole
per il bene, la pace e il progresso del mondo. Il suo amore e la sua sconfinata
compassione per tutte le creature si irradiano in tutte le direzioni ed Ella
siede suprema al centro, abbracciando l’universo.
Una volta Sri Ma disse
di questi inni: “La Parola Eterna è la causa prima dell’universo. Con
l’evoluzione di questa Parola sempre presente, continua parallelamente il
progresso della creazione materiale”.
In quella fase della
vita di Mataji, quando furono rivelati molti di questi inni, a volte la sua
voce diventava acuta e tagliente come una spada; altre volte era carezzevole
come lo zefiro. Altre volte ancora rivelava un potere pieno di tranquillità e
di profonda beatitudine, come l’influenza del cielo di luna piena a mezzanotte.
Con i cambiamenti di tonalità, anche le espressioni degli occhi e del volto
subivano corrispondenti trasformazioni.
In alcune occasioni
gli inni le venivano alle labbra accompagnati da un incessante flusso di
lacrime e da un sorriso straordinariamente luminoso e dolce, in un gioco
alterno di riso e pianto simile a quello tra sole e pioggia, che conferiva al
suo volto beato una serenità e un fascino celestiale. Terminato il canto degli
inni, rimaneva a lungo in silenzio oppure giaceva sul pavimento, profondamente
assorta.
Nota: *) – Il giorno 20 del mese di
vaisakh dell’anno bengali 1336 (1929), Sri Ma lasciò l’ashram di
Ramna dopo esservi rimasta per 24 ore dopo l’installazione della divinità.
Indossava solo un sari. In quell’occasione dalle sue labbra scaturì
quest’inno, e chiese ad alcuni devoti di scriverlo. La Madre si trovava in una
condizione estatica e si poté trascrivere solo una parte dell’inno. Non se ne
può quindi garantire la correttezza. Ella, però, diede il permesso di cantarlo
prima di cominciare il kirtan, accompagnandosi con strumenti musicali.
Nota: – gli inni usciti
spontaneamente dalle labbra di Sri Ma non sono in sanscrito né in altro
linguaggio a noi conosciuto. In essi vi sono alcune parole ed espressioni in
sanscrito e sembrano delle preghiere. Devono essere considerati dei mantra, in
cui ogni sillaba ha il proprio significato e non può essere sostituita da alcun
sinonimo. La versione riportata nel testo non va pertanto considerata una
traduzione letterale degli inni; sembra inoltre che i suoni usciti dalle labbra
della Madre non siano sempre stati riprodotti correttamente.
Sri Ma disse che, per qualche tempo, il suo corpo
aveva attraversato uno stadio durante il quale si manifestavano naturalmente
varie posture yoga (asana, mudra, ecc.). Si manifestavano spesso
quand’era in solitudine, lontano dalla vista degli uomini. A questo riguardo,
una volta Mataji osservò: “Proprio come un seme dev’essere tenuto nell’oscurità
sotto terra prima che spuntino i germogli così, in seguito alle pratiche, in un
sadhaka avvengono molti cambiamenti sottili non percettibili”.
A volte le sue mani,
i piedi e il collo si piegavano in maniera tale che sembrava non potessero
riprendere le loro normali posizioni.
In un’occasione
Sri Ma disse: “Da questo corpo è balenata una luce così splendente che
tutto lo spazio intorno è stato illuminato. Quella luce s’è diffusa
gradualmente, avvolgendo l’universo”. In quei casi si copriva il corpo con un
grande mantello e si ritirava a lungo da sola in un angolo solitario della
casa.
In quel periodo il
suo corpo emanava un tale potere divino che al suo sguardo la gente dimenticava
tutto e veniva immersa nella gioia divina. Toccando i suoi piedi, qualcuno
sveniva. I luoghi sui quali si stendeva o sedeva diventavano intensamente
caldi.
A Dacca ho visto io
stesso Sri Ma in diverse posizioni yoga. A volte il suo respiro
s’arrestava completamente per molto tempo oppure diventava così lieve e
impercettibile che temevamo potesse morire soffocata.
Un giorno, mentre le
mostravo le illustrazioni di alcune posizioni yoga in un libro, mi fece notare
in esse degli errori riguardo specifiche posizioni della testa, dei piedi,
delle cosce e di altre parti del corpo.
Coloro che sono
stati così fortunati da starle vicino per qualche tempo, devono aver notato
come poteva sedere in una particolare posizione per parecchie ore di seguito
senza fare il minimo movimento, o come cadeva in un silenzio assoluto nel mezzo
di una conversazione. In quelle situazioni il suo corpo diventava inerte come
quello di una statua, gli occhi fissi e immobili volti al più remoto angolo del
cielo e il volto gioiosamente dolce e sereno. In tutti quegli stati era
evidente che la sua anima era immersa nella Beatitudine Suprema, mentre il
corpo eseguiva meccanicamente le azioni di routine quotidiana dei doveri della
vita sociale. In quegli stati d’assorbimento nel Divino non sentiva fame né
sete né gli estremi di caldo e freddo, a meno che non rivolgesse loro
un’attenzione particolare. Anche quando ritornava alla coscienza fisica, ci
voleva molto tempo prima che riguadagnasse il suo stato normale.
Abbiamo notato in
molte occasioni che se durante queste fasi d’assorbimento veniva lasciata a se
stessa per alcuni giorni di seguito, spesso dimenticava come parlare o ridere o
anche come distinguere i diversi tipi di cibo e bevande.
Molti desiderano
assistere alle manifestazioni dei suoi poteri occulti. Ad essi suggerirei di
trascorrere alcuni giorni vicino a lei e sperimentare la meravigliosa influenza
spirituale che emana in ogni momento dalla sua persona, grazie alla quale anche
i cuori più aridi sbocciano a nuova vita. Le persone sono impercettibilmente
attratte nell’orbita della sua profonda vita spirituale dalla sua volontà
naturale d’assicurare il bene di tutti gli esseri.
Un pomeriggio andai
a Shahbag con Niranjan. Sri Ma e Bholanath erano seduti e sul pavimento
erano disegnate alcune immagini. Bholanath disse: “Vostra Madre ha disegnato
queste immagini dei centri vitali all’interno del corpo”.
Udendo ciò, Ella
disse: “Mentre camminavo, verso mezzogiorno mi sono seduta qui in una posizione
yoga e ho visto alcuni centri vitali simili a loti, dal centro più alto nel
cervello giù lungo la spina dorsale fino al punto più basso, a pochi pollici di
distanza l’uno dall’altro. Ho visto chiaramente che a partire dall’estremità
inferiore della spina dorsale vi sono tanti centri sottilissimi, dei quali solo
sei principali sono stati disegnati qui. Non li ho disegnati deliberatamente,
la mano si è mossa da sola sul pavimento e così sono venute fuori queste
figure.
“Dovete sapere che
attraverso questi centri vitali di nervi che s’intrecciano operano gli impulsi
ereditari, le tendenze acquisite, le emozioni, i vari stimoli, i cicli di
pensiero, le nozioni di vita e di morte, ecc., che dal centro cerebrale più
alto scendono verso il basso in risposta agli stimoli degli organi dei sensi.
Correnti di vita e di fluido vitale scorrono velocemente o lentamente
attraverso questi canali e guidano i processi vitali e le correnti di pensiero
dell’uomo. Come vedete che si compenetrano la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria
e lo spazio oltre l’atmosfera, così anche questi sei centri principali sembrano
stare l’uno sull’altro nel corpo, ma operano in mutua interdipendenza come una
catena vitale. Un po’ di riflessione vi convincerà che l’energia vitale ascende
nei centri superiori del corpo quando i vostri pensieri sono puri e pieni di
gioia. Come sapete che in fondo ad un pozzo c’è una sorgente d’acqua, che un
serbatoio mantiene costante la sua riserva, che l’energia vitale di una pianta
si trova sottoterra nel fondo delle radici, così nel punto più basso (muladhara)
della colonna vertebrale giace addormentata la fonte delle potenti forze
vitali che derivano fondamentalmente dal sole, da dove sgorgano i ruscelli
della vostra vita. Quando con grande pazienza e purezza vi sforzate di
purificare i vostri veicoli interni ed esterni, le vibrazioni risultanti dai
vostri pensieri colpiscono centri sempre più alti, liberando la loro tensione e
rilasciando la forza vitale trattenuta nel centro più basso per cercare
un’uscita verso l’alto. Allora l’apatia, i bisogni primari e i samskara del
devoto svaniscono gradualmente, come la nebbia davanti ai raggi del sole.
Insieme allo scioglimento di questo blocco, comincia ad allentarsi
l’attaccamento agli oggetti dei sensi e la vita interiore inizia a prendere
forma.
“Quando la spinta
ascendente della forza vitale raggiunge il centro tra le sopracciglia, la
corrente interiore dell’energia vitale scorre uniformemente con facilità e
purezza in tutto il corpo, con il risultato che il devoto comincia a realizzare
qualcosa della natura dell’ego, del mondo e della creazione. Se un uomo rimane
in questo stadio per molto tempo, tutte le inclinazioni e gli stimoli prenatali
ereditati diventano a poco a poco sempre più deboli; la sua mente raggiunge
livelli di contemplazione sempre più alti, centri di forza vitale sempre più
profondi.
“Se il devoto va
oltre il centro vitale più alto, situato tra le sopracciglia (dvidala cakra),
i suoi poteri mentali s’immergono nel sovramentale, il suo ego si dissolve
nel mahabhava e trova eterno rifugio in svarupa; allora va
in samadhi, uno stato di perenne beatitudine.
“Appena i vari centri vitali iniziano ad
aprirsi, all’interno vengono percepiti diversi suoni. Il devoto ode suoni di
conchiglie, campane, flauti, ecc., che si fondono nel ritmo cosmico dell’unica
voce del silenzio infinito. In questo stadio nessun pensiero od oggetto del
mondo esterno può distrarre la sua attenzione. Mentre avanza, il suo essere si
dissolve nelle profondità senza fine della musica beata che pervade l’intero
universo, e trova eterno riposo”.
Due o tre anni dopo
questa spiegazione di Mataji, le mostrai le immagini dei sei centri vitali
pubblicati nel libro ‘Il Potere del Serpente’ di Sir John Woodroffe. Sri
Ma non li guardò neppure e disse, ridendo di cuore: “Ascolta ciò che ti
dice questo corpo”. Descrisse poi ciascun centro, la natura dei loti, il loro
colore e il numero dei petali, con gli yantra e i mantra corrispondenti.
Constatai che i disegni del libro rappresentavano perfettamente ciò che Sri
Ma descriveva.
Ella aggiunse: “Non
ho mai letto di questi centri in alcun libro né ho mai udito parlare di essi.
La descrizione che ho dato proviene dalla mia esperienza”. A ulteriori domande
rispose: “I colori dei centri vitali che vedi sui disegni sono solo tinte
esterne. Questi plessi sono composti della stessa sostanza del nostro cervello,
ma le loro forme, strutture e funzioni variano. Ciascuno ha proprie
caratteristiche particolari e qualità distintive come l’occhio, l’orecchio o
l’ombelico o anche le linee del palmo della mano. In essi v’è il gioco sempre
mutevole di vari suoni e colori, e vi sono i simboli chiamati mantra-seme, che
sono il risultato naturale del movimento della forza vitale e dello scorrere
del fluido vitale. Nei primi stadi, quando vari mantra uscivano da
queste labbra accompagnati da cambiamenti del respiro, a volte mi balenavano in
mente domande come: ‘Cosa sono questi?’. La risposta venne da dentro e la
struttura interiore di tutti questi plessi divenne chiaramente visibile come i
disegni che mi hai mostrato. Quando una persona prega regolarmente, fa i puja
e le pratiche yoga, medita e riflette sulle più alte verità dell’esistenza
con sufficiente concentrazione e fermezza, la sostanza mentale si purifica, i
pensieri si affinano e i centri si dischiudono. In caso contrario nessun essere
umano può sfuggire alla tempesta e alle costrizioni degli istinti fisici come
la lussuria, l’avidità e l’ira”.
Un giorno Sri Ma andò
al Siddheswari Ashram con i devoti presenti. Quel posto si trovava allora in un
vero stato d’abbandono. Vi era un altare largo circa mezzo metro quadrato e
alto una ventina di centimetri. La Madre vi sedette sopra. Tutti i devoti
sedettero intorno in silenzio, assorti nei propri pensieri. Pian piano il suo
corpo si rimpicciolì a tal punto che ognuno ebbe l’impressione che sull’altare
fosse rimasto soltanto il suo sari. Nessuno poteva vederla. Tutti si chiedevano
cosa sarebbe accaduto. Vi fu un movimento sotto il vestito e molto lentamente e
gentilmente prese forma un corpo ed Ella riapparve, seduta dritta. Per quasi
mezz’ora guardò il cielo con lo sguardo fisso, poi disse: “Avete attirato
questo corpo per il vostro progresso”.
Sri Ma ha detto: “Come un aquilone vola alto nel
cielo, legato ad un filo sottile, così uno yogi, affidandosi al suo respiro
vitale e al fragile filo del samskara, può fluttuare nell’aria, ridurre
il suo corpo fisico ad un granello di polvere, assumere una dimensione
gigantesca o perfino scomparire alla vista”.
Sappiamo che molte
persone hanno ricevuto l’iniziazione da Sri Ma in sogno, che altre hanno
avuto fiori insieme ai mantra, e che al risveglio hanno trovato
realmente i fiori; ma nessuno di noi ha mai visto Mataji iniziare fisicamente
un devoto.
Sappiamo inoltre che
molte persone, stando nelle loro case, lontano da Sri Ma, sono rimaste
stupite nel vedere la sua immagine realmente presente davanti ai loro occhi per
pochissimo tempo.
Una volta ero
gravemente malato a Dacca, colpito da un attacco di tubercolosi e Sri Ma si
trovava nell’India Nord-Occidentale. Quando tornò a Dacca, mi disse: “A
mezzanotte di due date particolari questo corpo è entrato nella tua stanza da
una certa porta di casa tua e ne è uscito da un’altra. In quei due giorni la
tua condizione è stata molto critica”. Controllando sul libro dei conti dove
erano registrate le spese giornaliere, inclusi gli onorari dei medici e i costi
delle medicine, scoprii che in quei due giorni i medici erano stati chiamati
veramente di notte.
Vi sono stati anche
casi in cui Sri Ma è passata in mezzo a un gruppo di uomini, ma solo
alcuni hanno potuto vederla. Ha detto: “Sono sempre presente in mezzo a voi, ma
voi avete poco desiderio di vedermi. Che cosa posso farci? Sappiate per certo
che i miei occhi sono fissi su quello che fate o mancate di fare”.
Una volta Sri Ma doveva
prendere il treno a Goalundo. Il gradino d’accesso al treno era molto alto rispetto
al marciapiede. La Madre aveva allora un dolore reumatico al braccio destro.
Quando al suo invito Gurupriya Devi le afferrò la mano sinistra e la tirò su
nello scompartimento, il suo corpo sembrava leggero come quello di un bimbo. In
qualche occasione, al contrario, sembrava molto pesante.
Sri Ma ci ha detto che, nel movimento o nel riposo,
nulla produceva in lei un cambiamento. Era sempre completamente sveglia. A
volte, quando s’alzava dal letto, diceva d’aver visto determinati incidenti
avvenuti in luoghi particolari. Indagini fatte successivamente confermavano
l’esattezza delle sue affermazioni.
Vedevo spesso Sri
Ma al mio fianco in un lampo di luce o come una figura ferma e indistinta;
qualche volta assumeva una forma precisa e concreta che si muoveva apportando
nel mio ambiente cambiamenti che continuavano anche dopo la sua scomparsa.
Verso la fine del
1930, Sri Ma si trovava a Cox’s Bazar, a circa 300 miglia da Dacca.
Nelle prime ore del mattino ero seduto sul mio letto, a Dacca, e pensavo a lei.
La sentii sussurrare: “Erigi un tempio entro l’area dell’ashram”.
Balzai in piedi. Sapevo che Sri Ma non
aveva mai ordinato ad alcuno di fare qualcosa. Pensai e ripensai alla cosa.
Presumevo che quei sussurri dovessero provenire da Sri Ma, ma un dubbio
m’attraversava la mente: “Perché le sue parole dovevano essere così
indistinte?”. La sua voce abituale era chiara, distinta, risuonante, viva.
Scrissi una lettera a Cox’s Bazar e venni a sapere che aveva osservato il
silenzio per alcuni giorni e che aveva ripreso a parlare alle otto di mattina
di quel dato giorno. Quando Sri Ma tornò a Dacca, mi dissero che aveva
mormorato delle parole la mattina molto presto, ma pochi avevano potuto
distinguerle. Dopo avere udito quel comando da Sri Ma, la costruzione
del tempio fu presa sul serio.
Diceva sempre di
poter vedere i corpi eterei dei santi morti molto tempo fa. Un giorno disse:
“Proprio come voi siete seduti intorno a me, là vi sono molti spiriti
disincarnati, che sono reali quanto voi”.
Diceva anche di
poter vedere le varie forme delle diverse malattie. Quando cercavano d’entrare
nel suo corpo, gli veniva dato libero accesso. “Poiché c’è solo una vita
nell’universo, le malattie non sono né chiamate né allontanate da me. Come
tutti voi siete per me fonte di ananda, anch’esse mi danno uguale
gioia”.
Nel maggio del 1929 Sri
Ma lasciò Dacca, ma per qualche ragione diversi ostacoli impedirono i suoi
liberi movimenti. Quando tornò a Dacca, nel mese di agosto, aveva la febbre.
Molti sintomi soprannaturali cominciarono ad apparire sul suo corpo. Ordinò che
al suo corpo fosse permesso assumere vari asana, seduto o disteso per
terra, secondo i suoi bisogni spontanei. Questo continuò per un’ora intera. Più
tardi Sri Ma disse che erano state tutte posizioni yoga. Vedendo queste
manifestazioni, la gente temette che potesse abbandonare il corpo. Si scoprì
che i suoi arti mancavano di coesione; in piedi o seduta, tutte le sue membra
penzolavano mollemente e non potevano muoversi a meno che non fossero
adeguatamente sostenute. Oltre a questo aveva la febbre alta, la dissenteria,
sangue nelle feci e nell’urina e tutti i sintomi dell’idropisia. Trascorsero in
questo modo quattro o cinque giorni, infine Brahmacharini Gurupriya Devi la
supplicò: “Ma, non riusciamo ad assistere il tuo corpo; abbi pietà di
noi!”. Dopo questa preghiera la fiacchezza del corpo di Sri Ma scomparve,
ma la febbre e gli altri sintomi continuarono come prima. Per altri cinque o
sei giorni, le furono versati sulla testa da sessanta a settanta secchi d’acqua
tra le 11 e le 17, ma la febbre non diminuiva, e lei non voleva prendere
medicine. Fu interpellato un dottore ayurvedico, che la esaminò e disse:
“Possiamo curare i comuni esseri umani, ma le vie della Madre sono
completamente diverse”. Vedendola giacere a letto malata, tutti i devoti erano
profondamente preoccupati e la pregavano di guarire il suo corpo.
Il mattino seguente Sri
Ma disse: “Preparate un piatto di riso per questo corpo”. Lei, che era
stata costretta a letto dalla febbre alta e dall’idropisia, debilitata
completamente senza quasi possibilità di muoversi per diciassette o diciotto
giorni, chiese il suo consueto pasto di riso, dal e vegetali.
Rimasero tutti meravigliati.
Furono preparati
riso, dal e vegetali, secondo le sue direttive. Tre o quattro persone
furono impegnate a sostenerle il corpo per imboccarla. Mangiò un po’ di
ciascuna pietanza. Molti temettero qualche seria complicazione a causa di quel
cibo dopo una febbre tanto prolungata, invece si riprese gradualmente.
Riferendosi ai
disordini fisici descritti sopra, una volta Sri Ma disse: “Questo corpo
si muove in sintonia con la Natura; il suo corso naturale dev’essere stato in
qualche modo ostacolato nelle sue normali funzioni. I disordini delle sue
funzioni vitali si sono manifestati per farvi capire le infelici conseguenze
che derivano dall’ostacolare i suoi bisogni naturali. Se vi fosse stata una
vera malattia, questo corpo sarebbe deperito completamente o sarebbe rimasto
invalido.
“Mentre giacevo a
letto non ero cosciente d’alcun disagio o apprensione. Mi sentivo come fossi in
salute. Tra i vostri movimenti ansiosi avanti e indietro e i cambiamenti che si
verificavano in questo corpo, ero consapevole di una sinfonia di musica e di
gioia”.
Da tutte le sue
azioni sembrava che la Natura, obbediente, per così dire, al suo volere,
aiutasse il suo corpo a funzionare. Ero convinto che se avessimo prestato la
dovuta attenzione alle espressioni naturali della sua volontà, trattenendoci
dal disturbare l’atmosfera intorno a lei con le vibrazioni delle nostre
simpatie e antipatie personali, e se avessimo fatto senza riserve ciò che lei
diceva, avremmo potuto godere di una felicità senza limiti dovuta al magnifico
funzionamento della sua Volontà. Nello stesso tempo avremmo avuto la grande
fortuna d’avere molte possibilità di crescita.
Durante l’infanzia
giocavamo con le bambole inseguendo le nostre fantasie; costruivamo casette di
sabbia e argilla per soddisfare un nostro desiderio momentaneo e poi ci volgevamo
a nuovi giochi. Anche allora stavamo facendo lo stesso gioco con il nostro
comportamento nei confronti di Sri Ma, con la stessa leggerezza e lo
stesso impulso. A volte questi timori affollavano la mia mente.
Nel corso di una
conversazione all’ashram di Vindhyachal, Mataji disse a Brahmachari Kamalakanta:
“Anche dopo tanti anni, pochissime persone capiscono ciò che voglio. Se lo
capissero, domande come: ‘Cosa vuoi? Qual è il tuo desiderio?’, non verrebbero
mai poste. Una persona deve cercare sinceramente di capirmi secondo le proprie
capacità, ma per comprendere ciò che voglio deve liberare la mente dall’orgoglio,
dal desiderio di fama e gloria, dall’ira e dal dolore, dalla presunzione e
infine dalla testardaggine che fa credere all’uomo di essere un libero agente
in tutte le sue azioni”.
Se sotto la sua
benevola influenza potessimo purificarci costantemente, seguendo
silenziosamente quel che ci suggerisce di fare, realizzeremmo la nostra
missione trovando nelle nostre vite l’opportunità di contemplare la gloria
della sua Maternità universale.
Un giorno
passeggiavo con la Madre nel giardino di Ramna. Lei non parlava. Capii che era
stata presa dallo spirito d’assoluto silenzio. Ritornò dopo aver passeggiato
senza meta per qualche tempo. Per otto o dieci giorni rimase completamente
muta. Nessun segno, gesto o cenno usciva da lei, neanche un sorriso. Sedeva
quietamente assorta nel proprio Sé interiore. Se qualcuno le parlava, i suoi
occhi e la sua attenzione non ne erano attratti. Sedeva raccolta in sé come la
statua del Signore Buddha. Quando mangiava le sue labbra s’aprivano solo un
po’, per richiudersi subito dopo aver preso un piccolo boccone. Durante questo
stato di silenzio sembrava che il suo rapporto con il mondo esterno fosse
interrotto completamente. Dopo otto o dieci giorni cominciò a mormorare alcune
parole incerte. Avevamo l’impressione che stesse imparando a usare di nuovo
gli organi vocali e a recuperare il potere della parola. Passarono tre giorni,
e poi riprese gradualmente il suo abituale modo di parlare. Ebbi la grande
fortuna di vedere Sri Ma due o tre volte in simili stati.
Durante queste fasi
di silenzio il suo aspetto tranquillo, la sua compostezza seria ma serena, il
suo sguardo aggraziato e il volto splendente risvegliavano il nostro amore e la
nostra reverenza. Più la si guardava con occhi ardenti, più cresceva il
desiderio di contemplare il suo volto. Quando all’inizio, poco dopo il suo
matrimonio, Sri Ma rimase in silenzio per tre anni, molti espressero
dispiacere ritenendo che fosse completamente muta: “Ahimè, è un peccato, una grande
ingiustizia di Dio! Egli ha reso muta questa bella ragazza, pur avendole
concesso tutte le migliori virtù femminili”. Sri Ma ha detto: “Se
desiderate osservare un vero silenzio, il vostro cuore e la vostra mente devono
fondersi intimamente in contemplazione così che tutta la vostra natura, interna
ed esterna, possa per così dire solidificarsi nello stato di una pietra. Se
invece volete semplicemente astenervi dal parlare, è una questione del tutto
diversa”.
Abbiamo quattro foto
delle posizioni yoga di Sri Ma. La prima è stata discussa nel primo
capitolo; la seconda è stata fatta dopo un lungo periodo di malattia. Quando
sono state scattate la terza e la quarta foto, all’inizio sedeva in modo
naturale, ma le espressioni dello stato d’assorbimento estatico le vennero più
tardi.
Quando fu pregata
d’indicarci i diversi stadi della sadhana, Sri Ma parlò di
quattro livelli:
1) concentrazione dell’intelletto su un punto.
È come accendere della legna secca. Quando la legna umida è stata asciugata dal
calore del fuoco, la fiamma arde vivacemente. Allo stesso modo la nostra mente
s’illumina quando viene liberata dalla nebbia e dall’umidità dei desideri e
delle passioni (kamana, vasana) grazie alla forza della contemplazione
del Divino. È uno stato di purezza mentale che, in certi casi, induce uno stato
di silenzioso assorbimento in un particolare stato d’animo o un eccesso
d’emozione e agitazione al di là di ogni capacità di controllo. Tutti questi
stati d’animo emanano da un’esistenza suprema, ma solo in direzioni
particolari.
2) Concentrazione delle proprie facoltà
emotive. Induce uno stato d’inerzia fisica, di assorbimento nel sacro
sentimento che scaturisce dall’unico e indivisibile stato di estasi. A questo
punto il corpo può essere paragonato ad un pezzo di carbone bruciato, con il
fuoco apparentemente spento. In questo stato il devoto passa ore intere in una
condizione esteriore d’inerzia; ma in fondo al suo cuore si leva una corrente
continua di sublime emozione. Quando questo stato matura, il sentimento attira
grandi poteri dall’Anima Suprema e, come un vaso trabocca quando vi si versa
troppa acqua, così esso si propaga nel vasto mondo con un flusso potente,
spinto dall’intensa pressione dell’espansione.
3) Fusione della vita interiore ed esteriore.
Questo stato è simile a quello di un carbone ardente. Il fuoco pervade ogni
atomo delle coperture interne ed esterne, tutte raggianti di Luce Divina. Il
devoto vive, si muove ed è immerso in un beato oceano di Luce.
4) Piena concentrazione, nella quale il devoto
perde ogni coscienza di dualità, del funzionamento dei tre guna. È
simile allo stato del carbone ridotto in cenere. Non v’è alcuna distinzione tra
interno ed esterno, tra qui e là; è lo stato di assorbimento nel Supremo, lo
stato del Tutto-Uno. Le vibrazioni del pensiero, del sentimento o della volontà
svaniscono completamente. Somiglia alla perfetta tranquillità di un lago
immobile sotto un cielo blu.
Il samadhi di
Sri Ma offriva una visione meravigliosa: è stata mia immensa fortuna poter
assistere molte volte ai suoi samadhi. Riporto di seguito alcune delle
mie esperienze.
Alcuni giorni,
mentre passeggiava o sedeva in una stanza dopo esservi entrata per caso, dopo
aver riso o pronunciato poche parole, i suoi occhi si spalancavano con lo
sguardo assente e tutte le sue membra si rilassavano in maniera così sovrannaturale
che il suo corpo sembrava, per così dire, sciogliersi sul pavimento.
Allora potevamo
osservare che, come il tenue disco dorato del sole al tramonto, tutta la
luminosità dei suoi modi e delle sue espressioni abituali pian piano svaniva
dal suo volto in qualche profondità misteriosa. Dopo un po’ il ritmo del suo
respiro diminuiva e a volte s’arrestava del tutto. L’uso della parola cessava
completamente, gli occhi rimanevano chiusi. Il corpo diventava freddo. A volte
le mani e i piedi diventavano rigidi come pezzi di legno; altre volte pendevano
sciolti come corde, e ricadevano in basso da ovunque li si mettesse.
Il suo volto
risplendeva di un colorito cremisi dovuto all’intensità dell’ananda interiore.
Le sue guance splendevano di una luce celestiale, la fronte luminosa e serena
appariva di una calma divina. Tutte le sue espressioni fisiche erano in uno
stato di sospensione; tuttavia ogni poro del suo corpo irradiava uno splendore
straordinario – una muta eloquenza del silente discorso interiore. Tutti i
presenti sentivano che Sri Ma era immersa nelle profondità della
comunione divina. Trascorrevano così dieci o dodici ore e poi si facevano vari
tentativi per riportarla sul piano fisico con kirtan e cose simili, ma
invano.
Io stesso non sono
mai riuscito a destarla da quello stato d’assorbimento. Non vi era alcun tipo
di risposta se le massaggiavo con forza mani e piedi, e neanche se li pungevo
con punte acuminate. La sua coscienza ritornava quand’era il momento, ma ciò
non dipendeva da alcuno stimolo esterno.
Quando Sri Ma ritornava
alla coscienza fisica, le ritornava anche il respiro, che diventava sempre più
profondo; insieme ad esso riprendeva vita il movimento delle sue membra. Certe
volte, poco dopo questi risvegli, il suo corpo ricadeva ancora una volta nella
condizione inerte di prima e tendeva, per così dire, a congelarsi di nuovo
nello stato di samadhi. Quando le si aprivano le palpebre con la punta
delle dita, nei suoi occhi vi era uno sguardo vuoto e senza vita, e le palpebre
si richiudevano subito automaticamente.
Quando cominciava a
manifestarsi una serie di sintomi che annunciava il suo ritorno alla vita
normale, veniva aiutata ad assumere una posizione a sedere e, chiamandola a
voce alta, si tentava di riportarla al mondo dei sensi e d’indurla a parlare.
In quel labile stato di coscienza, rispondeva al richiamo del mondo esterno
solo per un attimo, per poi immergersi di nuovo nei recessi più profondi del
suo essere. In quello stato le ci voleva molto tempo per riacquistare la sua
condizione normale.
Una volta, dopo un
certo periodo di samadhi, la fecero camminare con grande difficoltà.
Dopo aver preso un boccone di cibo, il suo corpo ricadde per qualche ora in uno
stato incosciente e inerte.
Quando però
riacquistava il suo stato normale, dopo il samadhi, tutto il suo corpo
appariva soffuso di gioia. Quand’era sulla soglia del risveglio, qualche volta
rideva oppure rideva e piangeva nello stesso tempo.
Durante il samadhi
il suo volto perdeva ogni segno di vita; il corpo appariva fragile e debole
e, nel suo aspetto generale, non v’era alcuna espressione di gioia o dolore. In
quello stato le ci voleva molto più tempo per riacquistare la normalità. Nel
1930, quando andò all’ashram di Ramna, sembrava spesso perdere ogni traccia di
vita durante il samadhi e trascorreva quattro o cinque giorni di seguito
senza rispondere ad alcuno stimolo esterno. Durante l’intera fase, dall’inizio
alla fine del samadhi, non vi erano segni che fosse viva o che potesse
ritornare in vita. Il suo corpo diventava freddo come il ghiaccio e rimaneva
freddo per molto tempo ancora, anche quando ritornava la coscienza.
Dopo aver ripreso
piena consapevolezza, quando le chiedevano come si era sentita durante il samadhi,
rispondeva soltanto: “È uno stato al di là di ogni piano, cosciente e
supercosciente – uno stato di completa immobilità di pensieri, emozioni e
attività, sia fisiche sia mentali – uno stato che trascende tutti i livelli di vita
di quaggiù. Ciò che chiamate savikalpa samadhi non è altro che un mezzo
per raggiungere l’obiettivo finale, è solo uno stadio di passaggio nella vostra
sadhana.
“La concentrazione
profonda su uno dei cinque elementi dei sensi – udito, tatto, odorato, gusto e
vista, che derivano principalmente dall’aria, dalla terra, dall’acqua, ecc. –
porta l’uomo a fondervi la propria identità; non appena la concentrazione si fa
più profonda, il corpo, per così dire, si fonde gradualmente con esso. Quel
particolare oggetto dei sensi pervade allora l’essere e gradualmente l’ego si
dissolve in esso e si fonde con l’Entità Universale. Quando si ottiene questo
stato, scompare anche la coscienza dell’Unico Sé Universale, e ciò che rimane è
oltre la parola, l’espressione o l’esperienza”.
A volte si
manifestavano nella sua persona molti sintomi anomali, senza alcuna causa
evidente. Il respiro diventava profondo e prolungato; l’intero corpo si torceva
a destra e a sinistra con un’espressione di languore e stanchezza. Si stendeva
allora sul pavimento oppure rotolava come un fagotto. In questa fase aveva
ancora la coscienza fisica, e quando le veniva fatta qualche domanda rispondeva
con una o due parole, con voce molto debole e sommessa.
Più tardi,
chiedendo, apprendevamo che mentre si trovava in quella condizione aveva
percepito una sottile e filiforme corrente vitale ascendente che fluiva dal
punto più basso della spina dorsale fino al più alto centro nel cervello e che,
insieme ad essa, un brivido di gioia aveva percorso ogni fibra del suo corpo ed
anche le radici dei capelli. In quel momento sentiva che ogni particella della
sua forma fisica danzava, per così dire, con infinite piccole onde di
beatitudine. Qualunque cosa toccasse o vedesse le sembrava una parte vitale di
se stessa; poi, gradualmente, il suo corpo fisico cessava di funzionare.
Se in quel momento
le si massaggiava la schiena o le si frizionavano le giunture del corpo per
molto tempo, rimaneva quieta per un po’ e riacquistava il suo stato normale.
Era in questo stadio che la vedevamo traboccare di gioia celeste e il suo
sguardo aveva tutti i segni di chi è immerso nell’amore universale.
In mezzo alla
routine della vita di tutti i giorni, mentre la Madre riposava, sorridendo e
parlando alla gente che andava a trovarla, ci si accorgeva che le sue membra si
facevano gelide e le estremità delle mani e dei piedi blu. La rigidità degli
arti non diminuiva neanche con un vigoroso massaggio, e le mani di coloro che
le frizionavano le membra s’intorpidivano dal freddo. Un giorno ci vollero
quasi dodici ore perché riacquistasse il suo calore normale.
Una sera, verso il
tramonto, Sri Ma giaceva in uno stato di samadhi. La nostra Didima*
stava sul letto dalla sua parte; anche Pitaji era nella stanza. Verso le
due di notte ero seduto sulla veranda a meditare sui piedi di loto di Mataji.
Ebbi come una sensazione di tremore nel cuore prodotta dal rumore dei suoi
passi. Aprii gli occhi, ma non vidi nulla. Udii alcuni deboli suoni nella
stanza. Quando mi alzai notai due piccole impronte dei piedi bagnati di Mataji.
Entrai nella stanza
e la trovai a letto. Chiesi a Didima se Sri Ma fosse uscita. Mi
rispose: “No”.
Trascorse la notte.
La mattina seguente ritornò, per breve tempo, sul piano della coscienza
fisica. Sebbene avesse riacquistato i sensi il giorno dopo, ci vollero tre o
quattro giorni perché tornasse al suo abituale modo di vita.
Qualche giorno più
tardi dissi a Mataji: “Ho sentito dire che durante il samadhi è
impossibile muoversi con il corpo fisico. Perché quella notte ho visto le tue
impronte sul pavimento?”.
Sri Ma rispose: “Può l’uomo spiegare ogni cosa con le
parole?”, e rimase in silenzio.
Una volta le chiesi:
“Quali sono i segni di un sadhaka?”. Rispose: “Quando un devoto
raggiunge un certo livello di purezza mentale può comportarsi come un bambino,
diventare insensibile agli stimoli fisici come un pezzo di materia inerte,
trasgredire i canoni della vita sociale come un uomo fuori di mente o, a volte,
essere attraversato da barlumi di pensieri ed emozioni sublimi e passare per un
santo; ma, attraverso questi diversi modi di vita, la sua mira rimane fissa
sull’obiettivo centrale. Se in quello stadio dimenticasse la meta finale, il
suo progresso s’arresterebbe.
“Se farà uno sforzo
intenso per conseguire la meta, tutte le sue attività verteranno intorno
all’obiettivo supremo. Vedrete sempre che, anche se appare come un pezzo di
materia inerte, del tutto indifferente agli stimoli esterni, egli è pieno di
gioia e beatitudine non appena riacquista la coscienza fisica. Man mano che questa
felice disposizione si stabilisce in lui, il suo rapporto con gli uomini e le
cose viene permeato da uno spirito di gioia e felicità, che lo rende amabile e
caro a tutti. La sua vita interiore ed esteriore diviene un’espressione
dell’Unica Beatitudine Suprema.
“Nello stadio
successivo il devoto raggiunge un livello in cui scompare anche il concetto di
esistenza universale; allora il suo modo di vita non può essere spiegato dai
normali canoni della ragione. In questo stato tutte le vibrazioni del suo complesso
psico-fisico sono sospese ed è probabile che l’anima s’allontani dalla sua
forma mortale. Se invece rimane un forte samskara di fare del bene
all’umanità, egli può continuare a vivere per un certo tempo. In ogni caso
rimane immutabile in tutte le circostanze della vita, anche se pensiamo sia
soggetto al cambiamento solo perché mantiene il corpo.
“La sola differenza
tra tale devoto e lo yogi che abbandona il corpo è che quest’ultimo lascia il
corpo con un preciso atto di volontà. Anche al momento dell’uscita dal fisico,
egli ha coscienza di avere un corpo che sta lasciando, mentre l’uomo che
abbandona la spoglia mortale nel samadhi assoluto non è cosciente
né di un corpo individuale né d’alcuno sforzo per lasciarlo. In lui i samskara
di vita e morte hanno cessato di operare e non appena si esaurisce il karma
delle sue vite passate il corpo scompare naturalmente”.
In un’altra
occasione, durante una conversazione, Sri Ma disse:
“1) La purezza di
cuore e di mente viene mediante la concentrazione su un oggetto, secondo la
propria disposizione particolare.
2) Mentre si
progredisce, tutte le ambizioni e le idee disordinate vengono unificate a tal
fine.
3) Quando le diverse
correnti di pensiero fluiscono lungo lo stesso canale, il devoto diventa
apparentemente immobile e inerte.
4) Egli trova dimora
nell’Unico Essere Universale ed è assorbito nell’esistenza unitaria”.
Sri Ma di solito non diceva queste cose a tutti.
Qualche volta si fermava all’improvviso durante la conversazione. Di solito era
circondata da molti bhakta. Quello che diceva per il loro bene non
poteva essere sempre registrato e molte delle sue parole non erano
comprensibili a tutti.
Le sue istruzioni
erano di tipo universale, intese per tutti gli uomini; tuttavia il loro reale
significato non sempre era compreso da gente come noi. Quando, però, qualcuna
delle sue parole illuminava la mente di una determinata persona, ciò che questa
realizzava con la propria conoscenza limitata trovava espressione nella sua
vita, secondo la sua capacità di progredire. Non è facile immaginare quanto
infinitamente vari siano i corsi d’acqua che dall’Himalaya scendono verso le
pianure dell’India attraverso ghiacciai, cascate, fiumi, ruscelli e sorgenti
che arricchiscono e rendono fertili molti terreni sterili. L’Himalaya non
s’impoverisce donando queste correnti perpetue, che assicurano il bene del
mondo. Era lo stesso nel caso di Sri Ma e dei suoi devoti.
A stento troviamo le
parole per esprimere i cambiamenti che a poco a poco avvenivano in noi in ogni
momento delle nostre vite grazie al suo contatto, ai suoi suggerimenti, alle
sue parole e ai suoi sorrisi. C’era tra noi la falsa idea che se avessimo
provato ad esprimere come le sue benedizioni avevano trasformato molti piccoli
incidenti della nostra vita quotidiana, avremmo potuto sminuire la sua grazia o
la sua influenza. Penso, invece, che con tali sforzi avremmo potuto innalzare
soltanto inni alla sua gloria e, nello stesso tempo, il nostro progresso
spirituale sarebbe avanzato non di poco. Avrebbe potuto essere un modo per
legare alla sua grazia le nostre anime riconoscenti in ogni momento della vita.
Coloro che hanno
visto il volto luminoso e sempre splendente di sorrisi di Sri Ma, la sua
semplicità da bambina, i suoi scherzi gioviali che scaturiscono da un cuore
traboccante di gioia, sono rimasti affascinati oltre misura. In ogni sua parola
ed espressione, in ogni suo sguardo e gesto vi è una dolcezza che non si può
trovare da altre parti. Dal suo corpo, dai suoi abiti e da ogni suo respiro si
diffonde un profumo divino. Quando canta, scaturiscono pensieri e idee divine
dalla sorgente più profonda del nostro cuore.
Completamente libera
da ogni legame, Ella conduce una vita di perfetto distacco. Come il sereno cielo
blu è lontano e al di sopra del mondo sottostante, e tuttavia effonde la sua
calma serenità sulle cose di questa terra e produce riflessi azzurri sia su
laghi e stagni sia su una piccola ciotola d’acqua, così il suo amore avvolge
tutte le cose create e le attira sempre più vicino al suo cuore. Riconosce il
gioco dell’unica vita assoluta negli uomini di tutte le razze e credi, in ogni
animale e pianta. Vedendo tutti gli esseri come manifestazioni dell’unica
beatitudine universale, li tratta con uguale amore, riguardo e reverenza.
Nessuna distinzione tra alto e basso, ricco e povero distrae la sua visione.
Mataji dice sempre:
“Per me non c’è nulla di nuovo da vedere, sentire o dire”. Vediamo tuttavia che
anche le cose più comuni sembrano attirare la sua attenzione, a tal punto che a
volte ci sembra una bambina incantata davanti ad una bella bambola.
Non c’è fine agli
scherzi gioviali con i suoi devoti. Una volta questi desideravano vederla nei
panni di Sri Krishna da bambino e da giovane prima dell’adolescenza, e si
misero insieme a vestirla. Due foto la mostrano nei due diversi ruoli. Le
espressioni di Sri Ma in quelle due pose differenti colpiscono non poco.
La bellezza del suo volto rivela il fascino di Sri Krishna da bambino e da
giovane. Non si capisce da quale sorgente nascosta possa risplendere
all’esterno quel bagliore divino che conferisce al suo sguardo tanta tenerezza
e alla sua fronte quell’espressione pacifica e piena di grazia, al suo volto
quell’alone di purezza e dolcezza, e alle sue membra tale leggera mobilità.
Tutto ciò è non solo eccezionale, ma sovrannaturale e senza precedenti.
In un certo senso
nella sua allegra risata gioiva e danzava ogni fibra del suo essere. Chi era
presente in quel momento poteva vedere il bagliore della luce sacra che illuminava
il suo volto; una risata così pura e di cuore si riscontra difficilmente in un
essere umano. Il fotografo ha colto in maniera assai imperfetta solo una
frazione della sua vera espressione.
Ovunque vada Sri
Ma, la sua presenza porta con sé una squisita dolcezza, che pervade i
pensieri e le idee della gente che le si accalca intorno. Qualunque sia la
natura dei propri pensieri, si rimane piacevolmente sorpresi nel vedere che la
propria mente viene purificata e affinata dalla sua influenza sottile.
La vista di Sri
Krishna risvegliava affetto materno in Yashoda, sentimenti d’amicizia in
Sridama e Sudama e amore disinteressato nei cuori delle pastorelle di Brajadham.
Allo stesso modo la presenza di Sri Ma induce varie forme di
adorazione e amore devozionale nelle diverse anime.
Sin dalla prima
infanzia ha posto in evidenza gli scopi principali della vita umana. Gli amici
non conoscevano gioia senza la sua compagnia. Chiunque venga in contatto con
lei – bambino, giovane o anziano – rimane così affascinato che spesso, al
momento della partenza, chiede: “Quando ci incontreremo ancora?”. Ovunque le
capiti di andare, si raduna una gioiosa moltitudine. Un’ondata di gioia
inebriante travolge centinaia, migliaia di uomini e donne con una nuova
ispirazione e, in un certo senso, le loro anime danzano in risposta alle sue
dolci parole ed espressioni. Non appena lascia un luogo, questo sembra vuoto.
Si è notato che anche le persone che vedendo i suoi capelli scompigliati, i
suoi abiti non sempre in ordine e i suoi modi distratti, la considerano una
donna strana e cercano d’evitarla, non possono loro malgrado distogliere gli
occhi da lei.
I poteri eccezionali
che si manifestano costantemente attraverso le sue gioiose attività sono
innumerevoli e vari. Interrogata su di essi, ha risposto: “Questo corpo è
sempre nello stesso stato, senza alcun cambiamento: è la vostra attitudine che
vi porta a considerare ordinaria o straordinaria una fase particolare”. Ha
aggiunto: “L’universo è un gioco divino; voi avete il desiderio di giocare, e
così interpretate tutte le gaie attività di questo corpo, i suoi sorrisi e i
suoi giochi secondo la vostra luce. Se (questo corpo) avesse assunto una posa
seria e immobile, sareste rimasti lontani da me. Imparate ad immergervi nella
Gioia Divina in tutte le sue manifestazioni e raggiungerete la meta finale di
ogni gioco. Capite?”.
Si considera
straordinario ciò che va oltre l’esperienza delle persone comuni. Chi ha
dissolto tutti i pensieri e le emozioni nella beatitudine suprema e assoluta
dell’Atman – che talvolta assume il ruolo di un essere individuale, a
volte di Ishvara, il Sovrano Supremo dell’universo, e a volte quello
dell’Assoluto impersonale Param-Brahman – vede tutte queste fasi
soltanto come manifestazioni accidentali del gioco divino. Sri Ma non ha
desideri, simpatie o antipatie. A volte dei poteri sovrannaturali giocano la
loro parte nel risvegliare un’attitudine devozionale o dei pensieri sacri nei
suoi devoti. A volte la loro intensa preghiera induce nel suo semplice comportamento
delle manifestazioni corrispondenti. Sri Ma dice: “Questo corpo è come
uno strumento musicale; quello che ascoltate dipende da come suonate. Per me
c’è solo una nota di fondo che risuona in tutto l’universo”.
Il giorno prima di
lasciare l’ashram di Dacca, nel giugno del 1932, alle cinque del pomeriggio
sedette all’aperto con molti devoti per dare il prasad. Il cielo si
riempì all’improvviso di nuvole scure, e cominciò una tempesta con lampi e
tuoni. Tutti i presenti aspettavano un immediato scroscio di pioggia. Proprio
in quel momento giunse un altro gruppo di persone che sedette per avere il prasad.
Quelli che avevano mangiato furono invitati dalla Madre ad andarsene, ma
lei rimase. Quando tutti terminarono, Mataji s’alzò e disse: “Adesso farò un bagno”.
Molti cercarono di dissuaderla dal fare un bagno a quell’ora tarda del
pomeriggio. Ella rimase ferma, e cominciò a piovere forte. Tutto il cortile
s’allagò. Sri Ma si muoveva con grande gioia sotto la pioggia, giocando
come una bambina. Molte persone anziane, ragazzi, ragazze e giovani ben vestiti
si unirono a lei e iniziarono un kirtan che continuò fino alle nove di
sera. Tra loro c’erano alcuni deboli di salute, ma nessuno s’ammalò.
Molte volte abbiamo
visto Sri Ma fermare la pioggia con un semplice sguardo, o mettere fine
alle dispute e alle manifestazioni di risentimento tra i suoi devoti con un
dolce sorriso o una forte risata.
Per natura Sri Ma
prende pochissimo cibo – non è possibile immaginare come una persona possa
vivere con una dieta così povera. Nei primi stadi della sua vita, quando nel
suo corpo si manifestarono molte fasi
yoga, per giorni non bevve nemmeno una goccia d’acqua; finché non cessavano i
processi yoga non sentiva alcun bisogno di mangiare. In quei giorni di digiuno
completo o parziale appariva luminosa e serena, agile e piena di salute e
vigore come sempre.
Già da piccola
seguiva una dieta molto limitata. Per cinque mesi mangiò pochissimo, e solo a
notte fonda. Per otto o nove mesi prese soltanto tre bocconi di riso di giorno e
tre di notte. Per cinque o sei mesi visse di un po’ di frutta e acqua solo due
volte al giorno. Vi furono periodi in cui passava cinque o sei mesi mangiando
solo un po’ di riso due volte la settimana. Altre volte bastavano pochi frutti.
Dal 1926 non poté
più mangiare con le proprie mani. Ogni volta che cercava di portare del cibo
alla bocca, la stretta s’allentava e gran parte del cibo le scivolava dalle
dita. Questo non era attribuibile ad alcuna malattia. Fu allora disposto che la
persona che doveva imboccarla dovesse darle tanto cibo quanto se ne poteva
prendere con le punte di due dita, una volta di giorno e una volta di notte.
In questo modo
passarono quattro o cinque mesi. A giorni alterni beveva anche un po’ d’acqua.
Per cinque o sei mesi prese tre chicchi di riso bollito la mattina e tre
chicchi la sera, e due o tre frutti maturi che erano caduti naturalmente dagli
alberi. A volte accadeva che al cibo fosse permesso di toccare appena le sue
labbra e poi veniva fatto cadere. Per due o tre mesi mangiò tanto cibo quanto
se ne poteva mettere nella sua bocca per il tempo di un respiro. Per otto o
nove mesi prese soltanto cinquanta grammi di riso e dal mischiati
insieme e bolliti in un pentolino sul fuoco sacrificale, oppure una piccola
quantità di zuppa vegetale mista a riso bollito. Per molti giorni consecutivi
prendeva solo un po’ di latte e uno o due pezzi di pane non lievitato. Bisogna
anche dire che per molti giorni di fila rimaneva senza mangiare.
Dopo aver rinunciato
completamente a mangiare riso, non poteva neppure riconoscerlo. Una volta a
Shahbag vi era una servitrice kabar (di bassa casta) che stava mangiando
del riso. Quando la vide, Sri Ma disse sorridendo: “Che cosa sta
mangiando? Come mastica e inghiotte bene! Anch’io mangerò con lei”. Un giorno
vide un cane che mangiava del riso, e improvvisamente cominciò a dire: “Voglio
mangiare, voglio mangiare”.
Se questi impulsi
venivano ostacolati, era solita buttarsi a terra per qualche tempo come una
bambina petulante. Una volta Sri Ma disse spontaneamente: “L’uomo cerca
di rinunciare alle vecchie abitudini. I miei modi, però, sono completamente
differenti. Io devo trovare dei mezzi per ristabilire le mie vecchie abitudini.
Dovete sfamarmi con tre chicchi di riso bollito ogni giorno, altrimenti perderò
l’abitudine di mangiare riso, proprio come ho dimenticato ad usare le mie mani
per mangiare”.
Le persone che le
davano da mangiare dovevano stare attente a non darle una particella di cibo in
più di quello che voleva. Esse dovevano condurre una vita pura di
autocontrollo. Gli utensili per mangiare e cucinare dovevano essere tenuti
scrupolosamente puliti e puri, altrimenti non avrebbe inghiottito il cibo,
avrebbe girato il viso da un’altra parte o si sarebbe alzata automaticamente.
Era solita dire: “Non c’è differenza tra questo corpo e un pezzo d’argilla.
Posso mangiare del cibo messo per terra o in qualunque altro posto, in
qualunque modo vi piaccia; ma l’osservanza dell’igiene, della pulizia, delle
altre regole e dei doveri sociali è necessaria alla vostra istruzione, perciò
questo corpo segue automaticamente quelle regole”.
Durante i lunghi
periodi d’astinenza dai normali quantitativi di cibo, Sri Ma non si
tirava indietro dai suoi soliti doveri domestici né il suo corpo perdeva la sua
naturale bellezza. In seguito tutte le attività della sua vita familiare
cominciarono gradualmente a diminuire. Quando cercava di fare qualche lavoro di
casa, il suo corpo cessava di funzionare e rimaneva stesa a terra, quasi
paralizzata. A volte si bruciava le mani o i piedi nel fuoco della cucina,
altre volte si feriva in diversi modi, ma non era consapevole di questi
incidenti.
Sri Ma dice: “Nessuno può rinunciare all’azione con
la forza della sua volontà. Ogni azione cessa automaticamente quando il proprio
karma è esaurito”.
Dal maggio 1926 le
rigorose regole riguardanti la sua dieta furono man mano allentate. Quello che
mangiava era, dopotutto, veramente poco; si poteva considerare la razione di un
bambino! Aveva smesso di mangiare con le proprie mani da quattro o cinque anni
quando alcuni devoti espressero il desiderio di vederglielo fare di nuovo. Su
loro richiesta Ella acconsentì a provare e sedette con i piatti davanti. Dopo
aver messo un po’ di cibo in bocca, ne diede agli altri e gettò il resto per
terra. Non poté mangiare. Nessuno le chiese più di mangiare con le proprie
mani. Ella disse: “Considero mie tutte le mani; di fatto mangio sempre con le
mie mani”.
Fin dall’infanzia
tutti notarono la sua abilità e precisione nei lavori domestici, nell’arte di
cucinare, e il suo modo grazioso d’intrattenere gli ospiti. Qualunque cosa
facesse, era fatta alla perfezione. Poteva filare magnificamente e tessere al
telaio. I suoi lavori di cucito, quelli fatti a maglia o quelli di canne
intrecciate erano superbi e mostravano un’intelligenza e un’abilità straordinarie.
Se vedeva altri incapaci di fare un lavoro, andava in loro aiuto, e con loro
sorpresa lo portava facilmente a termine. Le pietanze preparate da lei erano
deliziose, perciò ogni volta che c’era una festa le veniva sempre chiesto di
dirigere la cucina.
La Madre provava
grande gioia nel distribuire cibo a tutti – grandi e piccoli. Per soddisfare
gli altri dimenticava di mangiare e tutti gli altri bisogni personali. Una
volta venne a Shahbag un sadhu del Gujarat. Con il bordo del suo sari
Ella pulì con cura il seggio del sadhu e lo intrattenne con la sua
solita umiltà e dolcezza. Il cibo gli fu servito in maniera così perfetta che,
in un certo senso, sembrava come santificato dal suo grande amore e dal suo
spirito di servizio disinteressato. Congedandosi, il sadhu disse: “Oggi
ho preso il cibo dalle mani della Madre dell’Universo. Mai nella mia vita sono
stato servito con tanta premura e purezza”.
Finché poté cucinò
per tutti i suoi figli-devoti e servì loro il cibo con affetto materno. Il prasad
ricevuto dalle sue mani suscitava una gioia senza precedenti nei cuori dei
suoi devoti. Durante la distribuzione del prasad accadevano molti
incidenti misteriosi. Un giorno la moglie del defunto Niranjan Roy portò
delle arance per Sri Ma. La Madre stessa le distribuì, perché ciascun
presente aveva esclamato: “Voglio il prasad dalle mani di Mataji”. Le
arance erano poche e i devoti erano molti. Era chiaro che le arance non
sarebbero bastate. Le vie di Sri Ma sono però imperscrutabili: ciascuno
ricevette un’arancia e non ne rimase neppure una. Un altro giorno era stato
organizzato un kirtan a casa di Niranjan, a Dacca. Fu preparato da
mangiare per circa cinquanta, sessanta persone, ma il numero degli ospiti
arrivò ad almeno centoventi. Sri Ma lo notò e durante la distribuzione
del cibo rimase nell’angolo della stanza dov’erano tenute le vivande. Quando
tutti finirono di mangiare, si accorsero che ne era rimasto ancora.
All’ashram
arrivavano in abbondanza cibo e vestiti, come offerte a Sri Ma. Dopo
aver preso una piccolissima parte del cibo offerto o dopo aver tenuto addosso
per un attimo un pezzo di stoffa, Ella distribuiva tutto tra i presenti; dopo
rideva con gioia. La gente le offriva ornamenti preziosi d’oro e d’argento,
braccialetti di conchiglie e di vetro, e molte altre cose. A volte questi
ornamenti le venivano messi sulle braccia. Lei riceveva tutte le cose, grandi e
piccole, preziose o insignificanti, con uguale grazia. Mai però si preoccupò
di chiedere chi le avesse donate o che cosa ne sarebbe stato di quelle cose.
Molti ornamenti furono distribuiti e quello che rimase, del valore di circa
mille rupie, fu sciolto e usato per preparare ornamenti per le divinità
dell’ashram.
La Madre non aveva
mai più di due cambi di sari da indossare e spesso ne dava via uno; ma
succedeva che, non appena lo donava, le veniva offerto un altro sari.
Quando da Dacca
andavo a Calcutta, ero solito alloggiare in casa di Sri Jnanendra Nath Sen, che
per me era più di un fratello maggiore. Sua moglie, la defunta Hiranmayi Devi,
mi considerava un fratello minore. Era un’anima gentile, molto rara, dotata di
straordinaria semplicità, purezza, devozione al marito, e una sensibilità non
comune che la rendeva cara tanto agli ospiti che ai membri della sua famiglia.
Attratta dalla sua bontà, in certe occasioni Sri Ma soleva andare a
farle visita.
Una volta andai a
trovare Sri Ma mentre stava a Kalighat. Un devoto le aveva fatto
indossare un sari di una rinomata fabbrica di Dacca. Sri Ma sarebbe
dovuta andare a casa di Jnan Babu. Informato che Mataji si sarebbe fermata da
qualche altra parte lungo la strada, andai avanti. Comprai un sari di qualità
media, sperando che in casa di Jnan Babu le fosse donato quel nuovo sari e che
lei lasciasse, naturalmente, quello più fine e costoso alla moglie di Jnan
Babu. Non parlai ad alcuno della mia intenzione.
Sri Ma arrivò a casa di Jnan Babu, ma vidi che
indossava un comunissimo sari, perché quello buono della fabbrica di Dacca che
indossava prima era stato lasciato nel luogo visitato lungo la strada. Rimasi
sorpreso, e Sri Ma rideva ogni volta che mi guardava. Nessuno dei
presenti riusciva a comprendere il perché del suo riso. In seguito le
confessai con quale sciocco scopo avevo comprato il sari.
Prima ho fatto
qualche esempio della straordinaria e austera dieta di Sri Ma; si
possono però citare alcuni episodi in cui consumò quantità enormi di cibo.
Per otto o nove mesi
aveva mangiato ogni giorno solo 50 grammi di riso misto a dal, bollito
in un pentolino sul fuoco sacrificale; così un giorno fu stabilito che dovesse
mangiare una quantità normale di cibo. Tutti insistevano perché mangiasse di
più; allora Mataji chiese che le fosse portato tutto il cibo che era stato
preparato, sufficiente per otto o nove persone, e lo mangiò tutto. In un’altra
occasione mangiò sorridendo da sessanta a settanta puri e una quantità
proporzionata di dal e vegetali, seguita da una grande ciotola di riso bollito
nel latte. Una volta mangiò del budino di riso fatto con circa 15 litri di
latte e, quando lo ebbe finito, esclamò: “Ne voglio di più; vi prego, datemi
ancora del budino”. Secondo un’usanza popolare, alcune gocce del piatto con il
dolce furono spruzzate sul sari che le copriva la testa, per paura che
l’influenza del malocchio della gente che aveva assistito all’evento potesse
causare alla Madre qualche malattia. In seguito si scoprì che i punti in cui
erano cadute le gocce sembravano bruciati dal fuoco.
Pochi minuti dopo
avere ingerito del cibo in quantità spropositata si poteva vedere sul suo
volto un’espressione straordinaria. In quelle occasioni soleva dire: “Mentre
mangiavo non sapevo che stavo ingoiando tutto quel cibo. L’avete detto voi. In
quel momento avrei ingoiato qualunque cosa mi aveste offerto, buona o cattiva,
anche erba e foglie”. Dopo queste mangiate non furono mai notati disordini
fisici. Faceva spesso molte strane gesta che le passavano per la mente ma, per
quanto anomale, non causavano alcuna conseguenza.
Come le offerte a
Dio santificate da mantra, fiori, pasta di sandalo e simili, e dedicate
con sincerità, riempiono la mente di un senso di pace, allo stesso modo i doni
fatti a Sri Ma offerti con devozione sincera danno al devoto gioia e
un’immensa soddisfazione. Abbiamo visto che accettava come un tesoro cose
comuni e insignificanti come il riso soffiato, il riso grezzo e dei frutti
comunissimi. Mangiava con grande piacere del comune curry vegetale senza sale o
del riso bollito nel latte senza zucchero; dalla pienezza del suo cuore
invitava anche i presenti a condividere il piacere del mangiare. Al contrario,
in molti casi la sua bocca si serrava al primo contatto quando venivano portati
alle sue labbra cibi rari e rinomati procurati con grande difficoltà.
Il defunto Sri Tarak
Bandhu Chakravarty, ex ispettore scolastico che viveva a Gandaria, vicino a
Dacca, dopo aver fatto a piedi circa cinque miglia, arrivò con alcuni puri dolci
preparati a casa, con il latte della sua mucca. Quando giunse non era ancora
l’alba. Sri Ma era ancora a letto. Come un bimbo impaziente l’uomo anziano
gridò: “Ma, Ma, ti ho portato dei dolci preparati con grande cura; non
vuoi mangiarli?”.
Mataji si mise a
sedere sul letto e senza lavarsi nemmeno il viso, la bocca o le mani, cominciò
subito a mangiare i dolci dalle mani dell’anziano. Ella batteva le mani con
piacere, mentre lacrime di gioia e gratitudine scendevano sulle guance di Tarak
Bandhu.
Un altro giorno Baby
(Sailabala Basu, moglie di N. K. Basu di Malkhanagar) si stava recando da
Mataji con dei dolci che aveva preparato lei stessa. Quand’era a circa mezzo
miglio di distanza, improvvisamente Sri Ma rise forte e disse: “Stanno
arrivando dei dolci per me”, e sedette come una bambina impaziente di
mangiarli. In certe occasioni, all’arrivo di qualcuno esclamava: “Tira fuori
quello che hai portato per me”. Nel ricevere i doni esprimeva la sua meraviglia
con molte battute allegre e scherzose. D’altra parte non erano rare le volte in
cui alcuni dovevano aspettare a lungo con le loro offerte, senza che Sri Ma si
curasse neppure di guardarli.
Una volta fui
costretto a letto da una grave malattia. Ad un tratto mi venne il desiderio di
mandare del khir a Sri Ma. Quando fu pronto ne assaggiai un po’
per vedere se era stato preparato bene. Mia sorella maggiore Rasamoyi Devi, che
era presente, disse: “Non possiamo mandare questo khir a Sri Ma. Il
cibo assaggiato prima dagli uomini non può essere offerto alla divinità”.
Risposi: “Per favore, mandatelo”. Venni a sapere in seguito che Sri Ma l’aveva
mangiato tutto.
Un’altra volta dissi
a mia moglie: “Ti prego, prepara del cibo sattvico per la Madre”. Fu
preparato con riluttanza e mandato a Sri Ma. Venimmo a sapere che non
l’aveva neppure toccato.
Abbiamo visto spesso
che le persone che, con grande amore e devozione per Sri Ma, aspettavano
a distanza e le offrivano in silenzio i loro migliori sentimenti, percepivano
le sue benedizioni nei recessi più profondi dei loro cuori. C’erano altri che
portavano un gran numero di offerte, pregavano e versavano lacrime per ottenere
la sua grazia, ma non ricevevano né istruzioni né la sua attenzione. Ognuno
riceve una risposta secondo la sincerità e l’intensità della sua devozione. Le
sue benedizioni non dipendono dalla natura delle cose materiali che le si
offrono.
Tutte le persone –
uomini e donne, religiosi e atei, ricchi e poveri, giovani, vecchi e anche
bambini – hanno libero accesso a lei. Spesso la si sente dire ridendo: “Perché
mormorate riguardo al tempo e alle possibilità di vedermi? Non vedete che le
mie porte sono sempre aperte? Anche se, distratti dalle attrazioni illusorie
del mondo, vi dimenticate spesso di questa vostra piccola figlia, sappiate per
certo che le vostre preoccupazioni e le vostre tribolazioni sono sempre davanti
ai miei occhi”.
Nulla appare strano
a Sri Ma, che guarda ogni cosa senza servirsi degli occhi fisici, che
può leggere tutti i pensieri senza l’ausilio delle parole, che pur vedendo e
udendo tutto si muove come chi vola molto in alto, totalmente disinteressata
agli affari di questo mondo e tuttavia a vivo contatto con essi.
Dimentica della fatica
o del suo benessere personale, sembra stare giorno e notte in attesa di tutti
gli uomini, siano essi nello sconforto o nell’agio.
La gente si accalca
intorno a lei dalla mattina presto fino a notte fonda. Alcune persone le
dipingono il segno rosso sulla fronte, altre le accomodano i capelli, altre
ancora si offrono di farle un bagno o di lavarle il volto e la bocca, o di
pulirle i denti con un dentifricio. Alcune chiedono il permesso di cambiarle il
sari, altre esprimono il desiderio di metterle in bocca dei dolci o un pezzo di
frutta, alcune le sussurrano nelle orecchie le loro preghiere segrete, altre
desiderano avere con lei un colloquio privato. Alcune possono essere così
coraggiose da disperdere la folla che la circonda, dicendo: “Prego, allontanatevi,
non disturbate la Madre in questo modo”.
Pensate a Sri Ma!
Ora dopo ora, giorno dopo giorno, Ella siede pacifica nella sua sublime maniera
in mezzo a tutto questo rumore e trambusto, assalti e zuffe. Rimane ferma e
immobile con il volto traboccante di gioia, rispondendo alle varie domande o
preghiere con una grazia così dolce che l’intera atmosfera è carica di felicità
e beatitudine divina. I cuori delle persone riunite intorno a lei non sono
forse tutti ugualmente attratti dalla sua dignità, ma i suoi sguardi dolci e
compassionevoli cadono con uguale tenerezza su tutti gli esseri umani come i
raggi dorati del sole dell’aurora. Non c’è mai stato nessuno che si sia
allontanato dalla sua presenza in preda alla disperazione o alla tristezza.
Sri Ma dice: “Il mondo di Dio è fatto sia da quelli
che comprendono la Sua natura sia da quelli che non la comprendono. Ciascuno
deve avere il giocattolo che desidera”. Per questa ragione nessuno ancora ha
potuto dire: “La Madre non è mia, ma vostra”. Chiunque abbia avuto la fortuna
di essere intimamente a contatto con lei, deve aver sentito: “La Madre è mia e
solo mia”. Molti le hanno dischiuso le profondità dei loro cuori e hanno
ricevuto nuova speranza e pace.
Comprendere il lila
di Sri Ma è oltre il nostro potere. L’abbiamo vista rispondere allo
stesso modo, con uguale partecipazione, alle contrastanti emozioni di gioia
per la nascita di un figlio e di dolore per la morte di un bambino. L’abbiamo
vista piangere con una madre in lutto e ridere gioiosamente con una persona
felice. Queste emozioni contrastanti trovano in lei una sintesi meravigliosa.
L’abbiamo vista usare dolci e rasserenanti parole di conforto con le persone
afflitte che imploravano le sue benedizioni, mentre ritirava i piedi dalla loro
stretta. Ella sembra non interessarsi di chi giace prostrato a lungo ai suoi
piedi. Un giorno, una donna che aveva perso suo figlio cadde ai piedi di Ma piangendo
disperatamente. Mataji cominciò a piangere e a versare lacrime così
profusamente, mentre abbracciava la madre in lutto, che quest’ultima dimenticò
tutti i suoi guai; anzi, si preoccupò così tanto del pianto di Sri Ma, che
esclamò: “Consolatevi, Madre, non piangerò più per la morte di mio figlio”.
Molti di noi hanno trovato immensa gioia semplicemente guardandola, toccando la
polvere sotto i suoi piedi o ascoltando le sue dolci parole, che suscitano nei
nostri cuori un flusso di pensieri e sentimenti puri.
Un giorno un mio
amico, che era tornato da poco dall’Inghilterra con la mente satura di idee
occidentali, andò a vedere Ma su mia richiesta. Mi disse che non appena
la vide, il mantra che aveva ricevuto dal suo guru molto tempo prima di
partire per l’estero, e che lui aveva quasi dimenticato, gli ritornò vivo nella
memoria. Vi sono molti esempi che mostrano come, sedendo ai suoi piedi, la
gente acquisiva il potere della concentrazione e della devozione che gli
permetteva di adorare Dio e di contemplare il Divino.
Molti sono avanzati
sul sentiero spirituale avendola come ideale da seguire con tutto il cuore, con
un sacro riguardo per la sua persona. Al tempio di Siddheshvari, quando Sri
Ma era in trance, una ragazza di sedici o diciassette anni fu presa dallo
stupore e dalla gioia e l’abbracciò. A quel contatto la ragazza fu sopraffatta
dall’estasi e rotolò a terra ripetendo continuamente: “Hari, Hari”. Questo
stato di beatitudine continuò per tre o quattro giorni.
Abbiamo sentito
anche che alla vista di Sri Ma o al tocco delle sue mani molti si sono
pentiti degli errori passati e sono avanzati lungo il sentiero spirituale. In
una grande città dell’Uttar Pradesh, una signora rispettabile, moglie di un
alto funzionario statale, andò a vedere Mataji. Dopo essere rimasta seduta per
qualche tempo accanto a lei, si pentì profondamente di alcuni peccati passati e
quando tornò a casa confessò le sue colpe al marito, chiedendogli di ucciderla
e porre fine alla sua condotta viziosa. Venuta a conoscenza di questo, la Madre
fece chiamare moglie e marito e trovò il modo di ristabilire il loro normale
rapporto familiare. È risaputo che le persone generalmente disprezzate da tutti
come peccatori, potevano avere facile accesso a Sri Ma ed erano indotte
ad abbandonare la cattiva strada. Mataji dice sempre: “Desidero specialmente
quelle persone che non hanno un aiuto che le sostenga lungo la via del bene”.
Non sono rari gli esempi di persone completamente ignoranti della vita spirituale
che hanno sentito il bisogno di progredire grazie a un’attitudine d’abbandono a
lei. D’altro canto, molti eruditi pandit o adepti nelle diverse pratiche
religiose sono rimasti con lei per alcuni giorni e sono ripartiti pieni di sé. Sri
Ma dice: “Nulla avviene se non arriva il momento stabilito. Ognuno ottiene
quel che merita”.
Durante i kirtan trovavamo
animali quali cani e capre a stretto contatto con il corpo della Madre, con le
teste sul suo grembo o che le giravano intorno e mangiavano le briciole dei
dolci sparsi al termine del kirtan, cercandoli come gli uomini. Furono
visti strisciare intorno a lei anche dei serpenti velenosi. Un giorno Girijaprasanna
Sarkar vide un serpente ritto sulla testa di Sri Ma, che sedeva sotto un
albero nel terreno di Siddheshvari, sebbene lo spazio intorno fosse pulito e
spoglio. In casa di Niranjan Roy un serpente seguì di Sri Ma in una
stanza al primo piano illuminata dalla corrente elettrica.
Quello che dice Sri
Ma è così universale e bello che nelle sue parole ognuno trova espressi i
propri desideri e le aspirazioni più nobili. Ogni singola frase che proviene
dalle sue labbra illumina naturalmente un nuovo orizzonte eterno e glorioso.
Ella non entra mai in argomentazioni o discussioni complesse, né dà
volontariamente istruzioni o comandi ad alcuno. Ognuno ottiene da lei tanto
quanto suscita l’intensità del suo amore e della sua devozione.
Vi sono stati molti
casi in cui persone che s’avvicinavano a lei con i loro problemi, trovavano con
sorpresa le risposte a dubbi e difficoltà nel corso delle conversazioni della
Madre con altri. Una volta Sri Ma andò a Baidyanath Dham, e Brahmachari
Balanandaji le disse: “Ma, apri per noi lo scrigno del tuo tesoro”. La
risposta fu: “È sempre aperto a tutti”.
Alcuni suoi detti
sono stati pubblicati in un libretto chiamato Sad Vani; pochi
altri sono annotati di seguito. Nei discorsi di tutti i giorni, sotto forma di
parabole e consigli dati con il sorriso, Ella esprime idee e pensieri sulla
vita e sulla religione che, se raccolti in un volume, costituirebbero un
meraviglioso tesoro spirituale. Sri Ma prende ad esempio i piccoli
incidenti della vita quotidiana per esprimere le verità sublimi e i principi
della condotta umana. La nostra piccola unità sociale è solo una parte
dell’immensa famiglia dei mondi; tutti gli esseri che dimorano qua sotto, tra
le tempeste e i problemi della vita, stanno cercando il Maestro infinito della
creazione: sono verità che trovano sempre espressione attraverso le sue
parole, i sorrisi, i canti, gli inni e tutti i suoi dolci modi di vita. Quello
che dice o fa è pieno di suggerimenti per la nostra guida e può essere
applicato alla nostra condotta, sia nelle cose del mondo sia nella vita
religiosa. Fare di una delle sue tante virtù l’ideale della nostra vita
basterebbe a condurci alla realizzazione del Sé. Ella sembra avere assunto un
corpo fisico per il bene degli uomini, per coloro che desiderano progredire
spiritualmente, per aiutarli ad affrancarsi dalle angosce e dalle sofferenze
che li tengono incatenati qui per ere.
Il tema centrale di
tutte le sue parole ed espressioni è questo: “Vita e religione sono una sola
cosa”. Tutto quello che fate nella vostra vita, il lavoro quotidiano e le
attività di svago, tutti gli sforzi per guadagnarvi da vivere, devono essere
fatti con sincerità, amore e devozione, con la ferma convinzione che vivere
veramente significa mettere in sintonia la propria esistenza spirituale con
l’universo. Per produrre questa sintesi, la cultura religiosa deve diventare
facile e naturale come mangiare e bere quando abbiamo fame e sete.
Mataji dice: “Compi
i doveri quotidiani della vita con amore, sincerità e buona volontà e cerca
d’elevarti passo dopo passo. Fa’ che in ogni
attività umana vi sia un contatto vivo con il Divino e non dovrai
lasciare nulla. Il tuo lavoro sarà fatto bene e sarai sulla buona strada per
trovare il Maestro. Come una madre nutre il figlio con ogni possibile attenzione
ed affetto, aiutandolo a diventare prima un ragazzo sano e poi un bel giovane,
allo stesso modo scoprirete il tocco sottile della Madre Divina modellare la
vostra vita interiore e farvi realizzare tutta la vostra statura. Qualunque
cosa dobbiate fare, fatela con unicità d’intento, con tutta la semplicità, la
soddisfazione e la gioia di cui siete capaci: soltanto così sarete in grado di
raccogliere i frutti migliori del lavoro. Nella pienezza del tempo, le foglie
secche della vita cadranno naturalmente e ne verranno fuori altre nuove”.
Abbiamo udito spesso
Sri Ma dire che quando era solita attendere ai suoi doveri domestici era
pienamente assorta nel lavoro e non aveva il minimo pensiero riguardo ai
vestiti, al cibo o al corpo. Si dedicava totalmente al compito che le era stato
assegnato ed eseguiva gli ordini dei più anziani con cura scrupolosa. I vicini
dicevano: “Questa ragazza appena sposata manca di senso pratico”.
Sri Ma dice: “Come vi è un orario stabilito per il
lavoro a scuola, in ufficio e nei negozi, così ogni giorno dovremmo mettere da
parte alcuni minuti per la contemplazione divina, preferibilmente la mattina e
la sera. Bisogna prendere la ferma risoluzione di dedicare un po’ di tempo a
Dio per tutta la vita. Durante questo periodo non bisogna permettere ad alcuna
attività del mondo d’interferire con la contemplazione di Dio. Un tempo
stabilito per la preghiera o la meditazione va concesso a tutti i membri della
famiglia, inclusi i servitori. Se questa pratica sarà continuata a lungo, la
contemplazione divina diventerà parte della vostra natura. Una volta stabilita
l’abitudine, il corso futuro della vostra vita sarà più facile. Sentirete il
flusso misterioso della grazia divina nutrire i vostri pensieri e darvi nuova
forza. Dopo anni di duro lavoro riceverete una pensione, e non dovrete più
lavorare per vivere. Nel regno spirituale la ricompensa per il lavoro sincero,
disinteressato e ben fatto è molto più grande e può essere ottenuta più
facilmente.
“La pensione terrena
termina con la vostra vita, ma la pensione divina continua a lungo dopo la
morte. Coloro che accumulano denaro lo mettono in un luogo segreto della loro
casa, di tanto in tanto vi aggiungono quel che possono risparmiare e tengono
continuamente d’occhio il loro tesoro. Riservate anche voi un angolo della
mente e del cuore a Dio e trovate sempre il modo d’incrementare la vostra
riserva praticando l’invocazione del Suo nome, facendo qualche opera pia o
nutrendo pensieri divini”.
Un giorno Sri Ma stava
mostrando i vari modi di salutare Dio, e disse: “Quando v’inchinate a Dio
abbandonatevi completamente con sincera devozione e otterrete gioia e potere
in proporzione. Se non potete fare altro, almeno la mattina e la sera, al
momento stabilito, prostrate il corpo, la mente e la vita davanti a Lui in
segno di saluto e d’abbandono, e pensate a Lui almeno un po’”. A questo
proposito aggiunse: “Vi sono due tipi di pranam: offrire a Lui tutto il
corpo e la mente con tutti i pensieri, i desideri, le impressioni, l’amore,
l’affetto, la devozione: come svuotare il contenuto di un’anfora piena fino
all’ultima goccia. L’altro modo è come spargere cipria attraverso i fori del
contenitore: la maggior parte dei pensieri e desideri vengono trattenuti in una
camera nascosta della mente, e quel che passa è solo un po’ di polvere”.
Quando Pramatha Babu
venne trasferito da Dacca come direttore generale delle Poste, si recò da Sri
Ma per salutarla. Mataji gli disse: “Chi saluta chi? Tu t’inchini al tuo
Sé”. Udendo questo, egli fu pieno di gioia e stupore.
Una volta il
professore Atal Behari Bhattacharji s’ammalò a Shahbag, durante le vacanze del puja.
Egli desiderava intensamente che Sri Ma andasse da lui e gli
massaggiasse la testa dolorante come faceva sua madre. Mataji andò e passò le
sue mani sul suo corpo, dalla testa ai piedi. Quando si ristabilì tornò a
Rajshahi, dove lavorava. Alcuni giorni dopo, a Shahbag si parlò di questo
episodio. Osservai: “Quell’uomo non ha un minimo di buon senso; anche la sua
intelligenza è limitata. Non riesco a capire per quale motivo abbia voluto che Sri
Ma gli facesse quel lavoro durante la malattia”. Mataji udì la mia
osservazione e il suo viso cambiò colore. Disse: “Devo massaggiarti i piedi?”,
ed avanzò verso di me. Cominciai ad allontanarmi, mentre Sri Ma mi
seguiva. Pitaji intervenne e la fermò. Ricordo ancora il viso di bambina di Sri
Ma risplendente d’affetto materno, sempre pronta a nutrire, calmare e
servire tutti i suoi figli. In quel momento Sj. Shashanka Mohan Mukherji gridò:
“Ma, Ma”, e cadde ai suoi piedi.
A questo proposito Sri
Ma disse: “Come il corpo umano ha diverse parti quali la testa, le mani, le
cosce, i piedi e le dita, così vedo che voi tutti rappresentate le mie diverse
parti. Voi tutti appartenete ad un unico corpo, e ciascuno svolge funzioni di
uguale importanza”.
In una diversa
occasione, il compianto Nirmal Chandra Chatteili di Varanasi offrì dei fiori ai
piedi di Sri Ma. In quel momento passò un uomo che portava dei fiori in
un cesto per fare l’adorazione della sua divinità da un’altra parte. Mataji
raccolse i fiori che le erano stati offerti ai piedi e li mise nel cesto.
Nirmal Babu le chiese perché l’avesse fatto. La sua risposta fu: “Tutti adorano
un solo Essere, tutte le mani e i piedi appartengono ad un Unico Corpo”.
In un’altra
occasione la vidi battere il terreno con un pezzetto di bambù, e una mosca
rimase uccisa accidentalmente. Con grande cura e sollecitudine Sri Ma la
raccolse e la tenne nel pugno chiuso. Erano presenti molte persone. Trascorsero
quattro o cinque ore in conversazione. Infine Sri Ma aprì il
pugno e mi disse: “Puoi fare qualcosa per il bene di questa mosca che è passata
all’altro mondo?”. Risposi: “Ho sentito dire che nel corpo dell’uomo c’è il
paradiso”, e così dicendo ingoiai la mosca.
Mataji cominciò a
ridere e disse: “Che cosa hai fatto? Non s’ammala un uomo se mangia una
mosca?”. Risposi: “Se grazie alla tua benevolenza la mosca avrà una vita
migliore, nessun danno potrà venire a me”. Non mi ammalai.
Riferendosi a questo
episodio, Sri Ma disse: “Insetti, mosche, ragni e uomini appartengono
tutti ad un’unica famiglia. Nessuno sa cosa erano, sono o saranno, e come sono
legati l’uno all’altro”.
Avevo un amico
musulmano molto religioso, il compianto Moulvi Jainuddi Hossain. Passava quasi
tutto il suo tempo nella contemplazione divina. Un giovedì sera andai a Shahbag
insieme a lui e a Niranjan. Il kirtan era in pieno svolgimento nel nat-mandap
(una veranda aperta di fronte al tempio). Noi tre rimanemmo a distanza
sotto un albero, così da non essere visti dal luogo del kirtan. Dopo
circa mezz’ora, con nostra sorpresa, vedemmo Sri Ma uscire
improvvisamente dalla veranda seguita da alcuni devoti con una lanterna. Con
passo svelto venne verso di noi, toccò il mio amico con la mano destra e
continuò a camminare. Tutti e tre la seguimmo. In un angolo di Shahbag vi era
la tomba ben conservata di un santo musulmano. Sri Ma andò là e assunse
le posizioni che prendono di solito i musulmani quando pregano, pronunciando
nel contempo tutte le parole particolari che essi usano. Anche il mio amico
musulmano si unì a lei. Tornati da lì, fu ripreso il kirtan e anche il
mio amico si mise a cantare con il gruppo, battendo le mani e muovendosi.
L’uomo incaricato di custodire la tomba quella sera non c’era, e quindi non
aveva acceso le candele o offerto i dolci come al solito. Seguendo le
istruzioni di Mataji il mio amico musulmano offrì dei batasha (dei dolci
fatti di zucchero bollito e pieni d’aria) alla tomba e accese delle candele.
Egli desiderava vedere Sri Ma mangiare dei dolci. Quando glieli portò su
un piatto, Mataji aprì la bocca ed egli vi fece cadere dentro alcuni dolci. Lui
stesso prese il prasad offerto al termine del kirtan. Era un
musulmano ortodosso, ma aveva un’alta stima di Sri Ma e, dopo quella
sera, nutrì per lei un profondo rispetto.
Su gentile richiesta
di una signora musulmana, Sri Ma fece il nemaz in quella stessa
tomba. La signora era una donna istruita e disse che vi era una straordinaria
corrispondenza tra quello che Mataji diceva e i testi sacri usati durante il nemaz.
Mataji raccontò: “Quattro o cinque anni fa, quand’ero a Bajitpur, ho visto il
corpo etereo di quel fachiro. Quando siamo venuti a Shahbag ho incontrato lui e
alcuni suoi discepoli. Era un figura forte, di discendenza araba”.
Informandoci, scoprimmo che era vero.
Una volta Sri Ma andò
a casa di Rai Bahadur Jogesh Chandra Ghosh. Quel giorno vi era un kirtan;
e osservammo in lei un improvviso cambiamento. A circa cento metri di
distanza sedeva al buio, inosservato, un giovane musulmano vestito come un
indù. Facendosi largo tra la folla Sri Ma raggiunse il giovane e
cominciò a cantare: “Allah, Alla-ho-Akbar”. Il giovane si
commosse fino alle lacrime e si unì a Sri Ma nella recita della solita
preghiera. In seguito ci disse: “La spontaneità e la purezza con cui Sri Ma invocava
il nome di Allah era al di là delle nostre migliori possibilità. Mai prima
d’allora avevo sperimentato tanta gioia come quella che provai quel giorno
pronunciando il nome di Dio insieme a Ma”.
Sri Ma introdusse il nome di Hari in una rispettabile
famiglia musulmana. Mentre recitavano il nome, i loro occhi si riempivano di
lacrime. Essi nutrivano grandissima stima per Sri Ma, che a questo
proposito disse: “Indù, Musulmani e tutte le altre comunità del mondo sono una
sola cosa. Tutti adorano l’unico Essere Supremo e invocano la Sua misericordia.
Kirtan e nemaz sono la stessa cosa”.
Sri Kali Prasanna
Kushari e sua moglie Srimati Mokshada Sundari Devi - sorella di Pitaji -
amavano moltissimo la Madre. In sua compagnia provavano grande gioia. Una volta
Sri Kushari venne a Dacca, ma alloggiava da un’altra parte. Dopo aver discusso
questioni religiose con Sri Ma stava per andarsene, e disse ridendo: “Ti
viene attribuito grande potere. Se hai questo potere, riducimi in cenere”.
Accese alcuni bastoncini d’incenso e partì per la sua destinazione con
l’incenso in mano. Pitaji e Mataji dovevano andare in un luogo diverso e
partirono insieme. Il sole era molto forte. Sri Kushari teneva il suo ombrello
sopra Sri Ma. I due camminavano avanti. Kushari sobbalzò all’improvviso
e gridò: “Sulla mia testa sta piovendo fuoco! Mi stai bruciando? È vero? Ti
prego, ferma il fuoco. Ho avuto ampia prova del tuo potere”. Con costernazione
vide che una parte dell’ombrello era bruciata.
In un’altra
occasione un signore pose dei fiori ai suoi piedi. Prendendone uno e indicando
i petali ricoperti di polline, alludendo al suo profumo e così via, Ella
illustrò gli aspetti fisici, astrali e spirituali della vita, facendo
comprendere agli ascoltatori il gioco eterno del Divino.
Sri Ma si muove continuamente da un luogo all’altro.
A questo proposito ha detto: “Vedo un grande giardino che s’estende in tutto
l’universo. Tutte le piante e gli animali, tutti gli esseri umani, tutti gli
esseri superiori si divertono in questo giardino in vari modi, e ciascuno ha la
propria unicità e bellezza. La loro presenza e varietà mi dà grande gioia.
Ognuno di voi, con la sua caratteristica particolare, contribuisce alla gloria
del giardino. Io mi sposto da un luogo all’altro dello stesso giardino. Non dovete
sentire la mia mancanza quando lascio la vostra parte di giardino per andare in
un’altra, per fare felici i vostri fratelli che stanno là”.
Verso la metà del
1931, mentre camminava nei campi di Ramna, Sri Ma disse: “La preghiera è
una parte essenziale della pratica religiosa. Il suo potere è irresistibile; la
preghiera redime la vita degli esseri umani. Tutti i pensieri e le emozioni che
sorgono nel vostro cuore devono essere offerti a Dio. Pregate per il Suo aiuto
in tutta sincerità e in uno spirito d’abbandono”. Proprio allora stavo leggendo
sul giornale che prima di venire in India come viceré e governatore generale,
lord Irwin aveva chiesto il parere di suo padre. Questi gli disse: “Non preoccuparti
degli eventi che verranno; non possiamo controllarli. Prega Dio, e potrai avere
un barlume del futuro”. Padre e figlio andarono in chiesa a pregare. Al ritorno
dalla chiesa, il padre disse: “Devi andare in India”. Il figlio confermò:
“Anch’io ho sentito la stessa cosa”.
Udito questo
racconto, Sri Ma disse: “È un buon esempio dell’efficacia della
preghiera. Bisogna avere fede profonda come un bambino. Con la pratica costante
le fondamenta della fede mettono radici nella mente; la preghiera sincera
scaturisce dal cuore. Attraverso la devozione si desta nell’anima il vero
spirito della preghiera e la grazia divina si manifesta nei risultati
desiderati”.
In un’altra
occasione disse: “Quando parlate di grazia divina (kripa), sottintendete
che qualcosa discenda sull’uomo senza una causa intelligibile. A suo tempo essa
viene di sua spontanea volontà. Vedete che un bambino dimentica sua madre
quand’è assorto profondamente nel gioco, ma spinta dall’amore la madre si china
su di lui e lo prende in braccio. La grazia divina benedice l’uomo allo stesso
modo. L’affetto di una madre si manifesta prima che il bambino abbia il tempo
di pensare a lei. Direte che le benedizioni sotto forma di grazia divina sono i
risultati delle buone azioni fatte nelle nascite precedenti. Da un certo punto
di vista può essere vero, ma da un altro punto di vista si può dire che, poiché
Dio è assolutamente libero dalle catene di causa ed effetto, non bisogna
indagare sui Suoi motivi. Sebbene la ricerca dei motivi ci turbi spesso, la Sua
misericordia discende equamente su tutti gli esseri. Quando un individuo
sviluppa una visione più alta, comincia a sentire il contatto divino. Prendete
rifugio in qualcosa e cercate di stare sempre in intimo contatto con Lui;
sentirete il libero flusso delle Sue benedizioni sulla vostra anima, come un
secchio pieno d’acqua viene fuori dal pozzo solo quando si tira la corda alla
quale è legato”.
A questo proposito
fecero a Sri Ma una domanda: “Può una persona che ha visto Dio farLo
vedere ad altri?”. Ella rispose che un uomo può avere la visione di Dio solo
quando il tempo è maturo. Chi ha quella visione può aiutare altri ad averla
solo fino ad un certo punto. La visione in sé è possibile solo attraverso la
grazia di Dio.
Un’altra volta vi fu
una discussione sulle vite passate. Sri Ma disse: “La rinascita è un
fatto. Non c’è dubbio su questo. Quando con un’operazione si rimuove la
cataratta dagli occhi, ritorna la vista; similmente, con la concentrazione
profonda sul Divino, quando il velo che oscura la visione viene rimosso e la
mente è purificata e focalizzata sul Sé, il significato dei mantra e
delle divinità di cui essi sono le forme sonore ci appare evidente e le
impressioni delle nascite precedenti balenano nella nostra coscienza. Come
stando a Dacca potete avere un’immagine mentale di quello che avete visto a
Calcutta, allo stesso modo potete proiettare un’intensa immagine grafica delle
vostre vite passate sul vostro schermo mentale di ora”. Aggiunse: “Quando vi
guardo, posso vedere una serie di immagini delle vostre vite passate”.
Una volta, a
Calcutta, un signore e sua moglie vennero a vedere Sri Ma con il loro
figlioletto di sette, otto anni. Vedendo il bambino Mataji osservò: “Nella sua
vita passata questo bambino è stato il fratello di questo corpo”. Uno dei
fratelli di Sri Ma era morto molto giovane; aveva subito una grave
ferita a un braccio, che era rimasto storto. Anche il bambino menzionato prima
aveva un braccio storto.
A volte Sri Ma mostra
un coraggio straordinario e un temperamento impetuoso. In lei non v’è traccia
di paura. Quello che vuole o dice deve essere fatto. Se i suoi pensieri e le
sue azioni possono fluire senza alcuna protesta od ostacolo, contribuiscono al
benessere dell’uomo. Se ostruiti, causano del male. Durante i suoi anni
giovanili esempi di questo tipo erano eventi comuni.
Quando aveva quattro
o cinque anni era solita recarsi dalla bisnonna con un recipiente, per andare a
prendere la cagliata. Un giorno riempì il recipiente fino all’orlo e questo
fece andare in collera l’anziana signora, che disse: “Mangi troppa cagliata
tutti i giorni! Oggi non ne avrai”. Non appena fu pronunciata questa minaccia,
l’anziana donna s’accorse con sgomento che nel vaso della zangola s’era fatto
un buco e che tutto il siero del latte usciva dalla fessura. Guardò stupefatta
il viso di Nirmala. Dopo questo incidente la invitava spesso ad andare a
prendere la cagliata, anche se arrivava in ritardo.
Abbiamo visto Sri
Ma diventare severa come il fulmine, anche se per natura è dolce e tenera
come un fiore. Una volta fu molto severa con me (perché parlavo senza
riflettere), e mi ordinò: “Vattene, non farti vedere!”. Un’altra volta le
disobbedii, e il risultato fu che per alcuni giorni lei rimase in silenzio.
In molti casi fui
così fortunato da ricevere un suo forte castigo. Se qualcuno fa qualcosa di
sbagliato e poi si pente, i suoi sguardi dolci e misericordiosi effondono una
grazia così ineffabile che la mente del trasgressore cambia completamente e
diventa pura e beata. Se invece a causa delle sue parole la mente viene scossa
dalla collera e dall’orgoglio, si sente un’angoscia terribile finché non ci si
pente. Una volta Pitaji si mise dalla mia parte e intercesse per me; Mataji
rispose: “Una punizione severa è accordata a coloro che sono in grado di
sopportarla. Se vuoi far cadere un albero, prima di tutto devi usare una scure;
dopo si possono usare un’accetta e un coltello per tagliare rami e ramoscelli.
Il castigo sarà dunque leggero o severo, come richiede il caso”.
La sua bontà si
manifesta in vari modi per confortare i malati e gli afflitti. In molte occasioni
ha detto: “Non faccio o dico nulla con un motivo o per un atto di volontà. I
vostri pensieri e desideri spingono questo corpo a dire o a fare cose per il
vostro bene. Vedo spesso quello che accadrà o non accadrà nel futuro, ma non
sempre le parole trovano il modo di uscire”.
I casi in cui
ragazzi e ragazze, uomini e donne hanno ricevuto aiuto e conforto direttamente
o indirettamente durante la malattia, nel commercio o nella libera professione,
durante gli esami o gli studi, nel matrimonio e così via, sono così numerosi
che non si possono menzionare tutti.
Per liberare gli
altri dai mali della vita, Ella ha fatto ferite nel proprio corpo e ha preso su
di sé le sofferenze dei malati. Casi del genere sono innumerevoli. Frequenti
sono stati i casi in cui richieste fatte da stranieri, trasmesse attraverso una
terza persona, producevano in lei un’immagine delle sofferenze mentre essi
venivano liberati dei loro mali. Sri Ma ci ha detto che quando ascolta
delle preghiere sincere per aiutare una persona in disgrazia, a questa giunge
una qualche forma di conforto. Molte persone l’hanno vista in sogno e hanno
sentito le sue benedizioni durante lutti o malattie.
I genitori di una
ragazza paralizzata chiesero a Mataji di curarla. Lei chiese alla ragazza di
rotolare sul pavimento. La ragazza non poteva muoversi; non poteva neppure
girarsi. Sri Ma stava tagliando a pezzettini delle noci di betel per
l’adorazione di una divinità. Ne gettò alcuni pezzi alla ragazza e le chiese
d’allungare la mano per prenderli. La giovane riuscì a prenderne alcuni con
grande difficoltà; dopo la famiglia partì. A casa sua la ragazza giaceva a
letto. Il pomeriggio seguente sentì il rumore di una macchina che passava;
all’improvviso saltò dal letto e corse verso di essa. Dopo questo fatto,
cominciò gradualmente a muoversi.
Un giorno sulla
strada di fronte al terreno di Ramna stava passando una carrozza. Sri Ma mi
chiese di fermarla e vi si accomodò. Il cocchiere, che era un musulmano,
chiese: “Dove volete andare?”. “A casa tua”, fu la sua pronta risposta. Senza
dire una parola ci condusse a casa sua. Una volta arrivati, trovammo un vecchio
che stava per morire; i congiunti piangevano al suo capezzale. Sri Ma mi
chiese di portare dei dolci, che furono distribuiti tra i presenti; poi andammo
via. In seguito venimmo a sapere che il vecchio si era ripreso.
Sri Ma ha anche altri modi per dare sollievo ai
sofferenti. Una volta ha chiesto ad un malato di chiudere gli occhi al
crepuscolo e usare qualunque cosa riuscisse a prendere con le mani. Seguendo le
sue istruzioni, questi si è ripreso. A volte chiede a un malato di mangiare il
cibo preparato per lei, mentre lei mangia quello preparato per lui. Nei casi di
febbre o di seri disturbi allo stomaco, i malati che seguono le istruzioni di Sri
Ma mangiano del cibo che i medici non considerano benefico, col risultato
che ritornano in un baleno al loro normale stato di salute.
Quando mio figlio
aveva quindici o sedici anni, soffrì di dissenteria per circa dieci, dodici
giorni. Una notte Sri Ma venne a trovarlo. Da quella notte cominciò a
migliorare e Mataji soffrì di dissenteria per alcuni giorni. S’è visto anche
che se qualche paziente era destinato a non riprendersi, avrebbe violato
volutamente le direttive della Madre; oppure, spinto dalle circostanze, non
sarebbe riuscito a seguirle. In questi casi il risultato finale si poteva
prevedere dai comportamenti di Mataji. Gli shastra indù dicono che i
risultati delle nostre azioni passate, di questa vita o delle vite precedenti,
possono essere neutralizzati solo dal buon lavoro costante fatto in questa vita
con l’aiuto della grazia divina. Il lavoro che suscita l’intervento divino è
però molto difficile da compiere, a meno che qualche santo mosso a compassione
non aiuti volontariamente tale sforzo.
Sri Ma dice: “Fino a quando vedete questo mondo
oggettivo, per voi la creazione esiste. Vi è conflitto finché prevalgono le
nozioni di tu ed io, felicità e dolore, luce e tenebre. Date enfasi alle azioni
che sono espressione della vostra vera natura, del vostro dovere innato come
esseri umani. Quando rinuncerete alle attività dettate dai sensi e dagli
stimoli esterni, il vostro Sé interiore (anteratman) si risveglierà.
Riuscirete allora a fissare lo sguardo sull’Essere Supremo e sarete liberati
dalla schiavitù della visione che percepisce il mondo della dualità”.
Durante l’infanzia
di Sri Ma le possibilità d’istruzione erano piuttosto scarse né lei vi
prestò molta attenzione. Era però sorprendente scoprire che le domande che le
ponevano gli esaminatori vertevano su quegli argomenti ai quali aveva prima
dato un’occhiata, e in classe era considerata un’alunna brillante. Non lesse
mai un libro di sua spontanea volontà né esercitò la scrittura; tuttavia le
basi della sua conoscenza apparivano piuttosto buone. Assimilava totalmente
qualunque cosa studiasse.
Un giorno chiese:
“Che cos’è l’Italia?”. Pochi giorni dopo un professore italiano di nome Tucci
andò a trovarla a Shahbag. Era in visita all’università di Dacca. Lo studioso
pose una domanda in inglese, che stavano per tradurle in bengalese, ma prima
che lo facessero ella diede la risposta giusta in sanscrito.
Molte volte le
abbiamo chiesto di darci un saggio della sua scrittura in bengali. Rispondeva:
“Non scrivo nulla di proposito. Quando verrà il momento lo avrete”.
Il 4 di ashar dell’anno
bengali 1337 (nel 1930) abbiamo fortunatamente avuto un suo scritto. Questa è
la traduzione:
“Tu, Essere Supremo, sei manifesto in tutte le forme:
questo universo con tutte le cose create, moglie, marito, padre, madre e figli,
tutti in uno.
“La mente dell’uomo è annebbiata dai legami del mondo;
ma non vi è motivo di disperarsi.
“Andate avanti con purezza, fede risoluta e ardente
zelo, e realizzerete il vostro vero Sé”.
Vi sono molte foto
di Sri Ma, forse diverse migliaia. La cosa sorprendente è che neppure
due sono simili. Sj. Subodh Chandra Dasgupta di Dacca e Sj. Shashi Bhushan
Dasgupta di Chittagong hanno fatto numerose foto. Nell’ottobre del 1926 Shashi
Bhushan venne a Dacca durante la festa del Durga puja e alcuni di noi
andarono con lui a Shahbag per fare una foto a Sri Ma la mattina presto.
Giunti là, ci
accorgemmo che nessuno sapeva dove fosse. Scoprimmo infine che stava in una
camera buia in uno stato di samadhi. Shashi Bhushan doveva lasciare
Dacca quello stesso pomeriggio, perciò desiderava fare una foto a Sri Ma quella
mattina stessa. Pitaji fu vivamente pregato di avvicinarla per avere il suo
permesso.
Lui stesso, con il
mio aiuto, portò Sri Ma all’esterno e la fece sedere per una posa,
mentre noi ci ritiravamo dal raggio della macchina fotografica. Ella era ancora
in uno stato di profondo assorbimento, con il corpo e le membra rilassati.
Temendo che si fosse mossa durante l’esposizione, Shashi Bhushan usò diciotto
lastre; poi partì per Chittagong. In seguito ci scrisse per dire che solo
l’ultima delle diciotto lastre aveva prodotto un buon ritratto; essa conteneva
una palla di luce simile alla luna posta sulla fronte di Sri Ma e, cosa
ancora più strana, la mia figura appariva dietro di lei. Cito un estratto dalla
lettera che Shashi Bhushan mi scrisse molto tempo dopo:
“Quando è stata
fatta la foto di Ma, ho caricato sei lastre alla volta e, in tre
sostituzioni, ho usato diciotto lastre. Nelle prime lastre non vi erano
impressioni; ciascuna lastra era coperta solo da una palla di luce. Le lastre
successive mostravano qualche lineamento indistinto. La figura di Ma è
venuta fuori in pieno risalto solo nell’ultima lastra. Tu eri lontano, da una
parte, oltre il raggio della macchina fotografica. Da lì mi hai dato il segnale
di scattare. Mentre facevo le foto mi sentivo nervoso, perché avevo il vago
sospetto che le cose non sarebbero andate bene, e questo mi causava molto
dispiacere. Quando ho esposto l’ultima lastra ho sentito un flusso di gioia
riempirmi il cuore. In quel periodo avevo appena cominciato ad avvicinare i
piedi di Ma come mio solo rifugio. In quei giorni l’incidente menzionato
sopra mi ha quasi distrutto”.*
Quando la foto
arrivò a Dacca, la gente sospettò un trucco realizzato dal fotografo durante lo
sviluppo. Sulla questione fu avvicinata Sri Ma, che si espresse così:
“Quando questo corpo
si trovava nella stanza buia, in uno stato di quasi totale rigidità, l’intera
stanza era inondata di luce. Quando avete portato questo corpo all’esterno, lo
splendore era lì, ma si era ridotto gradualmente ad una palla di luce sulla
fronte. Nella mia mente vi era l’impressione che in quel momento Jyotish si
trovasse dietro di me. Sta a voi giudicare cosa ha fatto venire la foto così
com’è venuta”.
*)
– La lettera era datata 5/5/37 dell’anno bengali (1931 d. C.).
A Dacca tutti
sentivano il bisogno di un ashram. Una volta andai a Shahbag in una notte
illuminata dalla luna, e Sri Ma disse: “Facciamo quattro passi in
giardino”. Pitaji, Mataji ed io uscimmo e sedemmo sull’erba vicino al luogo in
cui c’era un edificio in rovina (il sito attuale dell’ashram di Dacca). Con
grande umiltà dissi a Ma che Shahbag era proprietà del nababbo di Dacca
e, poiché lì non sarebbe stato possibile continuare kirtan e puja per
molto tempo ancora, era necessario avviare un ashram. Sri Ma rispose:
“Il mondo è pieno di ashram; a che servirà un altro?”. Risposi: “Non abbiamo
bisogno di un grande progetto; vogliamo solo un piccolo posto dove riunirci
intorno ai tuoi sacri piedi e cantare kirtan”. Pitaji fu
d’accordo. Sri Ma disse: “Se senti di dover costruire qualcosa del
genere, il sito di quella vecchia casa è il migliore. È la tua vecchia casa”.
Rise e poi rimase in silenzio.
A quel tempo vi era
un tempio in rovina dedicato a Shiva, che si trovava in mezzo a cumuli di
macerie, pietre e mattoni, circondato dalla giungla. Il luogo era infestato dai
serpenti. Dopo aver costruito l’edificio dell’ashram, vedemmo ancora dei grossi
serpenti. A quel tempo Sri Ma era solita, in certe occasioni, offrire
latte e banane nel tempio abbandonato di Shiva.
Un lunedì furono
offerti del latte e cinque o sette banane in un vaso nuovo d’argilla. Dopo
sette giorni, verso le nove o le dieci di sera, Sri Ma andò lì e ritrovò
il latte e le banane esattamente nella stessa condizione di quando erano stati
offerti. Neppure una formica aveva toccato il vaso. Ma disse che ne
avrebbe bevuto un sorso. Molti cercarono di fermarla, pensando che il latte
potesse essere andato a male; ma lei doveva fare a modo suo. Ne bevve un
sorso e tanti presero il suo prasad. Quello che rimase nel vaso fu
lasciato lì. La mattina seguente ci si accorse che il latte rimasto era stato
leccato; non ne era rimasta neppure una goccia.
Quando chiedemmo ci
dissero che il tempio dedicato a Shiva e i terreni adiacenti appartenevano al
Ramna Kali Estate. Fu avvicinato il sacerdote responsabile, Sj. Nityananda
Giri, che disse chiaramente che non si sarebbe separato dalla proprietà per
meno di seimila rupie.
Alcuni mesi dopo,
quando Niranjan fu trasferito a Dacca, cercammo di raccogliere il denaro, ma
non vi riuscimmo. Agli inizi del 1927 mi trovavo a letto per una grave
malattia. Un giorno Niranjan venne a trovarmi e disse che lo zemindar di
Gouripur, Sj. Brojendra Kishore Roy Chowdhury, aveva mandato mille rupie.
Niranjan aggiunse: “Per prima cosa cerca di ristabilirti presto; poi cercheremo
di raccogliere altri fondi”. Niranjan raccolse gradualmente altro denaro, ma
per cedere la proprietà Nityananda Giri continuava ad esigere seimila rupie.
Dopo essere stato male per circa un anno e mezzo, ripresi il mio lavoro al
Ministero dell’Agricoltura a Dacca. Andammo a vedere molti posti per costruire
l’ashram, ma nessuno appariva più adatto di quello suggerito da Sri Ma.
Eravamo in
difficoltà. Verso l’inizio del 1929 Sri Ma si trovava a Calcutta. Sriman
Benoy Bhushan Banerji andò a trovarla ed ebbe con lei un colloquio sull’avvio
dell’ashram di Dacca. Quando ritornò e mi raccontò la sua conversazione con la
Madre, le mie speranze si riaccesero. Un giorno decisi che dovevo vedere il
prete del tempio di Ramna dedicato a Kali, e concludere almeno l’acquisto di un
pezzo di terra. Quando uscii di casa vidi l’immagine di Ma fluttuare
sopra di me, e questo mi diede la certezza che il nostro desiderio sarebbe
stato esaudito. Il prete disse: “Non potete pagare tutta la somma richiesta per
la vendita complessiva. Facciamo un contratto temporaneo con 500 rupie come salami
e 300 rupie per l’affitto annuale; anche il tempio di Kali è vostro. Più in
là potremo stipulare un accordo permanente”. Dopo tante discussioni, alla fine
si decise di prendere il terreno in affitto.
Quest’accordo,
naturalmente, non piacque a molti ma, se si doveva stabilire un ashram, il
luogo prescelto appariva il più adatto allo scopo. L’ashram era per Sri Ma, e
noi pensavamo che per esso avrebbe fatto tutto il necessario; era inutile che
ci preoccupassimo del futuro. Con questi pensieri, prendemmo in affitto il
terreno alle condizioni stabilite. Sri Mathura Nath Basu, Nishikanta Mitra e
Brindaban Chandra Basak presero parte attiva alla transazione. Il 13 aprile del
1929 Sri Ma fu pregata di porre i suoi piedi sulla costruzione in
rovina. Niranjan era allora in lutto per la morte prematura della moglie, ma
fece in modo d’essere presente per l’occasione. Circa due mesi dopo anche lui
lasciò questo mondo. La fondazione dell’ashram fu stabilita con il denaro
raccolto da lui con le offerte. Ovunque possano ora trovarsi lui e sua moglie
nell’altro mondo, il loro legame con Sri Ma continua sempre. Questo è il
mio credo.
Riguardo all’ashram,
Mataji disse: “Un ashram dev’essere un luogo sacro che risveglia nell’uomo
pensieri divini. Tutti coloro che ci vivono devono sforzarsi al massimo di
mantenere l’atmosfera pura con continue preghiere, sadhana, nobili pensieri,
meditazione e discorsi religiosi. In un posto simile è sufficiente che vi siano
alcune capanne col tetto di paglia per gli ashramiti”. Fu in base a questo che,
dapprima, fu costruita una piccola capanna per Ma.
I movimenti e il
gioco dei diversi stati d’animo di Sri Ma sono oltre la comprensione
umana. È inutile cercare di prevedere e impedire ciò che si propone di fare, o
chiedere perché segua un particolare corso d’azione. Il 2 maggio del 1929 Sri
Sri Ma entrò nel nuovo ashram di Ramna. Tutt’intorno vi erano urla ed
esclamazioni di gioia. Sj. Baul Chandra Basak portò delle ghirlande e dei
braccialetti di fiori e rivestì Ma come Sri Krishna. Anch’Ella sembrava
essere in uno stato d’animo sereno. Me ne stavo in disparte ad osservare i suoi
movimenti. Mi sembrava che, nascosta misteriosamente da qualche parte, vi fosse
l’ombra di una nuvola. Il sorriso e lo sguardo di Ma sembravano
fluttuare in luoghi lontani. Tornai a casa mia alle due del mattino. La sera
del giorno dopo Pitaji visitò la nostra parte della città. Qualcuno venne a
dire che Pitaji era desiderato immediatamente all’ashram. Lo accompagnai. Erano
circa le dieci o dieci e mezzo di sera. Giunti all’ashram trovammo tutte le
persone tristi e depresse. Un’acuta angoscia oscurava ogni viso. Sri Ma sedeva
all’aperto fuori i confini dell’ashram. Ci dissero che era uscita dall’ashram
la mattina molto presto; aveva trascorso tutto il tempo, fino alle dieci e
mezzo di sera, vagando per i campi.
Quando vide Pitaji,
Mataji disse: “Permetti a questo corpo di partire per un viaggio insieme a suo
padre; tu potrai rimanere all’ashram”. Dopo molte proteste Pitaji diede il
consenso, esclamando all’improvviso: “Bene, sia fatta la tua volontà”. Molti
accompagnarono Ma alla stazione. Pitaji ed io restammo indietro, ma dopo
un po’ andammo anche noi. Pitaji fece del suo meglio per dissuaderla,
esprimendo la sua disapprovazione. Ma rimase ferma nel suo proposito.
Il treno per
Mymensingh era pronto. Sri Ma vi salì. Pitaji mi chiese di salire in un
altro compartimento, in caso Ma mi avesse fermato. Ubbidendo alle sue
istruzioni, accompagnai Mataji.
Dopo la partenza per
Mymensingh intorno a mezzanotte, con soltanto un pezzo di stoffa addosso e
senza avere informato i miei dell’improvvisa partenza, nel mio cuore vi era una
grande lotta. Non trovo le parole per descriverla.
Il sole è
considerato la fonte di ogni vita e attività e, una volta trascorsa lentamente
la notte, con i raggi del sole del mattino mi tornarono in mente i doveri verso
la famiglia e l’ufficio e le numerose
responsabilità lasciate in sospeso che m’attendevano. Siamo tutti schiavi
delle abitudini! Le catene del mondo sono troppo spesse e troppo sottili per
essere spezzate. La mia mente era stranamente velata da oscuri pensieri
riguardo i doveri di quel giorno, anche se avevo avuto l’opportunità unica di
sedere ai piedi di Sri Ma. Anno dopo anno avevo desiderato toccare quei
piedi, e lei mi aveva praticamente strappato dalle fauci della morte. La stima,
la reverenza e l’amore che dimostriamo sembrano essere soltanto fugaci impulsi
emotivi, ma in realtà adoriamo segretamente i nostri desideri egoistici.
Anche Sri Ma dice:
“Le vostre espressioni d’amore e reverenza passano sul vostro corpo e la vostra
mente come colpi di vento. Fino a quando non si apre il luogo più intimo della
vostra anima, che permette il libero flusso della vera devozione, come potete
offrire un vero amore e non una sua mera apparenza?”.
Giunti a Mymensingh,
chiesi a Sri Ma: “Dove vorresti andare?”. La sua risposta fu: “Sulle
montagne”. Risposi: “La stagione delle piogge è già avanti. Ti sembra saggio
andare ora sulle montagne col tuo vecchio padre? Se vuoi passare del tempo in
solitudine, andiamo in riva al mare a Cox’s Bazar”. Sri Ma rimase in
silenzio.
In genere abbiamo
visto che lei dà un’istruzione o un suggerimento solo una volta; se lo mettiamo
in pratica, senza dubbio alla fine risulta per il nostro bene, altrimenti
rimaniamo insoddisfatti del risultato o andiamo incontro a guai non previsti.
Discutemmo tra noi
dove saremmo dovuti andare e fu deciso di partire per Cox’s Bazar con il treno
della sera. Quando arrivammo alla stazione di Ashugunj vi fu una terribile
tempesta di tuoni. Sri Ma disse: “La furia di questa tempesta è poca
cosa paragonata a quello che vedrai domani”. A Chittagong salimmo sul vaporetto
per Cox’s Bazar. Quando raggiungemmo il mare alla foce del Karnafuly scoppiò un
violento temporale. Il vaporetto oscillava paurosamente e le onde cominciarono
ad arrivare sul ponte. I passeggeri urlavano di paura, mentre alla vista
del mare agitato la gioia di Sri Ma era senza limiti.
Osservando il gioco
della tempesta con le onde, disse: “Ascolta il kirtan ininterrotto che
c’è là! Se l’uomo desidera assicurarsi il progresso spirituale, deve ricordare
costantemente il Nome di Dio, cantare la Sua gloria e cercare d’ascoltare la
Sua potente voce in tutti i movimenti della vita in questo mondo”.
Da Cox’s Bazar
andammo ad Adinath (un tempio in cima ad una collina nell’isola di Mash Khali).
Sri Ma rimase là ed io tornai a Dacca. Dopo alcuni giorni Pitaji andò ad
Adinath e riportò Mataji a Calcutta. Da lì Ella andò ad Hardwar con suo padre.
Andò poi a Sahasra
Dhara (Dehradun), Ayodhya, Varanasi, Vindhyachal e Nawadwip. Da qui ritornò a
Calcutta con Pitaji e poi partì per Chandpur. La incontrai lungo la strada tra
Nawadwip e Calcutta.
Seppi che in quel
periodo si cibava solo di alcuni frutti e di un bicchiere di limonata e che
aveva passato parecchi giorni in questo modo, stesa per terra giorno e notte,
completamente assorta nelle sue meditazioni. Notai anche che si muoveva
meccanicamente come una bambola che trascinava un corpo d’argilla, mossa da una
mano invisibile. Vedendola in quello stato, giunsi alla conclusione che quando
il Divino si veste di un veicolo fisico deve comportarsi come un comune mortale
in obbedienza alle leggi di questo illusorio mondo materiale.
Dopo alcuni giorni
Mataji e Pitaji tornarono a Dacca da Chandpur e si fermarono al Siddheshvari
ashram. Pitaji cadde gravemente malato. Dopo tanta sofferenza, quando stava per
ristabilirsi, Mataji fu costretta a letto. Questo è stato scritto prima.
Nell’ottobre del
1929 la statua di Kali fu spostata sotto una tettoia di lamiera ondulata eretta
allo scopo nell’ashram di Ramna. Nel 1930 tutti gli ornamenti d’oro della
divinità furono rubati e il ladro ruppe il polso della statua.
Ci si chiese se
l’immagine rotta potesse essere adorata, e sull’argomento furono consultati
molti pandit. Maha mahopadhyaya Panchanan Tarkaratna disse: “Poiché la statua
di Kali non è stata immersa dopo il puja annuale per ordine di una santa
persona, anche in questo caso particolare bisognerebbe seguire le sue
direttive, anche se in circostanze normali non è consentito adorare una statua
rotta”. Seguendo le direttive di Sri Ma la statua fu restaurata e
venerata.
Molto tempo prima,
quando avevo fatto notare a Sri Ma che era necessario costruire un
tempio per mettere al riparo la statua di Kali, aveva risposto: “Aspetta ancora
un anno”.
Entro un anno da
quella risposta, verso l’inizio del 1931, grazie agli sforzi di Bhupati Nath
Mitra e Nagendra Nath Roy fu posta la prima pietra del tempio. Quando si scavò
un fosso per stabilire le fondamenta, furono scoperte quattro o cinque tombe,
larghe e piccole, contenenti ciascuna uno scheletro. Alcuni scheletri erano in
posizione seduta ed altri distesa.
Riguardo ad essi, Sri
Ma mi disse: “L’intero sito ha una propria santità, poiché in passato è
stato dimora di alcuni sannyasi. Tu eri uno di loro. Ho visto alcuni di questi
santi muoversi nei giardini di Ramna. Questi sadhu desiderano che un
qualche tempio sia costruito sulle loro tombe, così che la gente possa venire
qui a pregare Dio e mantenere la purezza del luogo per il bene di tutti. Per
questo motivo sei stato portato a stabilire un ashram qui. Quelli che hanno
preso parte all’iniziativa devono avere avuto qualche relazione con i santi del
posto”.
Chiesi a Ma: “Se
ero un sannyasi, perché adesso devo continuare a vagare in questo
modo?”. La sua risposta fu: “Finché non si esaurisce il frutto del proprio
karma, bisogna continuare il lavoro lasciato incompleto”.
Prima
dell’inaugurazione dell’ashram di Dacca, quando Ma stava a Shahbag, si
facevano kirtan quasi ogni sera, e nelle notti di luna piena e di
luna nuova continuavano fino a notte fonda. Una notte di luna piena ero steso sul
mio letto: erano le ventitré ed ero completamente sveglio. Per molto tempo
echeggiò nelle mie orecchie un dolcissimo motivo, che ripeteva solo questi due
versi:
Hare Murare
Madhukeitabhare,
Gopala, Govinda, Mukunda Saure.
Mi venne in mente
che Sri Ma doveva stare cantando questi versi a Shahbag. Sembrava la sua
voce. La mattina dopo seppi che Ma aveva effettivamente cantato quei
versi a quell’ora; aveva cantato ripetutamente solo quei due versi.
Ero veramente
sfortunato. Sri Ma cercava d’attirarmi verso la bellezza divina del kirtan,
ed io riuscivo a malapena a sviluppare un’inclinazione per esso.
Una sera andai a
Shahbag con Niranjan. C’era in corso un kirtan. Mataji disse: “Quelli di
voi che non hanno preso parte al kirtan, cantino insieme il nome di
Dio”. A causa della nostra naturale timidezza, Niranjan ed io cantammo con voce
sommessa, quasi impercettibile; sentivo però un sincero rimorso perché non
potevo soddisfare in pieno il desiderio di Ma.
Ad un tratto Ella
disse: «Oggi è sabato, domani sarà domenica: perché non vi sedete e passate
alcune ore della notte cantando kirtan?”. Niranjan tornò a casa sua ed
io passai tutta la notte a Shahbag facendo kirtan. Verso le prime ore
del mattino, Ma cominciò a cantare:
Hari, Hari, Hari, Hari, Hari, Hari, Hari bol.
Questo destò in me
una nuova ispirazione. Da allora in poi potei percepire che, nella cultura
spirituale, il kirtan ha un posto più alto di altri riti e osservanze
religiose. La pratica corrente di fare kirtan all’ashram ogni sabato
sera iniziò nel novembre del 1926. Quel giorno, insieme al nome di ‘Hari’,
fu aggiunta per la prima volta la parola ‘Ma’ (Madre). Dopo alcuni
giorni il kirtan fu organizzato a turno in casa dell’uno o dell’altro
devoto di Ma ogni giorno della settimana.
Nei kirtan a
Shahbag erano prevalenti le parole ‘Hari bol’. Sentivo che poiché Sri
Ma era l’oggetto supremo dei nostri pensieri e della nostra adorazione, e
tutte le preghiere delle nostre anime erano rivolte a lei, la parola ‘Ma’ doveva
essere alla base dei nostri kirtan. Manifestai questi pensieri ad alcune
persone, che però non prestarono attenzione a ciò che dicevo. Non potevo
cantare bene, perciò per qualche tempo dovetti sospendere la questione.
Quando Sriman
Anathbandhu e Brahmachari Kamala Kanta si unirono all’ashram di Dacca, chiesi
loro d’introdurre gradualmente nei loro kirtan la parola ‘Ma’. In
quel periodo a Shahbag venne Sj. Kulada Kanta Banerji, che aveva una profonda
venerazione per la pratica dei riti e rituali indù, nei quali era molto
preparato. Anche lui esitò a introdurre questa innovazione nei kirtan;
ad ogni modo in alcuni canti vi fu una combinazione dei nomi ‘Hari’ e
‘Ma’. È veramente difficile cambiare le nostre abitudini radicate, la
nostra disposizione mentale e i nostri modi d’espressione. Per molte persone è
piuttosto facile procedere lungo canali tradizionali, specialmente nelle cose
religiose. Liberarsi delle catene della tradizione richiede una considerevole
forza di volontà.
In quel frangente
pensavo: “Ci sforziamo di concentrare la nostra attenzione sulla figura di Sri
Ma, ogni nostra aspirazione ci spinge a toccare la polvere dei suoi sacri
piedi. L’immagine del suo volto fluttua davanti all’occhio della nostra mente,
le nostre orecchie sono tese al massimo per cercare d’afferrare ogni singola
sillaba che esce dalle sue labbra, tutto il nostro amore e la nostra devozione
anelano in maniera ininterrotta alla sua grazia. Se, in questo stato mentale,
durante il kirtan cantassimo “Prana Gauranga, Nityananda. Esho he
Gour, bosho he amar hriday prangane – Gouranga e Nityananda sono la mia
vita. Vieni, Gour, siedi nell’intimo del mio cuore”, e rotolassimo a terra
sopraffatti dall’emozione, ci sarebbe ritmo e armonia tra il nostro canto e il
flusso del nostro amore e della nostra devozione?
Lo scopo della
nostra adorazione e concentrazione è quello di dare un’unica direzione alle
nostre svariate e molteplici tendenze, facendo convergere i nostri vaghi
desideri sparsi sull’Essere Divino che adoriamo. In queste circostanze, se
invece di permettere ai nostri pensieri e sentimenti di fluttuare sulle
immagini del lontano passato richiamate dai diversi temi, toni e melodie dei
canti tradizionali, cercassimo di concentrarci sulla presenza vivente della
Madre con pensieri, toni e canti che si basano direttamente sul suo nome e i
suoi aspetti personali, che hanno un costante richiamo per tutti noi, una nuova
ispirazione ridarebbe vita alla nostra adorazione e al nostro kirtan. Saremmo
in grado di avere concentrazione e attirare la sua grazia.
Se vogliamo essere
veri devoti di Sri Ma, dobbiamo poter rivivere nel kirtan con il
solo nome di ‘Ma’ l’ardore, la forza, la bellezza e l’armonia
degli antichi compositori vaishnava. La parola ‘Ma’ esce
spontaneamente dalle labbra di un bambino; deriva in maniera naturale da Om ed
è il respiro della nostra vita. Il primo vagito di un bambino, non appena esce
dal grembo della madre, è ‘Om-Ma’, che equivale a ‘Om’.
È il suono-simbolo di tutti gli esseri umani per attirare l’attenzione
della madre verso il bambino.
Se sentiamo
veramente che Sri Ma è la Divinità che presiede al nostro mondo, allora
il kirtan del nome di ‘Ma’ dev’essere per noi il modo più facile
e naturale di adorazione.
Più o meno in quel
periodo composi questo canto, aggiungendo il nome ‘Ma’ al kirtan normale.
Ecco la sua traduzione:
Nella gioia e nel dolore, nella felicità e nella
tristezza
Chiama a gran voce Ma, Ma, Ma, Ma, Ma,
Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma,
Ma.
Quando il bambino esce dal grembo materno,
La madre lo pone sul suo ventre
E lo inizia al mantra Om.
Egli impara a balbettare Ma, Ma, Ma.
Impari a camminare con le tue gambe
E gradualmente dimentichi la prima parola,
che diede inizio alla tua vita.
Cerchi dunque nei Veda e nei Tantra,
Per scoprire i confini della sconfinata ‘Ma’.
Se mai desideri conoscere la verità del tuo cuore,
Fondi tutti i nomi e le forme nel mantra ‘Ma’,
Ripeti sempre Ma, Ma, e lascia che i tuoi occhi
si riempiano di fiumi di lacrime,
Trova in Sri Anandamayi Ma
il rifugio ultimo della tua vita.
All’inizio del 1928
mi trovavo a Giridih. Una mattina arrivarono Pitaji e Mataji. Feci notare che
il nostro ashram doveva avere un suo modo peculiare di pregare con uno
specifico suono-simbolo divino, così come tutti gli ashram hanno le loro forme
particolari di kirtan. La Persona intorno alla quale ruotano tutte le
attività dell’ashram deve servire da centro, per dare direzione unitaria a
tutti i bhajan e i kirtan. Una volta stabilita quell’armonia, i
nostri sforzi di crescita spirituale avrebbero ricevuto nuovo impeto.
Combinando ‘Hari’
e ‘Ma’ furono composti parecchi kirtan, e si decise che un
canto doveva essere inviato a Kulada Dada a Dacca. Dopo la partenza di Sri
Ma stavo per mandargli un canto, quando sentii l’impulso interiore di
provare una nuova tonalità usando esclusivamente il nome ‘Ma’. Il
ritornello faceva così:
Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma, Ma,
Chiama (dako) Ma, Ma, Ma, Ma,
Di’ (bolo) Ma, Ma, Ma, Ma,
Canta (gao) Ma, Ma, Ma, Ma,
Adora (bhajo) Ma, Ma, Ma, Ma,
Ripeti (japo) Ma, Ma, Ma, Ma,
Chiama, di’, canta, adora, prega Ma, Ma, Ma.
Questo canto fu
mandato a Kulada Dada a Dacca, che mi scrisse che la composizione aveva
suscitato molta impressione e che era stata introdotta nel kirtan dell’ashram.
Questo fu l’inizio
di una nuova forma di kirtan con il suono-simbolo ‘Ma’. Una vera
esecuzione non sarebbe stata possibile senza il forte desiderio di ricevere la
grazia della Madre durante la sua assenza. Quando furono composti questi canti,
Sri Ma era lontana da Dacca da parecchi mesi. I suoi devoti stavano
vivendo le forti pene della separazione. L’intenso desiderio di riavere Ma in
mezzo a loro rendeva quei canti dolci e toccanti.
Una volta stabilito
l’ashram di Dacca, gli inni sanscriti usciti dalle labbra di Sri Ma nello
stato di profonda concentrazione furono cantati durante il bhajan. Verso
la fine del 1931 (agrahayan 1336 del calendario bengali) Sri Ma mi
fece chiamare e mi disse: “Gli inni che canti durante il bhajan sono
incompleti, perché non sei riuscito ad annotare tutte le parole uscite dalle
mie labbra. Non puoi provare un’altra composizione?”.
Presi in
considerazione il suo suggerimento, e giunsi alla conclusione che i devoti
bengalesi avrebbero gradito un canto in bengali più di uno in sanscrito.
Ispirato da lei, una notte verso le tre prese forma il seguente canto.
Questa è la
traduzione:
Gloria a Te, Sri Anandamayi Ma,
sacra ed eterna abitante del cuore!
Il Tuo splendore, Madre Nirmala, illumina l’universo;
virtù celesti s’irradiano da Te, Madre.
Regina di gloria divina, Gouri,
Tu sei Om, svaha e svadha, Madre.
Divinamente piena di grazie, Tu sei assoluta Realtà,
supremamente bella e perfetta, Madre.
Il sole e la luna adornano il Tuo volto,
il cielo infinito corona la Tua testa,
l’intero universo è la Tua forma gloriosa, Madre.
Tu sei la luce delle ricchezze del mondo,
dolcezza incarnata, raggiante di splendore, Madre.
Tu sei affascinante come lo è Lakshmi per Vishnu,
Tu sei pace, tranquillità e misericordia;
tutti gli dèi e le dee emanano da Te, Madre.
Tu doni felicità e benedizioni, Tu sei datrice di
amore,
saggezza e liberazione, Madre.
Dopo avere emanato il mondo, sei Tu che lo nutri,
lo sostieni e infine lo ritiri in Te.
Tu sei la stessa vita dei Tuoi devoti, Grazia
incarnata,
Salvatrice dei tre mondi, Madre.
Fascino di ogni conoscenza, incantatrice degli yogi;
la Tua presenza, Madre, disperde le paure della vita.
Tu sei l’anima di tutti i mantra, la rivelatrice dei
Veda,
e pervadi l’intero universo, Madre.
Tu sei con forme e qualità, ma anche senza forme
e al di là di ogni descrizione;
traboccante d’amore e beatitudine, Madre.
Vivificato dal Tuo contatto, l’intero universo
animato e inanimato canta sempre le Tue lodi, dolce
Madre.
Ci uniamo tutti per offrire dai nostri cuori
obbedienza ai Tuoi sacri piedi;
vittoria, vittoria e sempre vittoria a Te, Madre.
Il volto sempre
pieno di gioia di Sri Sri Ma, semplice e rassicurante, aveva esercitato
su di me un fascino indescrivibile sin dal primo incontro, così anche in mezzo
alle diverse distrazioni ed agitazioni che vivevo, giungevo a dimenticare tutte
le preoccupazioni e le tentazioni. Un solo desiderio mi consumava: ottenere un
briciolo della sua grazia. Come le onde s’alzano nell’oceano, così dal mio
cuore si levava un’aspirazione profonda che giorno e notte anelava rombando ai
suoi piedi e soffocava i tumulti del mondo. A volte trovavo grande sollievo nel
gridare come un pazzo ‘Ma, Ma’ e nel piangere per lei e cantare le sue
glorie; ma a casa mia non avevo spesso tali opportunità.
Avevo visto nel
corpo fisico di Sri Ma diversi bhava singolari, ed in sua
presenza ero pieno di gioia e meraviglia. Davanti a lei mi sentivo solo un
bambino o un povero mendicante indifeso, assolutamente indegno di sedere ai
suoi piedi; di fatto in tutta la mia vita non mi sono mai seduto in sua
presenza. Ero solito rimanere sempre a distanza. Ogni mattina ero così
fortunato da avere il primo darshan dei suoi piedi, perché pochissime
persone potevano andare all’ashram così presto. Alcune mattine trovavo Sri
Ma seduta tranquillamente sul letto con tutto il languore del sonno ancora
sulle palpebre. A volte i suoi occhi luminosi e il suo dolce viso sembravano
irradiare grazia e affetto materno su tutti gli uomini. In altre occasioni il
suo aspetto all’alba aveva la serenità e la grazia del bellissimo cielo dei
mattini autunnali, infinitamente luminoso e tuttavia lontano dalle cose del
mondo. L’espressione del suo volto cambiava costantemente con il susseguirsi
delle sue emozioni e dei suoi pensieri interiori. A volte appariva come
un’anziana signora. Altre volte, in mezzo agli allegri divertimenti e alle
fragorose risate di una giuliva ragazza, assumeva improvvisamente
un’espressione così seria, assorta e determinata da destare in noi paura e
sgomento. In quello stato il suo corpo assumeva delle pose insolite, il suo volto
mostrava un’espressione così solenne che tutti noi sentivamo che Madre Rudrani
prendeva possesso del suo essere. In quelle occasioni la sua risata selvaggia,
i suoi occhi roteanti e i movimenti dei suoi arti contribuivano ad incutere
terrore ai nostri cuori; tuttavia, dopo un po’, ritornava alla sua consueta
espressione di gioia e dolcezza.
In tutti i casi,
però, mi sentivo così irresistibilmente attratto che, se un giorno non fossi
riuscito ad andare da lei, sarei stato sicuramente male e la mia mente avrebbe
cercato la prima occasione per ottenere rifugio e riposo ai suoi piedi. Mi
sembrava che Mataji gridasse continuamente alla mia anima: “Vieni, vieni a me”,
e mi osservasse costantemente, con gli occhi sempre rivolti al mio vero bene.
Molti giorni mi
sforzavo con determinazione di cancellare ogni suo pensiero, ma lei vanificava
ogni mio perfido tentativo e conquistava ancora di più la mia mente e ragione.
Questi sforzi mi esaurivano e mi lasciavano muto e inerte come un pezzo
d’argilla. Non riuscivo a trovare alcun modo d’appagare il mio desiderio
dell’affetto di Sri Ma, così cominciai a diventare debole e il
mio corpo entrò presto in crisi.
Il 4 gennaio del
1927, caddi infine malato. Fin dall’inizio sentii un dolore acuto nella regione
del cuore. Nessuna medicina riusciva a darmi sollievo. Un giorno Sri Ma venne
a trovarmi e mi pose la mano gentile e calmante sul petto. Al suo contatto
tutto il dolore si calmò, ma la malattia continuò a diventare sempre più seria.
Il dottore disse che avevo la tisi. Pochi giorni dopo Sri Ma venne a
trovarmi di notte, sedette accanto al mio letto e mormorò qualcosa tra sé.
Molto tempo dopo seppi da lei che aveva detto alla malattia: “Hai fatto quel
che dovevi; adesso fermati”,* e da allora Sri Ma smise di venire da me. Negli
ultimi mesi di acuta sofferenza non ebbi la buona fortuna di incontrarla.
Per me era
necessario. L’intenso desiderio di vederla mi fece dimenticare il dolore
causato dalla malattia. In quel periodo la mia mente si librava giorno e notte
intorno ai suoi piedi. Ella pervadeva tutto il mio essere, all’interno e
all’esterno. Mi fu riferito in seguito che un giorno, a Shahbag, Sri Ma aveva
detto di vedere sangue sulle labbra di tutti. Udendo questo, Pitaji venne a
trovarmi quella stessa notte. Allora stavo vomitando sangue e la mia energia
era quasi esaurita. In molte occasioni Sri Ma mi guidò con i suoi
suggerimenti per una cura, molto prima d’essere informata verbalmente
dell’evolversi della mia malattia.
Una notte ebbi una
crisi molto forte. I medici che mi assistevano dichiararono il mio caso senza
speranza. Erano le due di notte. La pioggia cadeva a fiumi facendo un rumore
assordante. I cani abbaiavano e rendevano la cosa più terrificante. Cominciai
ad avere visioni orrende, tutti i peli del mio corpo si rizzarono: allora vidi
chiaramente come in pieno giorno Sri Ma seduta alla destra del mio
cuscino. La piacevole sorpresa s’avvicinò a me lentamente e, prima che finisse
quell’attimo di stupore, la sentii passare la mano sulla mia testa. Era così
dolce e calmante! In un attimo caddi in un sonno profondo.
Da quel giorno in
poi, per otto o dieci mesi, per tutto il tempo che rimasi confinato a letto,
avvertii sempre la presenza di Sri Ma che sedeva sul mio letto vicino al
cuscino con un’espressione calma e serena e che impediva alla morte di
prendermi.
A volte, quando non
riuscivo a sopportare il continuo dolore causato dalla tosse e seguito dallo
sputare sangue, ero solito ripetere il nome di Sri Ma e presto
l’intensità del dolore diminuiva.
Durante la mia malattia
Sri Ma chiese a Brahmachari Jogesh di andare per un anno nell’India
Occidentale e vivere soltanto di elemosina, senza una fissa dimora. È possibile
che ciò sia stato fatto per deviare alcune delle mie sofferenze.
Dopo alcuni mesi di
malattia, quando andai a vivere in una casa statale vicino a Shahbag, Mataji
partì per Hardwar per partecipare al Kumbha Mela. Ebbi una seconda grave
ricaduta e inviarono un telegramma alla Madre a Rishikesh, ma lei non venne. In
seguito seppi che quando Pitaji aveva espresso la sua ansia per me, Sri Ma gli
aveva detto: “Ho visto Jyotish in braccio a me, incurante della sua malattia”.
Dopo quasi cinque
mesi di cura volli rendermi conto di quanta forza avevo acquisito con le cure
mediche. Appoggiandomi al muro della stanza provai a fare alcuni passi. Lo
sforzo fatto mi causò quella stessa sera un considerevole vomito di sangue.
Informato di questo, il medico disse ai miei che dovevo rimanere a letto e non
muovermi.
Quattro o cinque
giorni dopo Sri Ma tornò a Dacca e venne a trovarmi. Mi chiese: “Come ti
senti adesso?”. Risposi: “Non ho molto dolore, ma mi sento estremamente a
disagio perché non faccio un bagno freddo da tantissimo tempo”. Era il mese di vaisakh
(maggio). Il caldo era cocente. Sri Ma rimase seduta un po’ e dopo
se ne andò. L’indomani, verso le tredici, tornò con Pitaji. A quell’ora in casa
dormivano tutti; dormiva profondamente anche mia figlia, dodicenne, che era
stata incaricata di sorvegliarmi. Sri Ma disse: “Volevi fare il bagno.
Se lo desideri, c’è una vasca laggiù; vacci e fai un bel bagno”.
La vasca distava da
cinquanta a settanta metri. Quando udii le
parole di Ma una nuova forza inondò il mio fragile corpo, insieme
all’amore e alla devozione per lei. Il mio corpo era allora uno scheletro.
L’ammonimento del medico a non alzarmi dal letto mi balenò un attimo in mente e
poi svanì. In quella condizione, mentre barcollavo cercando di stare in piedi e
di prendere un altro pezzo di stoffa da mettere addosso dopo il bagno, Pitaji
mi sostenne e mi condusse alla vasca. Il pavimento di casa mia era sollevato
circa un metro dal terreno circostante. Scesi le scale e camminai fino alla
vasca. Si trattava di una vasca di riserva, e sulle sue sponde s’affacciava la
pensione privata dell’università musulmana. Vi era anche un ordine affisso
dalle autorità che ne vietava l’uso per fare il bagno e per lavare. Quel giorno
però non si vedeva nessuno della pensione. Anche a casa mia dormivano tutti.
Entrai nella vasca e feci un bagno delizioso. Tornato a casa mia stesi la stoffa
bagnata ad asciugare sul filo e mi allungai sul letto a riposare.
Mi ero appena steso
sul letto quando mia figlia si svegliò e vide la Madre che sedeva al suo
fianco. Mentre attraversavo il prato per andare a fare il bagno, numerosi semi
di chorkanta s’erano attaccati alla stoffa che indossavo. Quando il mio
servitore Khagen vide la stoffa piena di quei semi, capì subito che avevo
attraversato il prato a mezzogiorno. La cosa fu fatta sapere a mia moglie, che
mostrò la stoffa a Sri Ma e si lamentò con lei perché avevo attraversato
il prato a quell’ora contro l’esplicita proibizione del medico.
Sri Ma rise senza dire una parola. Ero davvero
stupefatto; mi chiedevo come avessi potuto attraversare tutto il prato e fare
il bagno nella vasca alla piena luce del sole senza essere notato da alcuno, e
come avessi potuto avere la forza di sostenere tale sforzo. Era un’impresa al
di là della mia comprensione. Dopo tre o quattro mesi, quando lasciai Dacca per
andare a stare in un clima più salubre, raccontai tutto a Niranjan. In seguito,
quando mi ristabilii e ripresi il lavoro in ufficio, narrai il fatto ai medici,
che non credettero assolutamente alla storia. Anche mia moglie all’inizio non
ci credeva; quando descrissi loro tutta la storia, alla fine si convinsero.
Nel bel mezzo della
malattia mi venne un fortissimo desiderio di mangiare riso bollito. I medici
curanti non permettevano che ne mangiassi. Niranjan si rivolse alla Madre
dicendo: “Ma, Jyotish vuole del riso bollito; i dottori però non lo
permettono. Se morisse ci rimarrebbe il dolore di non aver potuto soddisfare
questo suo desiderio prima della morte”. Sri Ma rise e disse: “Se
Jyotish lo desidera, gli dev’essere dato il riso”. Pochi giorni dopo Pitaji
portò del riso bollito da Shahbag e me lo fece mangiare, ma nessuno se ne
accorse.
In quel periodo Sri
Ma veniva a vedermi una volta al giorno. Una mattina venne molto presto e,
quando era già andata via, Brahmachari Kamalakanta mi portò dei fiori di champak.
Guardai i fiori con rammarico, perché quel giorno non avrei avuto
l’opportunità di offrirli ai piedi di Sri Ma con le mie mani. Nel
pomeriggio Kulada Dada mi portò una bellissima rosa, e mi venne di nuovo lo
stesso triste pensiero. La rosa fu messa sul tavolo vicino ai fiori di champak.
Mi dispiaceva moltissimo che quei fiori così belli non potessero essere
offerti ai piedi di Ma. In quel momento Ella entrò inaspettatamente
nella mia stanza, si diresse verso il tavolo e vi si appoggiò dal lato
sinistro. Mi guardò per tre o quattro minuti con la mente assente e poi andò
via; penso abbia preso i fiori, perché non c’erano più. Quando tornò il giorno
dopo glielo chiesi. Mi rispose: “Non so esattamente cosa ho preso, ma devo aver
preso qualcosa da qui. Sono andata a casa dello zemindar di Dhankora e ho dato
qualcosa ad una donna; poi sono andata a casa di un magistrato in cui c’era una
donna che stava male ed anche lì ho lasciato qualcosa”. In seguito venni a
sapere che nella prima casa aveva lasciato la rosa e nella seconda i fiori di champak.
La donna malata si ristabilì presto.
A questo proposito Sri
Ma disse: “Il desiderio intenso del Divino è il cuore di ogni adorazione,
di ogni preghiera. Nel nostro cuore c’è l’eterna sorgente del potere divino e
in ogni sforzo c’è l’essenza dell’impulso di creazione, conservazione e
distruzione dell’Essere”.
Ricordo un altro
episodio. Durante la mia malattia, Pitaji aveva ordinato che ogni giorno mi
fosse mandato da Shahbag del riso come prasad. Il riso però veniva
offerto al tempio solo verso le due del pomeriggio e il prasad arrivava
da me molto più tardi. Tutti a casa mia s’irritarono nel vedermi attendere il prasad
fino a tardi. Un certo giorno a casa mia espressero delle severe critiche
contro quella disposizione. Ciò mi causò una sofferenza così acuta che pensai
non fosse il caso di ricevere il prasad di fronte a tanta avversione e
criticismo da parte dei miei familiari. Il giorno passò lentamente; alle due di
notte nessun prasad era arrivato da Shahbag. Mi venne in mente che,
probabilmente, la mia riluttanza a ricevere il prasad in mezzo a tanti
problemi fosse la causa che aveva fermato la disposizione. Piansi a lungo sul
letto e il prasad arrivò entro mezz’ora. Seppi che Sri Ma s’era
appena alzata dal letto e aveva ordinato: “Andate presto, portate subito il
prasad a Jyotish”. Mi fu riferito che quando il giorno prima, a mezzogiorno,
avevano chiesto a Sri Ma il permesso di mandare il prasad come al
solito, Ella aveva detto: “No”. Per questo la consuetudine di mandarlo era
stata interrotta. A questo proposito Sri Ma disse: “Non faccio nulla di
mia volontà; tu ridi e piangi secondo i tuoi bisogni, e i tuoi desideri vengono
esauditi”.
Durante la malattia
decisi di andare a Vindhyachal per cambiare clima. Mentre ero in viaggio,
incontrai la Madre a Calcutta e le chiesi di accompagnarmi. Mi disse di no.
Giunto a Vindhyachal passai una notte intera a piangere per lei. Il giorno
seguente arrivarono Mataji e Pitaji. A questo proposito Sri Ma disse:
“Lo scopo di tutte le pratiche religiose è quello di sublimare tutti gli
impulsi egoistici e dar loro una direzione unificata verso il Divino. Non
appena l’ego cessa di funzionare, l’eterno ‘Tu’ prende il suo posto”.
Da Vindhyachal andai
a Chunar. Venne anche Sri Ma. Un giorno mi disse: “Non esci mai a fare
una passeggiata?”. Risposi: “Sono troppo debole per muovermi; come potrei?”.
All’alba del giorno dopo mi portò con sé a fare una passeggiata. Percorremmo
cinque o sei miglia in pianura e su basse colline e ritornammo verso le undici.
Mentre scendevamo dalle colline mi sentivo molto debole e non riuscivo più a
camminare. Sri Ma si guardò intorno e disse: “La casa non è molto
lontana”. Dieci minuti dopo sbucò una carrozza da una stradina. Fu una fortuna,
altrimenti avremmo dovuto percorrere ancora un miglio per raggiungere il luogo
in cui stazionavano le carrozze. Temevo che la grande fatica causata dalla
lunga passeggiata avrebbe aggravato la mia malattia, ma non fu così. Poco tempo
dopo Sri Ma disse: “Nel mondo normale e nella sfera spirituale il
sostegno principale è la pazienza”.
Pitaji, Mataji ed io
sedevamo su un prato a poca distanza da casa mia. Mataji disse che desiderava
fare il bagno con l’acqua attinta dal pozzo vicino al forte e cominciò ad
insistere come una bambina. Dissi: “Chiamo il mio servitore”. Rispose: “No, non
devi”. Ero perplesso, perché da quelle parti la gente finisce di attingere
l’acqua dai pozzi prima del tramonto. Mi dispiaceva non poter esaudire il
desiderio di Sri Ma. Con mia grande sorpresa però un uomo con una
lanterna andò al pozzo ad attingere acqua. Lo convincemmo ad attingere l’acqua
per il bagno di Ma.
Sri Ma disse: “Puoi ottenere qualunque cosa, a
condizione che la sete per l’oggetto del tuo desiderio pervada ogni fibra del
tuo essere”.
Durante la mia
malattia passai alcuni giorni a Giridih e uno di quei giorni desideravo
ardentemente vedere Ma. Con mia grande sorpresa l’indomani
arrivarono lei e tutto il suo seguito.
Dopo questo
cambiamento tornai a Calcutta, ma quando tossivo sputavo ancora sangue. I
dottori mi consigliarono di passare i restanti giorni della mia vita in un
luogo salutare.
Sri Ma ordinò: “Torna alla tua scrivania in ufficio e
riprendi il tuo lavoro”. Andai a Dacca. Pitaji e Mataji m’accompagnarono in
ufficio e se ne andarono dopo avermi visto seduto sulla mia sedia.
A quel tempo il mio
superiore era Mr. Finlow, direttore del dicastero di agricoltura. Mi voleva
bene e aveva molta stima di me. Mi disse: “Fai quel che puoi, e manda il resto
sulla mia scrivania”. Mi chiese: “Dimmi solo come hai fatto a riprenderti da
quella terribile malattia”. Gli risposi: “È stato per grazia di Mataji, che
vive al Ramna ashram. Non mi ha dato alcuna medicina. Pur seguendo le
prescrizioni dei medici, la mia sola salvezza è stata la sua misericordia”. Mi
disse: “Tra la nostra gente si sentono cose simili. Credo in quel che dici”.
Una sera venne a
trovarmi Shyama Charan Mukherji, un anziano vicino di circa ottant’anni. Quando
la conversazione si volse a Sri Ma, dissi: “È solo per grazia sua che
sono ancora vivo”. Egli sbottò: “Si può, con la grazia di qualcuno, vivere più
a lungo del tempo stabilito?”. Durante la discussione all’improvviso ammutolì,
e se ne andò pochi istanti dopo. La mattina seguente tornò per dirmi: “Sai
perché ho lasciato bruscamente casa tua? Mentre stavamo parlando di Sri Ma, ho
visto sulla spalliera della tua sedia una brillante luce ovale simile a quella
del sole. A quell’ora era buio e non c’era luce nella stanza. Ho guardato
intorno, ma non ho potuto trovare la fonte di quella luce; perciò ho deciso di
ponderare sul fenomeno prima di parlartene. Dopo aver riflettuto attentamente
sono giunto alla convinzione che con la grazia di un grande essere tutto è
possibile. Lei ti ha davvero protetto di continuo”.
Alcuni mesi dopo il
suo primo darshan di Mataji, Niranjan le disse a Shahbag: “Ma, molto
spesso pensiamo che, una volta stabilito il tuo ashram, sia io che Jyotish vi
vivremo come brahmachari nelle nostre prossime vite”. Sri Ma mi
guardò e chiese: “Perché rimani in silenzio? Non sei in grado di farlo anche in
questo corpo?”.
Tre o quattro anni
dopo, quando ripresi il lavoro dopo la guarigione, Sri Ma mi ricordò
quel discorso e disse: “Pensa solo che hai già avuto la tua rinascita”. Si
tolse poi una catenina d’oro dal collo e la pose sul mio, dicendo: “Da oggi in
poi sappi per certo che sei un brahmachari e che hai avuto la tua
rinascita”.
La piccola capanna
di quattro metri per tre, con veranda da tutti i lati, che avevo costruito
nell’ashram secondo le mie idee, fu utilizzata da Sri Ma. Ella si
stendeva sulle due verande più lunghe. Mi disse che ero stato uno dei sannyasi
che aveva vissuto in quel posto, e il luogo che avevo inconsciamente scelto
per costruire la capanna per lei era lo stesso in cui avevo trascorso la mia
vita precedente.
Sentivo che era una
benedizione unica che il corpo fisico di Sri Ma riposasse nello stesso
luogo in cui avevo praticato sadhana nella vita precedente. Il mio karma
aveva probabilmente diretto il corso degli eventi, perché quando vidi Sri Ma
per la prima volta mi sembrò incarnare nella sua persona tutti gli dei e le
dee e percepii che lei era stata la mia divinità preferita in tutte le mie
nascite precedenti.
A partire dagli
ultimi mesi del 1929, per tre anni pieni, presi l’abitudine di andare a Ramna
la mattina molto presto col desiderio di vedere prima lei. Per questo m’alzavo
dal letto alle due del mattino, terminavo le mie abituali preghiere ed adorazioni
entro le quattro e mezzo e poi uscivo. Alcune volte capitava che scambiavo le
lancette dell’orologio, leggevo male l’ora e partivo molto prima. Udendo i
colpi dell’orologio a pendolo di qualche casa lungo la via, realizzavo d’essere
partito troppo presto. In quel caso passeggiavo per i campi di Ramna o sedevo
al cancello del Kalibari, aspettando la luce dell’alba. Entravo
nell’ashram alle cinque e passeggiavo per i campi con Sri Ma, poi
tornavo a casa tra le dieci e mezzo e le undici. Certe volte ritornavo a
mezzogiorno o anche alle tredici.
Non mi sono mai
seduto in presenza di Sri Ma. Tutto il mio corpo rimaneva eretto
fremendo di gioia interiore. Quando qualcuno mi chiedeva di sedere, mi sentivo
piuttosto in imbarazzo. Di solito Sri Ma rimaneva in silenzio durante le
nostre passeggiate mattutine. Rompeva il silenzio solo in casi eccezionali.
Avevo l’abitudine di seguire i suoi passi senza dire una parola.
Un giorno un vecchio
avvocato, chiamato Sri Ashwini Kumar Guha Thakurta, venne all’ashram per la
passeggiata mattutina e disse a Sri Ma: “Non sono venuto per vedere te,
Madre, ma per conoscere il tuo figlio diletto e osservare con i miei occhi come
venga da te ogni mattina presto senza curarsi del caldo, del freddo o della
pioggia, e come segua ogni tuo passo in reverente silenzio. Vedere questo mi dà
grande gioia”. Gli dissi: “Benedicimi, perché possa trascorrere il resto della
mia vita in questo modo!”. Il vecchio mi strinse al petto e disse: “Tu sei già
benedetto”.
A volte c’erano dei
forti acquazzoni nelle prime ore del mattino e, in molte occasioni, potei
appurare che se partivo con il nome di Sri Ma sulle labbra, la pioggia
in quel momento cessava e avevo poche difficoltà a giungere da lei. Col tempo
piovoso o attraverso la fitta nebbia dell’inverno, per tre anni pieni non vi fu
ostacolo che poté impedirmi di passeggiare ogni mattina con Ma.
Vi fu un tempo in
cui a Dacca erano frequenti gli scontri tra Indù e Musulmani. Un giorno, prima
che scoppiasse una sommossa, Sri Ma esclamò: “Terribile! Mostruoso!”.
Quando le chiesi il significato di quelle espressioni, disse: “Odo urla,
lamenti e gemiti in tutta la città”.
Non smisi le mie
passeggiate mattutine neanche quando l’astio tra le due comunità fu al massimo.
Il mio vicino Srijut Bhawani Prasad Neogi mi considerava un fratello minore. Un
giorno mi ammonì dicendo: “Sto in ansia per te finché non ritorni.
Accoltellamenti, omicidi e violenze sono all’ordine del giorno in tutta la
città. Ti sembra il caso di uscire da solo in questa situazione?”.
Pensavo che poiché Sri
Ma non diceva nulla contro le mie uscite mattutine, per me non ci fosse
nulla da temere, e continuavo la solita routine della mia vita.
Una mattina stavo
andando all’ashram di Ramna. I lampioni erano accesi. Non si vedeva nessuno.
Avevo oltrepassato il Dak Bungalow di quasi cento metri, quando notai un tipo
robusto, coperto da una stoffa, che sgattaiolava da dietro un albero. Mi stava
seguendo.
Gli chiesi dove
stesse andando. Rispose che voleva venire con me. Lo informai che stavo andando
all’ashram di Ramna. Rispose che mi avrebbe seguito anche lì. I suoi modi erano
sospetti ed ebbi molta paura. All’improvviso gridai: “No, non devi venire con
me!”. Dicendo questo, m’allontanai velocemente senza guardare da nessuna
parte. Dopo essermi allontanato, mi girai e vidi che l’uomo era rimasto
immobile come un pezzo di legno nel luogo in cui l’avevo lasciato. Quando
giunsi all’ashram, trovai la Madre in piedi al cancello con il suo sguardo
amorevole rivolto fisso verso di me. Caddi ai suoi piedi e le raccontai ciò che
era accaduto; lei non disse una parola. Venni poi a sapere che proprio in quel
quartiere c’era stato un omicidio.
In ogni campo della
vita vediamo che tre cose sono necessarie per avere successo nella lotta per
l’esistenza: un nobile scopo, una ferma determinazione, e una sincera e totale
dedizione al dovere. Anche se in qualche caso non si ottiene un successo
tangibile con tali virtù, queste sviluppano quantomeno la disposizione a fare
un buon lavoro, che porterà frutto alla prima occasione.
Ritornato ai miei
doveri in ufficio, trascorsi tre anni facendo il consueto lavoro. Un giorno
all’ashram Sri Ma prese un fiore e, staccandogli i petali, mi disse:
“Molti dei tuoi samskara sono caduti, e molti altri cadranno come i
petali di questo fiore finché io rimarrò il tuo sostegno principale, proprio
come lo stelo di questo fiore. Capisci?”. Dopo aver pronunciato quelle parole,
cominciò a ridere. Le chiesi: “Ma, come posso raggiungere tale
stato?”. Mi rispose: “Ogni giorno ricorda almeno una volta questo; non hai
bisogno di fare altro”.
Quel pensiero
penetrò profondamente nella mia anima e rimase con me per tutto il corso
regolare della mia vita. Tutti i pensieri sparsi furono gradualmente diretti ad
un solo fine. Anche se varie idee causavano spesso distrazione, tuttavia vi era
in me il grande desiderio di mantenermi stabilmente ancorato al pensiero
principale che Sri Ma era dentro di me come il mio midollo. Mi convinsi
che ciò che un uomo realizza con la costante pratica religiosa, con
l’isolamento mentale dagli oggetti dei sensi, si può realizzare grazie al
potere di una parola di un mahatma.
Dopo circa sei o
sette mesi, durante la passeggiata del mattino, Sri Ma un giorno mi
disse: “Ascolta, la tua vita attiva sta per giungere al termine”. Udii quelle
parole, che però non suscitarono in me alcuna risposta profonda.
A quel tempo anche
Bhagawan Chandra Brahmachari era solito dirmi di frequente: “Preparati, un
santo sta scendendo dall’Himalaya per portarti via”. Egli aveva la natura di un
bambino e pensavo scherzasse.
Qualche mese dopo
presi un permesso di quattro mesi. Ero alla ricerca di un posto di montagna per
cambiare clima. Nel frattempo, il 2 giugno del 1932 Sri Ma mi fece
chiamare da Brahmachari Jogesh e mi chiese d’accompagnarla. Volli sapere dove
aveva intenzione di andare. La sua risposta fu: “Ovunque decida”. Rimasi in
silenzio. Lei aggiunse: “Perché stai zitto?”. Pensavo al fatto che non potevo
informare nessuno della cosa, perciò dissi, sotto l’influenza dei pensieri del
mondo: “Dovrò farmi dare i soldi da casa”. La Madre disse: “Raccogli da qui
quello che puoi prendere”. Con le labbra risposi: “Va bene”, ma sentivo mia
figlia e mia moglie che mi guardavano dal profondo del mio cuore e dicevano:
“Dove vai, lasciandoci dietro?”.
Con una coperta, un
copriletto e un pezzo di stoffa partii comunque con Mataji e Pitaji. Raggiunta
la stazione Sri Ma disse: “Compra i biglietti fino al termine di questa
linea”. Partimmo per Jagannathgunge. Giunti là, il giorno seguente Sri Ma disse:
“Raggiungiamo l’altra sponda”.
Da lì partimmo per
Katihar. Mi erano rimaste solo poche rupie, ma inaspettatamente incontrai un
vecchio amico che mi diede cento rupie e una gran quantità di frutti e dolci.
Da lì andammo a Lucknow, ci fermammo a Gorakhpur e salimmo sul Dehradun
Express. Il giorno dopo, arrivati a Dehradun, riposammo in un dharmasala. Per
noi era un luogo sconosciuto. Tutto mi appariva nuovo e la gente sembrava
straniera.
Sri Ma disse: “Mi sembra tutto già noto”. Non era
chiaro dove saremmo andati dopo. Nel pomeriggio Pitaji ed io uscimmo a fare una
passeggiata e venimmo a sapere che nelle vicinanze vi era un tempio dedicato a
Kali. Vi andammo e ci dissero che a tre o quattro miglia di distanza, nel
villaggio di Raipur, c’era un tempio dedicato a Shiva completamente isolato,
indicato per una vita solitaria. Per una serie di circostanze un certo Pandeji
di Raipur volle conoscerci. Parlammo con lui e la mattina dopo l’accompagnammo
a Raipur. A Pitaji il posto piacque. Quando chiedemmo il parere di Mataji, Ella
disse: “Decidete voi, per me tutti i posti sono uguali”. Dalla mattina di
mercoledì 8 giugno 1932, Mataji e Pitaji cominciarono a vivere nel tempio.
Gli eventi che
seguirono saranno pubblicati in seguito, se sarà desiderio di Mataji.
È oltre la nostra
comune intelligenza comprendere chi sia realmente e cosa rappresenti Sri Sri
Ma.
Mataji dice sempre: “Sono
soltanto la tua bambina”, ma nei suoi modi di vita e nel suo magnifico lila tra
di noi vengono espressi in maniera tangibile tutti i poteri del Divino. In Sri
Ma troviamo una fonte di gioia e dolcezza perenne, nonostante sia
circondata giorno e notte dal rumore e dall’agitazione e da migliaia di
suppliche da parte di ogni tipo di persone. Il suo sguardo calmo e sereno, il
suo rispondere gentile e sorridente a tutte le domande, il suo squisito senso
dell’umorismo danno gioia e soddisfazione a tutte le anime. I suoi modi di vita
sono così universali che potrebbe essere considerata l’Amore Materno
incarnato.
Alcuni dicono sia la
Dea Suprema dell’universo in forma umana. Altri ancora sono dell’opinione che
abbia raggiunto la perfezione attraverso una spontanea evoluzione psichica,
senza alcuno sforzo da parte sua. A noi appare qualunque cosa pensiamo che sia.
A prima vista si viene pervasi da un fervore religioso, anche se si è
insensibili alle idee spirituali. In sua presenza, pensieri di Dio e della Sua gloria
fioriscono in tutto il loro splendore in cuori aridi come il deserto, e le
vibrazioni della vita universale sommergono il cuore di ognuno con innumerevoli
ondate, come un immenso oceano di beatitudine.
Una volta le
chiesero chi fosse il suo precettore o da chi avesse ricevuto l’iniziazione.
Rispose: “Nei primi anni le mie guide furono i miei genitori; nella vita di
famiglia, mio marito; e ora, in ogni situazione della vita, i miei guru sono
tutti gli uomini e le cose del mondo. Una cosa però è certa, l’unico Essere
Supremo è la sola Guida di tutti”.
Dal punto di vista
delle persone del mondo Sri Ma è una figlia, una moglie e una madre
ideale. Per l’aspirante alla vita spirituale le sue parole e i suoi atti hanno
un profondo significato, perché indicano diversi modi di cultura spirituale e
pratiche yoga, ed anche le verità basilari del dualismo, del non-dualismo, del
dualismo monistico e di altre dottrine filosofiche. I mutamenti fisici che si
manifestano nel suo corpo inducono a pensare che lei sia per natura una
vaishnava. Nell’adorazione tantrica di Shiva, Kali, Durga e altri dei e dee, o
nella pratica dei sacrifici vedici, ha suscitato l’ammirazione di eminenti
filosofi di Oriente e Occidente. La sola differenza che notiamo tra Sri Ma e
i grandi maestri che hanno raggiunto la perfezione nelle loro linee specifiche
attraverso bhakti yoga, jnana yoga o karma yoga, sta nel fatto
che in Sri Ma ogni sadhana ha raggiunto una sintesi meravigliosa.
È con questa armonia delle diverse vie d’approccio al Divino che ogni genere di
persona riceve ispirazione dalla sua presenza.
Il suo aspetto dolce
e gioviale, la sua eccezionale pazienza e tolleranza, il suo spirito di
sacrificio, la sua semplicità, i suoi modi sempre allegri e gioiosi di trattare
con uomini, donne e bambini, la sua visione chiara e cristallina, la sua
benevolenza verso tutti gli esseri viventi, il suo amore per tutti gli uomini
senza distinzioni di casta, credo, comunità e nazionalità, la sua assoluta
libertà da piacere, dolore e simili, la rendono un personaggio unico nel mondo
moderno. Non si può dire che Ella abbia ottenuto la perfezione con il proprio
sforzo, perché quelli che la conoscono sin dall’infanzia asseriscono che è
sempre stata la stessa sia nei pensieri sia nelle azioni. Nessuno l’ha mai
vista praticare esercizi spirituali o religiosi di qualunque tipo.
I fenomeni naturali
o sovrannaturali che si sono manifestati nel suo corpo sono avvenuti
spontaneamente per il bene di tutti gli uomini. Quelle manifestazioni non sono
nate dalla sua volontà né sono accadute contro di essa, e non sono state il
risultato di uno sforzo devozionale da parte sua. Quando il burro chiarificato
ed altre oblazioni sono offerte nel fuoco sacrificale dell’altare, le fiamme
divampano per legge naturale, ma il profumo che emana purifica e ravviva
l’intera atmosfera. Dopo un po’ non rimangono più tracce delle offerte
sacrificali, ma le fiamme continuano a bruciare in purezza e splendore. Esattamente
allo stesso modo, quando i devoti di Sri Ma presentano ai suoi piedi le
loro offerte con grande amore e venerazione, lo stesso contatto di quei doni fa
zampillare la fontana del suo cuore, come il latte sgorga naturalmente dal seno
della madre al contatto delle labbra del bambino. Nel caso della Madre, le sue
parole, i suoi sguardi e il suo volto esprimono amore per i propri figli.
Animata dal fuoco divino, il suo volto splende per un po’ e poi riprende la sua
normale compostezza.
In lei non c’è
conflitto, nessun bisogno di azione o inazione disturba la serenità del suo stato.
È totalmente immersa nella luce di quella Verità Suprema che è alla base di
tutti i principi, le pratiche religiose e i codici morali rivelati agli uomini
nelle diverse ere per il bene del mondo. Un barlume di quella Verità risplende
in tutte le sue azioni, parole e canti. La sua vita illustra il grande fatto
che pur facendo i propri doveri quotidiani con gioia e tranquillità, e
mantenendo le proprie relazioni sociali, l’uomo può avanzare ugualmente sul
sentiero spirituale.
È giunto il tempo di
far tesoro del gran bene che arrecano alla nostra vita sociale coloro che vanno
ad accrescere il numero dei sadhu e dei sannyasi. Non è semplice
uscire dai confini della vita di famiglia e dal recinto dei diritti e delle
responsabilità civili per cercare d’aprire facili vie di progresso spirituale
per la famiglia, la società e la nazione. Vi sono persone che hanno raggiunto
alti livelli di grandezza spirituale ritirandosi dal mondo, conducendo una vita
solitaria in ashram sperduti o in grotte di montagna. La loro grandezza
individuale non innalza il grado di cultura delle moltitudini ad un livello
apprezzabile né viene migliorata la qualità della vita delle masse. Grazie alla
loro ispirazione, molti ashram vengono stabiliti in diverse parti del paese e
le cuspidi dei templi s’elevano rapidamente in cielo.
Il fascino
dell’adorazione, gli inni e i canti devozionali cantati mattina e sera inducono
molte persone vicine e lontane a spendere sempre più denaro in tali iniziative,
e la distribuzione gratuita del prasad può attirare come mosche
moltitudini di persone affamate dalle regioni circostanti. L’influenza di
queste istituzioni costruite con tanto lavoro e molto denaro, però, raramente
contribuisce a rendere la nostra vita sociale più sana e gioiosa, perché non
diffonde la conoscenza né un amore più grande per gli uomini, e non favorisce
neppure un desiderio più ardente per la vita divina.
La nostra società è
sempre più rovinata dalla gelosia, dalla rivalità e da futili liti per cose di
poca importanza. I coraggiosi dotati di spirito di responsabilità sociale e di
servizio disinteressato trovano difficilmente spazio per un reale ed efficiente
lavoro, quasi paralizzati dalle stantie idee sociali della divisione di classe
degli ortodossi. D’altro canto s’incontrano ad ogni passo opposizioni a
qualunque tentativo di riforma. Nel nostro paese sta rapidamente scomparendo
quella cultura che assicura la salute fisica e mentale, che rende l’uomo forte
e coraggioso con la realizzazione della grazia di Dio in ogni sfera della vita,
che purifica e trasforma i nostri piccoli impulsi egoistici in uno spirito
disinteressato di servizio e di sacrificio di sé, al di là della casta e del
credo. Non vi è dubbio che tra noi lo spazio e il campo di quella cultura si
sta gradualmente restringendo.
È tempo che ci
chiediamo cosa ha provocato questo stato di cose. Siamo caduti negli angusti
canali dei culti e dei pregiudizi logorati dal tempo. Le idee e gli ideali del
passato e quelli dei tempi moderni si sono scontrati, causando un ristagno nella
nostra vita sociale e religiosa. Sri Ma si trova nel punto di
congiunzione.
Nella sua vita e
nelle sue attività troviamo sempre un ardente desiderio di salvaguardare il
bene del mondo, dando ad altri il peso di prendersi cura del suo corpo,
liberandosi totalmente da ogni preoccupazione per il proprio benessere fisico.
In questo modo Mataji si è resa completamente libera di promuovere la causa
degli indifesi e degli oppressi, dei malati e dei poveri, e d’aiutare i ricchi
e i potenti che soffrono di diverse malattie fisiche e mentali dovute alle loro
vite materiali viziate.
La sua vita apre gli
occhi a tutti. Con le sue attività di tutti i giorni ci mostra come collegare
all’Infinito ogni minimo dettaglio della vita, come coltivare un nuovo modo di
vedere nei nostri rapporti con gli uomini e rendere questo mondo un luogo di
nuova gioia, speranza e pace.
Dal punto di vista
del mondo, Sri Ma non possiede nulla che possa chiamare suo. Tutti i
luoghi pubblici come templi, dharmasala, ashram e capanne costituiscono
ora la sua unica residenza – luoghi in cui tutti, dai più potenti ai più umili,
possono andare liberamente da lei senza alcun ostacolo. È totalmente dedita al
bene del mondo. Tutti gli esseri viventi le sono ugualmente cari.
Come ho citato
prima, Ella dice: “Per me tutto il mondo è come un grande giardino, e voi siete
i fiori che sbocciano in questo giardino con la vostra bellezza e grazia
individuale. Io mi muovo da un posto all’altro. Che cosa vi fa sentire tristi
quando vi lascio per andare in mezzo ai vostri fratelli laggiù?”.
In un’altra
occasione ha detto: “Non ho alcun bisogno di fare o dire nulla; non vi è mai
stato alcun bisogno, non vi è adesso né mai ci sarà in futuro. Quello che avete
visto manifestato in me nel passato, quello che vedete ora e quello che vedrete
in futuro è solo per il bene di tutti. Se pensate che vi sia qualcosa che possa
essere mio, devo dirvi che tutto il mondo è mio”.
Nelle sue parole e
azioni, nelle sue relazioni sociali con ogni tipo di persona, possiamo
osservare la gloria delle attività creative della Madre Universale manifestate
ovunque nel mondo. Sri Ma è come una bambina che chiede pegni d’amore a
quelli che le sono devoti. Per quelli che sono afflitti da malattie o da altri
problemi del mondo, la sua ansia materna di dare sollievo prende forma in
diversi atti di riparazione. Tutte queste attitudini provengono da una riserva
d’immenso potere spirituale sempre attivo.
Mataji mostra uguale
rispetto e reverenza per tutte le religioni, per tutte le leggi e istituzioni
sociali, per tutti i tipi d’istruzione. Ciò illustra la grande verità che tutto
in questo mondo è una manifestazione dell’Essere Supremo. Ella dice: “Tutti i
pensieri religiosi scorrono in una sola direzione, come tutti i fiumi
confluiscono nell’oceano; e noi tutti siamo uno”. Se qualcuno le chiede: “A
quale casta appartieni? Dov’è la tua casa?”, risponde con un sorriso: “Dal
punto di vista materiale questo corpo viene dal Bengala Orientale e appartiene
alla casta dei bramini; ma se vai oltre queste distinzioni artificiali, capirai
che questo corpo fa parte dell’unica famiglia umana”.
A volte le è stato
sentito dire: “Abbiate fede in questo corpo. La vostra fede sincera vi aprirà
gli occhi”. Di tanto in tanto dice anche: “Io non so nulla, dico quello che mi
mettete nelle orecchie”, ed anche: “Questo corpo è solo una bambola, che gioca
come voi desiderate”.
Da queste ed altre
affermazioni è evidente che nella sua persona ha preso forma il Potere che sta
dietro questo mondo fenomenico. Le sue attività provengono dalla sorgente
principale e rifluiscono in essa. Ella non ha senso di dualità. Dice spesso:
“Solo Tu sei – Tu soltanto”; oppure: “Io soltanto sono; tutto è contenuto in
Me”.
Una volta ha detto:
“C’è qualche differenza essenziale tra me e voi? Io e voi esistiamo solo perché
Lui È. Se ciascuno di voi potesse esclamare con fede salda, forte devozione e
un cuore traboccante d’amore: ‘Madre, vieni, vieni a me. Madre, non posso
vivere senza di Te’, siate certi che la Madre Universale tenderebbe le braccia
verso di voi e vi stringerebbe al Suo petto”.
Non guardateLa solo
come un rifugio misterioso nei momenti di difficoltà. Ricordate sempre che è
molto, molto vicina a voi, e guida tutte le forze della vostra vita. Andate
avanti con questa convinzione e lei vi toglierà dalle spalle il peso delle
vostre responsabilità e vi darà la forza di portare la croce.
Jay Ma